– di F.A.B.* – Come i neonati, giunto ormai alle soglie dei cento anni, quell’uomo bonario e senza desideri inespressi, finì per confondere il giorno con la notte. Dormiva quando il sole era alto nel cielo, dimentico dei mille rumori che le vite degli altri gli riversavano addosso e stava sveglio di notte, costringendo figli e nipoti a turni di veglia che si erano fatti, con l’andare delle settimane, davvero insostenibili. Da sveglio infatti aveva preso smania di parlare e non c’era verso di interrompere quella veneranda eloquenza. Parlava a volte con tono stentoreo e voce non sua, e altre come se stesse pregando una divinità particolarmente ostinata ed insensibile. Sempre però dal suo letto e con lo sguardo perso nel vuoto, di chi vive in un’altra dimensione. Sebbene lo stato di salute dell’uomo non destasse altro tipo di preoccupazioni, un po’ tutti intorno a lui si erano però messi in allarme. “Quando un quasi centenario si comporta così…”, dicevano, “…qualcosa deve pur significare”. Furono perciò interpellati medici, specialisti e poi studiosi di fenomeni paranormali, sciamani, indovini, esperti di astrologia e cartomanzia.
Tutti, dopo un accurato esame del disturbo palesato dall’uomo, erano apparsi interdetti, senza però sapere fornire indicazioni decisive alla risoluzione del caso. Si sprecarono invece le ipotesi e i rimedi da seguire con fede nella scienza e scrupolo da certosino. Non sfuggì però ai familiari che quelle spacciate per terapie, fossero poco più che consigli dettati dal buon senso e dal bisogno di trovare riparo all’imbarazzo nel quale si trovavano precipitati. In ultima analisi, anche se il fenomeno in atto suggeriva di intensificare i turni di guardia, si concluse che non ci fosse nulla di serio di cui darsi pena.
“Le persone di una certa età, hanno uno strano modo di reagire all’ora legale!” disse il più estroso e sfacciato dei demiurghi convocati. L’onorario richiesto per la sua fenomenale prestazione fece il resto, lasciando tutti i presenti, soprattutto quelli che si occuparono di saldare il conto, con la bocca aperta. Intanto, il sorriso del sempre più logorroico centenario, assunse i caratteri beffardi della giovialità. Un che di buffo e spensierato che richiamava, per un delicato gioco di assonanze, la chiassosa andatura delle oche che allarmavano le masserie del circondario.
Unitamente al suo consolidarsi gli si era andato fortificando l’appetito. Mangiava emettendo grugniti da cinghiale. Mangiava e parlava senza soluzione di continuità, facendo sembrare l’una come la naturale conseguenza dell’altra. Poi, come se fosse vittima di un incantesimo, con le prime luci dell’alba, ripiombava nel suo sonno plumbeo, reso più inquietante dal bonario sorriso che gli si era fissato sul volto.
Caterina, la più devota ed assidua delle sue figlie, una notte in cui appariva particolarmente vivace e fecondo, provò ad incantarlo con la televisione. “In genere con le persone anziane funziona” pensò sé. Non fu così, con lui. Migliori risultati li ottenne tenendo accesa la radio a valvole che resisteva da decenni sulla pettiniera in castagno, posta di fronte al suo monumentale letto matrimoniale. Le voci dei commentatori che si avvicendarono quella notte, si mischiarono nella penombra a quelle dell’uomo e la stanza da letto sembrò una sinagoga colma di fedeli salmodianti.
Più la disperazione si faceva largo nelle vite dei parenti, più l’uomo parve riempirsi di quella che potremmo definire una invincibile grazia. “Forse dovremmo convocare un esorcista!” suggerì Nicoletta “No, meglio sarebbe assoldare un killer, uno di quelli che lasciano tutti contenti; amici e parenti!” esclamò suo marito visibilmente irritato delle troppe notti in cui la moglie era stata strappata al talamo nuziale.
Erano così logorati che davvero cominciarono a pensare che l’unica soluzione possibile fosse il ripristino dell’ora solare. Poi quando sembrava che quella vicenda dovesse condurre tutti alla pazzia, sotto gli occhi increduli dei parenti, che intanto avevano preso l’abitudine di vegliare in gruppo, il quasi centenario; si alzò dal letto. Aveva l’andatura di una marionetta omicida e la fretta di chi ha premura di raggiungere il bagno. Il suo incedere prodigioso passò comunque in secondo piano. Quel che più di tutto impressionò i presenti, fu infatti l’evidenza che la lunghissima degenza aveva notevolmente alterato la sua altezza. “il nonno è cresciuto di almeno venti centimetri!” esclamò sorridente Ottavio, il nipote più sveglio della nidiata, cui non sfuggì il dettaglio del pigiama fermo a metà dei polpacci. Le sue ossa scarne, nella luce tremula delle candele, apparvero trasparenti e lunghissime il che conferì alla sua figura la sacra agilità di un felino. Era l’incarnazione dell’eleganza più scandalosa ed inaspettata che si potesse immaginare.
Viveva senza dubbio alcuno una stagione confusionaria ma felice. Come se fosse stato invaso da una giovinezza tardiva. Di lì in poi, fu un crescendo. Lo si sentì dialogare sempre più spesso con la sua defunta moglie. Era presente ed al contempo distante. Sul posto ma non contemporaneo.
Ciò nonostante, si insistette con le premure e, quel che è peggio, con le cure. Non fu solo neppure per un istante. La guardia al suo capezzale divenne irreprensibile, serrata, psicotica. Due mondi diversi si tendevano la mano cercando un contatto che con ogni evidenza era ormai impossibile. L’uomo era altrove. Vicino alla sua donna che di certo gli rispondeva parola per parola. Parlavano della loro intimità, ma anche della insulsa quotidianità che caratterizza la vita dei coniugati. Non erano soltanto felici; erano una cosa sola. Imploravano forse di essere lasciati soli. Una richiesta silenziosa che restò inascoltata fino al giorno in cui, quell’uomo semplice, sorprendendo tutti, interruppe il suo sonno altrimenti profondissimo e seduto sul letto, proclamò con voce perentoria:
“Ma allora vuje nun capite? Je so muorto a trenta juorne!”
Le figlie balzarono in piedi e presero a singhiozzare fino quasi a strozzarsi. I rispettivi mariti vacillarono arretrando di almeno due passi. I bicchieri nella cristalliera tintinnarono ed il lampadario prese ad oscillare. Solo Ottavio restò al suo posto, scoppiando in una risata liberatoria che non tardò di coinvolgere tutti gli altri.
Poi l’uomo riprese a dormire. Così, per discrezione o forse solo per buona educazione, uno alla volta, tutti abbandonarono la stanza, decisi finalmente a preoccuparsi solo della propria vita di tutti i giorni.
Quella notte il centenario non si destò. Fu per questo amorevolmente lasciato solo. L’indomani mattina il medico convocato dai vicini di casa, ne decretò la morte per cause naturali.
Fu allestita una camera ardente, in cui aleggiava un delicato e composto profumo di lavanda. Nessuno piangeva e tutti sembravano di nuovo padroni dei propri nervi. Fu servito, un bicchiere di vino novello, biscotti all’olio d’oliva, mandorle dolci e uva fragolina. Nocino e china per chi appena sopraggiunto, aveva già avuto modo di riempire altrove lo stomaco. “Voleva essere lasciato libero di andare” azzardò qualcuno dei presenti, avallando il concetto con la considerazione che aldilà del dispiacere che la morte comporta, non è quasi mai il caso di farne una tragedia. “A volte, smettere di vivere, si rivela la migliore delle scelte possibili!”
Forse per una assurda coincidenza, proprio in quell’istante, il volto sereno del defunto, accennò un sorriso. Ma fu un istante appunto, tanto breve e furtivo, che nessuno dei presenti riuscì a fissarlo nel proprio sguardo.
I muscoli dell’uomo tornarono contratti e inespressivi, quando nella stanza, a dispetto delle evidenze portate alla luce dal defunto, ripresero coraggio i sostenitori dell’ipotesi che anche un solo giorno in più strappato alla morte, sia sempre e comunque da salutare come una salvifica benedizione del Signore.
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Prima delle solite scarne note sull’autore, la redazione vuole salutare con gioia il ritorno tra le nostre pagine di questo scrittore sensibile e talentuoso, stringendosi a lui con sincero affetto. Ben tornato!
*Francesco Aliperti Bigliardo napoletano, classe 1967, scrittore per passione e metalmeccanico presso lo stabilimento Avio Aero (ex Alfa Romeo Avio) di Pomigliano D’Arco per necessità “perché non si vive di sole parole…” afferma.
Ha pubblicato nel 2009 per Edizioni Mayhem “La grande combustione” una commedia in due atti di ispirazione ambientalista andata in scena al teatro Gloria di Pomigliano d’Arco nel dicembre del 2014.
Altre pubblicazioni minori sono contenute nell’antologia “Assurdotempo e l’esatta logica” di Edizione Corsare e nella raccolta del 2012 per nuovi autori campani di Caracò Editore “Terra mia”, e ultimo in ordine di tempo “Lo strano caso di Domenico Cuomo e del casale Sgambizzo”.