“DIAZ – NON PULITE QUESTO SANGUE”: LE SOSPENSIONI DELLA DEMOCRAZIA

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%name “DIAZ   NON PULITE QUESTO SANGUE”: LE SOSPENSIONI DELLA DEMOCRAZIA

di Mariantonietta Losanno 

Un’operazione coraggiosa nata dall’esigenza di dover raccontare: “Diaz” ricostruisce la mattanza nel dormitorio e nel Media Center del Genoa Social Forum e il trattamento vergognoso e disumano subito dagli arrestati nella caserma di Bolzaneto. L’intento della pellicola è proprio tornare a inquadrare quel sangue (“Don’t clean this blood”, ossia “Non pulite questo sangue”, è il monito lasciato sulle pareti della scuola Diaz, per ricordare gli eventi di quella notte del 21 luglio 2001), quella violenza senza giustizia che gli spettatori hanno l’urgenza di capire. Non sono sufficienti gli articoli, i documentari, serve una chiave di lettura: il regista Daniele Vicari e la sceneggiatrice Laura Paolucci hanno impiegato diciotto mesi di ricerche sugli atti processuali per realizzare un resoconto che fosse all’altezza dell’accaduto. Un piano ambizioso ma al tempo stesso complesso. Innanzitutto, per il tema così delicato e scottante, per cui è stato difficile scegliere il tono giusto per raccontarlo: la preoccupazione più grande è stata, infatti, quella di fornire le giuste informazioni e di creare le giuste reazioni. Le difficoltà si sono presentate poi a livello tecnico, perché Vicari non ha trovato finanziatori in Italia per il suo progetto; e nella realizzazione, dal momento in cui non è stato mai consentito l’accesso alla Diaz e la pellicola è stata girata quasi interamente in Romania. Per la costruzione dei personaggi, invece, il regista si è ispirato ai racconti di persone realmente coinvolte negli eventi, lasciando però autonomia agli attori e avvalendosi di un cast sontuoso in cui spiccano Claudio Santamaria e Elio Germano. L’uscita della pellicola -che ha vinto il Premio del Pubblico nella sezione Panorama del Festival di Berlino 2012, quattro David di Donatello (miglior produttore, sono, montaggio ed effetti speciali), e tre Nastri d’Argento (miglior produttore, sonoro e montaggio)- ha scatenato aspre polemiche: associazioni e sindacati di polizia hanno rilasciato comunicati, sostenendo che il film potesse denigrare le forze dell’ordine. Una reazione simile a quella scaturita dall’uscita di un’altra pellicola -testimonianza di una vicenda che coinvolge tutti, come persone e come cittadini- “Sulla mia pelle”. Le immagini del volto tumefatto di Stefano Cucchi le hanno viste tutti, così come tutti sono venuti a conoscenza -seppure in maniera confusa e frammentata- delle vicende relative alla sua detenzione e al suo arresto. Per molti, questo era sufficiente. Avere appreso dai giornali, avere ascoltato i racconti dei familiari di Cucchi poteva bastare, allo stesso modo come per i fatti riguardanti la Diaz. Così come Alessio Cremonini ha sentito l’esigenza di raccontare la storia di Stefano, studiando a fondo i fatti per realizzare con rigore la sceneggiatura, per condannare l’indifferenza, la vigliaccheria, la comoda superficialità che circonda i grandi organismi e apparati dello Stato; così Vicari ha sentito il bisogno di analizzare a fondo -in modo oggettivo e senza schierarsi apertamente- una vicenda che è un crescendo di violenza brutale, insensata. 

2626E7A0 A45C 45CC 8A0D A8DB3E4170EB 300x127 “DIAZ   NON PULITE QUESTO SANGUE”: LE SOSPENSIONI DELLA DEMOCRAZIAPer certi versi, però, gli avvenimenti di Genova in “Diaz” sono stati raccontati in modo controverso: non sono state spiegate le motivazioni di fondo delle proteste, non sono state approfondite le questioni politiche che hanno fatto da cornice a quegli eventi, non sono state fatti nomi, non è stato analizzato a dovere il clima di terrore che ha invaso la città. Vicari non attacca e non difende: propone i fatti, reali e incontestabili, astenendosi dal dare giudizi. I dialoghi sono pochi, per lo più ci sono urla, gemiti di dolore. Si sentono, però i rumori, quelli dei colpi sferzati senza pietà sui corpi disarmanti. “Diaz” avrebbe potuto probabilmente mostrare più coraggio, presentandosi come una denuncia più incisiva e concreta. C’è da dire, però, che non spetta (solo) ad un film dare giustizia e verità ai 93 attivisti colpiti e umiliati dai poliziotti quella notte. Il regista preferisce muoversi in modo diretto e rapido, senza fare preamboli e senza soffermarsi a spiegare: “Diaz” vuole far riflettere sulle sospensioni della democrazia -quella che Amnesty International ha definito come “la più grande sospensione della democrazia in un paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale”– sull’orrore che non può e non potrà mai essere cancellato, sul senso di impotenza di fronte ad una violenza folle, così brutale da diventare disturbante. 

%name “DIAZ   NON PULITE QUESTO SANGUE”: LE SOSPENSIONI DELLA DEMOCRAZIADei 300 poliziotti che parteciparono all’azione, solo 29 vennero processati e, nella sentenza di appello, 27 vennero condannati per lesioni, falso in atto pubblico e calunnia (reati in gran parte prescritti). Per quanto accaduto a Bolzanero ci furono 44 condanne per abuso di ufficio, abuso di autorità contro detenuti e violenza privata. Questi dati sono la testimonianza di un evento che si presenta come la più grande sconfitta del sistema democratico della nostra storia recente. Nonostante le lacune (non si citano nemmeno nei titoli di coda i nomi dei politici e non si parla del governo di destra presieduto da Silvio Berlusconi), la sensazione di impotenza e di claustrofobia della pellicola restano impresse. Quei fatti di cronaca, gli scontri, il corpo di Carlo Giuliani inerme, le barelle che sfilano e il sangue sui pavimenti della scuola Diaz non possono essere dimenticati. Le vittime, prima ancora di essere le persone, sono la civiltà, la dignità e i diritti. Al di là dell’aderenza completa alla verità storica e processuale della vicenda, una pellicola come “Diaz” -così come “Sulla mia pelle”– non può lasciare indifferenti. Dopo quasi un ventennio le ferite causate quel giorno sono ancora aperte, perché non è stato fatto nulla per evitare che un episodio simile si verifichi di nuovo: non c’è nessun argomento razionale che garantisca che quanto successo a Genova non possa ripetersi. Le preoccupazioni sono legittime e scaturiscono dall’oggettività dei fatti di oggi: vengono applicate regole fuori dallo Stato di diritto e viene permesso che si viva in una sorta di abuso continuo. “Diaz” dovrebbe risvegliare la coscienza collettiva, troppo agonizzante per rendersi conto di quanto sia cospicua la mole di responsabilità di ognuno di noi. In quei minuti lunghissimi in cui si consumano le violenze, in quelle immagini che sconvolgono e in quei silenzi agghiaccianti, va ricercata e riformulata una memoria storica che serbi l’universalità del racconto e le colpe della democrazia. “Diaz” mette in scena quello che più ci spaventa: quella “banalità del male” che non nasce da menti diaboliche ma da mediocri cittadini comuni, da persone normali, padri, figli, fratelli. Ancora oggi, dunque, “non pulite quel sangue”. È per quel sangue che bisogna continuare a lottare e a chiedere giustizia. 

1 commento

  1. Nuda senza tanti aspetti sociologici la recensione del film con la carneficina al Diaz, lei dice che il film parla solo di sangue e aggressioni, infatti Vicari non ha voluto o potuto raccontare perché si è arrivati a ciò, ai cortei dei gruppi sociali si sono aggiungi i blok per la violenza, la morte di giuliani la reazione squadrista delle forze Dell’ordine che deve mantenere l ordine pubblico limitando la violenza di chi protesta e anche di chi si difende. Vicari non poteva descrivere gli antefatti, sarebbe stato un film di parte. Diaz é un film per pochi, per le persone che conoscono o conoscevano gli antefatti. Fatto sta che non poche volte le forze Dell’ordine hanno commesso delitti e soprusi conto i cittadini inermi, alcune volte hanno pagato nella maggioranza dei casi é stato tutto insabbiato. Spero che il covid non sia l’alibi per il perdurare di una situazione di sospensione della democrazia. Ottima recensione.

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