di Mariantonietta Losanno
Narrazione insolita, finale aperto, un susseguirsi di eventi scatenati da un unico e breve atto di violenza: “Come un tuono” -titolo originale “The Place beyond the pines” (“Il posto al di là dei boschi di pini”)- racconta la storia di due famiglie e altrettante generazioni unite da circostanze particolari. Il collante è lo scontro tra Luke che, cercando il metodo più veloce per procurarsi tanti soldi per poter crescere suo figlio, finisce “per schiantarsi come un tuono” ed imbattersi in Avery Cross, giovane poliziotto, anch’egli padre da poco. Quindici anni dopo, i loro figli stringeranno amicizia al liceo e la vecchia violenza chiamerà nuova violenza.
Derek Cianfrance, nel suo terzo lungometraggio, mette in scena l’intero arco di evoluzione di tre generazioni condannate dai propri legami di sangue. Il fulcro della pellicola è proprio la paternità che viene occultata, riscoperta e rinnegata. Innanzitutto ci sono i genitori di Luke e Avery, il primo completamente assente e che ha implicitamente influito sul comportamento deviante del figlio, l’altro una presenza costante, un mentore che però non sempre ha incoraggiato la via della rettitudine. Poi ci sono Luke e Avery stessi, l’uno all’oscuro di essere padre se non per pochissimi mesi, l’altro incapace di amare il figlio; infine, AJ e Jason, la terza generazione, quella che -inconsciamente- segue le orme di quella precedente. È come se, per AJ e Jason, fosse stato tracciato un percorso fin dalla loro nascita e, seppure tentino di discostarsene, falliscono. Lo stile di Ciafrance è simile a quello utilizzato in “Blue Valentine” (che vede sempre Ryan Gosling come protagonista), in cui al posto di raccontare una storia d’amore, si sofferma sulle sue conseguenze, sul peso delle aspettative di entrambe le parti, sui tormenti e sulle delusioni. Anche in “Come un tuono” il regista focalizza l’attenzione non tanto sull’atto di violenza in sé che ha scatenato l’effetto domino, ma sulle sue ripercussioni. La pellicola si muove dal melodramma ruvido e forte al film sentimentale, però con delle tinte noir; è una storia di vendetta, ma è anche un film potente proprio come un tuono, che racconta l’amore anche quando non vince su tutto il resto: il respiro è ampio come l’arco temporale che copre. La struttura narrativa è forte e rigida, e al tempo stesso struggente.
Il regista descrive come l’eredità del passato e le cose che ci segnano fin dalla nascita vengano inevitabilmente e inconsapevolmente trasmesse alle generazioni successive; le scelte -e soprattutto gli errori- si ripercuotono, dunque, su chi verrà dopo. Lo spettatore si interroga sul peso che hanno le decisioni: è possibile giudicarle dall’esterno e immedesimandosi, pensare che avremmo saputo agire diversamente? “Come un tuono” si presenta come un film ambizioso, che segue il complesso percorso interiore dei personaggi -spesso “correndo”- per arrivare a una sorta di equilibrio e di “redenzione”. La narrazione dei fatti colpisce per la violenza e la sincerità: è possibile realmente cambiare vita, lottare contro se stessi e le proprie pulsioni e contro una vita che non sempre concede una seconda possibilità? Il dramma esistenziale si incastra in una storia d’amore intrisa di tanta tristezza; le sequenze sono cariche di emozioni, temi e significati. Tutto è legato insieme, tutto è conseguenza delle scelte compiute in precedenza: questo progetto “folle” di unire tre film in uno si dimostra efficace. Il finale aperto, poi, trasmette una sensazione di serenità che va riferita non tanto all’equilibrio raggiunto dal protagonista, quanto piuttosto al suo essersi riappacificato con se stesso.
“Come un tuono” trasmette il giusto grado di tensione ed emotività, e mantiene la sua forza grazie ai significati che nasconde nelle sue evoluzioni.