ROMA – Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della disciplina dei Diritti Umani in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne intende riflettere su una tematica dolorosa e, purtroppo, sempre attuale che è quella della violenza sulle donne.
La giornata commemorativa, che si celebra il 25 novembre di ogni anno, è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999, in memoria delle sorelle Mirabal trucidate nel 1960 a causa della loro militanza politica contro la dittatura che dilaniava la Repubblica Dominicana.
Dalla fine degli anni ’90, quindi, tutti i Paesi del mondo hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica con una serie di iniziative e progetti che coinvolgevano la politica, la cultura, la scuola e l’arte. Grande, inoltre, è stato il contributo offerto dalle associazioni e dai centri anti-violenza che si sono attivati fin da subito per tutelare e assistere le donne sole e in difficoltà e offrire loro la speranza di un futuro diverso.
Forse non subito, ma nel corso degli anni, la giornata commemorativa ci ha permesso di conoscere storie che venivano da lontano, storie di miseria e di degrado morale e umano all’interno delle quali alle donne era riservato un fatale destino.
E così il 25 novembre ci ha narrato una maledettissima storia che veniva da lontano e che nessuno voleva accettare: l’orrore dei Femminicidi a Ciudad Juarez. Proprio in questa città messicana, che forse il mondo non avrebbe mai conosciuto se la falce della morte non si fosse scagliata come una maledizione della peggior magia nera, si è manifestato il più brutale e macabro Feminicidio. Le sue proporzioni sono uscite ben presto dai confini nazionali e gli omicidi femminili si sono collegati, inspiegabilmente, con altri fenomeni simili che correvano su tutte le latitudini e longitudini. Così, il mondo intero non ha potuto più celare ai suoi occhi la verità, né ha potuto anestetizzare il suo cuore.
Sono stati il dolore, la rabbia, lo sgomento, e quel sentimento prima di impotenza e poi di giustizia, che hanno spinto il mondo civile a unirsi per proteggere le donne dalla furia omicida di chi le strappava alla vita. E il Femminicidio, neologismo che ha iniziato a riferirsi a qualsiasi forma di violenza esercitata in maniera sistematica sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale per annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico e psicologico, è divenuto oggetto dell’attenzione mediatica, psicologica, sociologica e legale.
Sono passati 21 anni dalla prima giornata celebrativa, e anche se sono aumentati i cordoni di sicurezza, dal punto di vista legale e assistenziale attorno alle donne, non possiamo certo affermare che il fenomeno si sia ridimensionato. Ogni giorno in qualche parte del mondo troppe donne muoiono per volontà di chi dovrebbe amarle.
Inoltre, dopo il primo Lockdown è aumentato il sangue tra le mura domestiche e anche la violenza. Nell’ultimo Report, realizzato dall’Organismo permanente di monitoraggio durante l’emergenza coronavirus, si rileva che a partire dalla fine di marzo si assiste ad un costante e graduale incremento dei “reati spia” della violenza di genere (atti persecutori, maltrattamenti e violenza sessuale). E se consideriamo che è poco più di un anno che, in Italia, ha fatto il suo ingresso nell’ordinamento penale il codice rosso con l’obiettivo di prevenire il Femminicidio e proteggere le vittime, arriviamo facilmente a una triste conclusione: ai carnefici non spaventa la portata della pena quando l’odio li acceca.
Cosa fare, allora? O meglio, cos’altro fare? Intanto, è ormai evidente che vanno supportate le associazioni del territorio che possono concretamente essere vicine a chi vive, nel quotidiano, la violenza psicologica e fisica. Ma non basta. Occorre, quindi, fare fronte comune e muoversi tutti insieme per non far sentire sole le donne in pericolo. Perché gli aguzzini fanno leva proprio sulla solitudine delle vittime che non sanno a chi rivolgersi.
La politica, le forze dell’ordine, la scuola, i centri anti-violenza sono queste le porte a cui le donne devono poter bussare. E allora dobbiamo ingegnarci, ogni giorno, tutti insieme per tendere la mano alle donne che hanno paura di allungarla.
Il CNDDU si sente di affermare con forza che la preoccupazione per l’emergenza-covid non cancella la volontà di essere in prima linea nella difesa dei diritti delle donne. Ci teniamo a ribadire che i diritti fondamentali delle donne sono una parte integrante, imprescindibile e inalienabile dei Diritti Umani. Le donne devono poter contare sulle leggi, sul diritto, sui valori civili di chi deve tutelare la loro dignità e la loro felicità.
Lanciamo, quindi, un appello accorato alla scuola italiana affinché faccia arrivare attraverso gli studenti un messaggio importante alle donne afflitte dalla solitudine: Non siete sole!
Chiediamo ai colleghi docenti di portare avanti questa giusta causa per aiutare gli studenti a crescere con idee sane e giuste. Invitiamo, quindi, tutti ad affrontare la tematica attivando percorsi didattici e/o strategie per favorire la conoscenza e l’interesse degli studenti sulla tematica del Femminicidio. Apponiamo sulla porta delle nostre aule virtuali la panchina rossa o le zapatos rojos per lanciare un altro messaggio chiaro e forte: d’amore non si muore!
E utilizziamo tutto il periodo di emergenza sanitaria per associare alla mascherina chirurgica, che ci protegge dal virus, il numero #1522, che protegge dalla violenza!
Chiedere una mascherina #1522 in farmacia è un codice per chiedere aiuto! Così come fingere di ordinare una pizza e chiamare le forze dell’ordine! Non lasciamole sole!
L’hashtag della giornata è #MASCHERINA1522