UNA CATASTROFE CHE IN 90 SECONDI HA CAMBIATO IL DESTINO DELL’IRPINIA, DI NAPOLI, DELLA CAMPANIA E DEL SUD IN GENERALE
– di Michele Falcone –
La notte del 23 luglio 1930 uno dei terremoti più devastanti (6,5° Scala Richter) che la nostra storia ricordi (1.500/2.000 morti) colpì vaste aree della Campania, della Lucania e del Sub appennino pugliese: all’incirca quelle stesse regioni colpite dal sisma del novembre 1980 (6° Scala Richter). Benito Mussolini, appena appresa la notizia, convocò il Ministro dei Lavori Pubblici Araldo Di Crollalanza, certamente uno dei più prestigiosi componenti del Governo di allora e gli affidò l’opera di intervento. Araldo Di Crollalanza, al quale è dedicato il lungomare di Bari, in base alle disposizioni ricevute e giovandosi del RDL del 9 dicembre 1926 e alle successive norme tecniche del 13 marzo 1927 (ecco come è nata la Protezione Civile), norme che prevedevano nei casi di catastrofe la concentrazione di tutte le competenze operative. Al Ministero dei Lavori Pubblici il Ministro fece effettuare, nel giro di pochissime ore, il trasferimento di tutti gli uffici del Genio Civile, del personale tecnico, nella zona sinistrata, così come era previsto dal piano di intervento e dalle tabelle di mobilitazione che venivano periodicamente aggiornate. Secondo le disposizioni di legge, sopra ricordate, nella stazione di Roma, su un binario morto, era sempre in sosta un treno speciale, completo di materiale di pronto intervento, munito di apparecchiature per demolizioni e quant’altro necessario per provvedere alle prime esigenze di soccorso e di assistenza alle popolazioni sinistrate. Sul treno presero posto il Ministro, i tecnici e tutto il personale necessario. Destinazione: l’epicentro della catastrofe. Naturalmente, come era uso in quei tempi, per tutto il periodo della ricostruzione, Araldo Di Crollalanza non si allontanò mai dalla zona sinistrata, adattandosi a dormire in una vettura del treno speciale che si spostava, con il relativo ufficio tecnico da una stazione all’altra per seguire direttamente le opere di ricostruzione. C’è la testimonianza di un giovane di allora, il signor Liberato Iannantuoni di Meda (Mi) che ricorda: “Nella notte del 23 luglio 1930, il terremoto distrusse alcuni centri della zona ai limiti della Puglia con la Lucania e l’avellinese, in particolare Melfi, Anzano di Puglia, Macedonia. Proprio tra le macerie di questo borgo, all’indomani del terribile sisma, molte personalità del tempo accorsero turbate da tanta straziante rovina, fra le quali il Ministro dei Lavori Pubblici Araldo Di Crollalanza. Avevo allora 22 anni, unitamente ad altri giovani fummo comandati allo sgombero delle macerie. Ecco perché conobbi da vicino Crollalanza; si trattenne un pò con noi con la serena e ferma parola di incitamento al dovere; restò per me l’uomo indimenticabile per i fatti che seguirono. Tutto quello che il sisma distrusse nell’estate 1930, l’anno nuovo vide non più macerie, ma ridenti case coloniche ed altre magnifiche costruzioni con servizi adeguati alle esigenze della gente del luogo. Moderne strade fiancheggiate da filari di piante ornamentali; si seppe anche che costi occorrenti furono decisamente inferiori al previsto (…)”. I lavori iniziarono immediatamente. Dopo aver assicurato gli attendamenti e la prima opera di assistenza, si provvide al tempestivo arrivo sul posto con treni che avevano la precedenza assoluta di laterizi, materiale inerte e di quant’altro necessario per la ricostruzione. Furono incaricate numerose imprese edili che prontamente conversero sul posto con ogni l’attrezzatura. Lavorando su schemi di progetti standard si poté dare inizio alla costruzione di casette a pian terreno di due o tre stanze anti-sismiche, particolarmente idonee a rischio. Anche se Qualcuno sostiene che le prime strutture anti-sismiche furono messe in opera negli anni ’60. Menzogna. Le casette anti-sismiche costruite nel 1930 furono progettate ingabbiandole in strutture portanti in cemento armato e furono quelle che resistettero al sisma del novembre 1980.
Contemporaneamente fu disposta anche la riparazione di migliaia di abitazioni ristrutturabili, in modo da riconsegnarle ai sinistrati prima dell’arrivo dell’inverno. Si evitava in questo modo che si verificasse quanto accaduto nel periodo pre-fascista e quanto accadrà, scandalosamente, nell’Italia post-fascista: la costruzione di baracche, così dette provvisorie, ma che sono, invece di una provvisorietà illimitata…e il pensiero ci riconduce alle conseguenze del sisma de L’Aquila e ai tempi biblici della strategia politica per riportare le vite delle popolazioni ad una regolare normalità e sacrosanta dignità abitativa. Una storia questa che sembra impossibile visto l’Italia di oggi: a soli tre mesi dal catastrofico sisma, e precisamente il 28 ottobre 1930 – come a simboleggiare che con determinati uomini i miracoli sono possibili – le prime case vennero consegnate alle popolazioni della Campania, della Lucania e delle Puglie. I dati riportano una stima puntuale di ben 3.746 case costruite e 5.190 abitazioni riparate. Ma, caro lettore, che vivi in questa Italia di piena “libertà”, fai memoria di come Mussolini salutò il suo Ministro dei Lavori Pubblici al termine della sua opera: “Eccellenza Di Crollalanza, lo Stato italiano La ringrazia non per aver ricostruito in pochi mesi perché era Suo preciso dovere, ma la ringrazia per aver fatto risparmiare all’erario 500 mila lire”.
Dato l’interesse dell’argomento, riporto quanto il signor Adolfo Saccà di Roma scrisse al direttore de “Il Giornale d’Italia” il 28 novembre 1988: “Il terremoto del 1908 ridusse in fumanti macerie Reggio Calabria, Messina con l’aiuto di mezzo mondo ben presto furono costruiti interi baraccamenti per il ricovero dei superstiti. Ed in quelle baracche vivemmo per ben venti lunghissimi anni! finché nel 1928 il Capo del Governo poté vedere dai finestrini della sua carrozza, riportandone vivissima impressione, il succedersi ininterrotto di baracche già vecchie e stravecchie. L’anno dopo al loro posto c’erano già in tutti i paesi terremotati altrettante belle, decorose palazzine che ancora oggi testimoniano il sollecito, deciso intervento del capo del Mussolini che ci tolse, finalmente! dalla miserrima condizione di baraccati”. Si propose, tempo addietro, di intitolare la piscina comunale (una delle strutture edificate negli anni Trenta rimaste pressoché intatte, ad Adelchi Serena (1895-1970), che era stato vicesegretario del Pnf e Ministro dei Lavori Pubblici del Ventennio, ma intervenne l’allora diessino Fabio Mussi, il quale si rivolse persino a Silvio Berlusconi affinché si adoperasse in modo che quella piscina non venisse titolata a siffatta persona. Che pochezza…! Nella situazione dell’attuale cataclisma abruzzese, mi preoccupa molto quel che disse Berlusconi: egli avrebbe giurato sulle bare delle povere vittime che tutto sarebbe stato ricostruito bene e subito. Questo giuramento mi ricorda quello pronunciato dal suo lacché Gianfranco Fini che giurò sui feretri di Romualdi e di Almirante che sarebbe stato “l’artefice del Fascismo del XXI Secolo”.