…UN PERSONAGGIO SCOMODO PER I COMPAGNI COMUNISTI
– di Michele Falcone –
Si chiamava Nicolino Bombacci, fu il primo comunista italiano, amico personale di Lenin, eletto nel 1919 nella guida del partito socialista, morì da fascista, fucilato a Dongo e poi appeso per i piedi dai suoi ex compagni a Piazzale Loreto, al collo la scritta “supertraditore”. Per De Felice era un puro e un confusionario, rappresentava il comunismo-movimento e finì col rappresentare il fascismo socialrivoluzionario.
Interessante é la posizione di Bombacci nella Repubblica Sociale a Salò , in quanto personaggio controverso ma cruciale, rimasto quasi sempre nella penombra perché era imbarazzante quasi per tutti, fascisti, antifascisti e comunisti, insomma fu Bombacci una figura leggendaria, un personaggio che meriterebbe un film, una fiction televisiva, una narrazione popolare, proprio perché racchiude nella sua esperienza le due principali rivoluzioni del novecento, che si incrociarono nel sangue della prima guerra mondiale e poi negli ultimi anni della seconda.
Fu Bombacci che nel 1921 fondò insieme a Gramsci, Togliatti, Tasca e ad altri fuorusciti dal Psi il Partito Comunista d’Italia. Fu proprio lui a volere la falce e martello nella bandiera rossa, sull’esempio sovietico. Bombacci deve la sua fortuna di sovversivo a un paio d’occhi di ceramica olandese e a una barba bionda come quella di Cristo” così Mussolini dipinse il suo antico
compagno, poi nemico e infine camerata. Aveva quattro anni più di Mussolini, come lui maestro e pure lui cacciato dalla scuola perché sovversivo, compagno di lotte, di prigione e di giornali del futuro duce, e come lui nemico dei riformisti si separò da Mussolini dopo la svolta interventista e fascista, ma ritornò al suo fianco a Salò ed essere ucciso ed esposto con lui a piazzale Loreto, dopo aver gridato “Viva il socialismo, viva Mussolini (o “l’Italia,” secondo altri).
A differenza di Mussolini, Bombacci veniva dal seminario (come Stalin) e da una famiglia cattolica e papalina di Civitella di Romagna; nella sua vita sperimentò tutte le fedi nazionali: il cristianesimo, il socialismo, il comunismo e il fascismo. Pagando sempre di persona. L’anno in cui fondò il Pcd’I, Bombacci diventò il principale bersaglio dei fascisti che gli urlavano “Con la barba di Bombacci/ faremo spazzolini. Per lucidare le scarpe di Mussolini” Così lo ricordava Pietro Nenni: “una selva di capelli spettinati, uno scoppio di parole spesso senza capo né coda. Nessun tentativo di convincere, ma lo sforzo di piacere. Un’innegabile potenza di seduzione. E in tutto questo, un soffio di passione…” Sposato in chiesa, tre figli e varie storie d’amore alle spalle, perché i suoi occhi e la sua parola stregavano le donne
Bombacci si schierò con Gramsci dalla parte di D’Annunzio quando questi proclamò a Fiume la Carta del Carnaro.
E quando nacque il Pcd’I, Mussolini dirà in un discorso alla Camera: “li conosco i comunisti, sono figli miei”. Fu Bombacci a organizzare la clamorosa uscita del folto gruppo parlamentare socialista alla Camera il giorno dell’insediamento, prima che parlasse il Re, al grido di Viva il socialismo, fu l’unico dei comunisti italiani ad essere ricevuto in separata sede da Lenin nel 1920, mentre i leader comunisti italiani erano a Mosca a festeggiare la rivoluzione bolscevica, Mussolini conquistava senza resistenze rosse il potere a Roma, da allora Bombacci, collaboratore della Pravda, diventò un sostenitore dell’intesa tra l’Italia fascista e l’Urss comunista, fu il primo comunista a entrare nella Camera dopo l’avvento di Mussolini al potere ma non fu arrestato né aggredito, come si temeva, anzi continuò a far la spola con Mosca, soprattutto dopo che l’Italia di Mussolini era stata il primo paese occidentale a riconoscere l’Urss e ad avviare rapporti economici, a quanto pare, suo tramite.
Bombacci fu espulso dal partito per deviazionismo e indegnità politico-morale il 1928, dopo aver dato vita al primo traffico commerciale tra l’Italia e l’Urss attraverso un’agenzia di export-import con l’est comunista; Bombacci fu il precursore delle coop rosse. continuò per tutta la sua vita a navigare tra i debiti, aiutato poi proprio dal suo antico compagno e rivale Mussolini, che prima aiutò i suoi famigliari e poi gli trovò un’occupazione all’Istituto di cinematografia educativa, in una palazzina di Villa Torlonia, proprio dove risiedeva il Duce. Mussolini gli finanziò pure l’unico giornale fasciocomunista degli anni Trenta, La Verità, che già nella testata ricordava la Pravda, un giornale odiato da Starace e dai fascisti, che ebbe vita fino al 1943, nella cui rivista Bombacci teorizzava l’Autarchia, ma perseguì anche il progetto di unificare le rivoluzioni di Roma, Mosca e Berlino fino al ’41, quando la rottura del patto Molotov-Ribbentrop e l’alleanza del comunismo con le plutocrazie occidentali lo portò a condannare l’abbraccio con il capitalismo e a schierarsi con il fascismo.
Fu proprio in quel tempo che Bombacci e Carlo Silvestri volevano rivedere il caso Matteotti per dimostrare che quel delitto fu congegnato per evitare un riavvicinamento di Mussolini al socialismo. Fu proprio con Silvestri che Bombacci promosse e sostenne l’estremo tentativo di Mussolini di consegnare le sorti della Rsi al partito socialista di unità proletaria attraverso un messaggio consegnato a Pertini e a Lombardi, che i due leader partigiani cestinarono, ma Bombacci continuò a parlare tra gli operai della rivoluzione sociale: memorabile fu il suo ultimo discorso a Genova il 15 marzo del 1945, era ancora convinto che la forza dei discorsi potesse superare la forza delle armi e modificare la realtà. Fu così che Bombacci si ritrovò fino all’ultimo con Mussolini, nella colonna fermata a Dongo. Per essere poi fucilato ed esposto con il cartello di supertraditore. Di lui caduto si ricordano gli occhi azzurri rivolti verso il cielo, come si addice a un sognatore ad occhi aperti.