– di Vincenzo D’Anna * –
Credo che mai, in tutta la storia della umanità e della medicina, si sia parlato per così tanto tempo di una malattia che, affliggendo gli uomini, ha poi determinato un gravissimo squilibrio sia sociale che economico. Peste, colera, vaiolo, fino alla famosa “spagnola”, non hanno mai tanto allarmato e disorientato così larghi settori della popolazione a tutte le latitudini, come sta facendo oggi il Covid. Eppure la società moderna, quella che sopporta l’urto e le complicanze umane determinate del morbo, dovrebbe avere gli strumenti ed i farmaci, la conoscenza e l’organizzazione su scala mondiale per fronteggiare una calamità sanitaria senza creare grandi ed epocali scompensi. Almeno così credevamo. Tuttavia non è così e si fa strada da più parti l’idea che con questo virus pandemico occorra conviverci, proteggersi e curarsi continuando a praticare le usuali attività. Ancora nessuno ha potuto, saputo e forse voluto dirimere la questione alla radice: né la scienza che si barcamena tra varie teorie, né i governi che, tutto sommato, gestiscono, insieme ai problemi, una massa di denaro enorme per arginare e tenere sotto controllo l’ingravescenza della patologia. La cosa che più salta all’occhio è quella che ci si trovi in una situazione paradossale: si rincorre il virus per stanarlo, individuandone le tracce qualitative nel sangue degli individui, ancorché questo corrisponda quasi mai all’esistenza di una malattia (gli asintomatici, per capirci). La storia delle epidemie, sviluppatesi nel corso dei secoli, è stata rilevata e scritta annotando il numero e la gravità dei malati e dei decessi, non quello degli infetti. Insomma, più cerchiamo il virus, aumentando a dismisura il numero dei test molecolari (quelli rapidi sono poco più che una truffa autorizzata), più aumenta il numero di coloro i quali risultano essere venuti a contatto con il materiale virale e da questo desumiamo che il contagio avanzi inesorabilmente. Eppure così non è. La cosiddetta “seconda ondata” si caratterizza per l’evidenza di molti positivi ma con una letalità (numero di morti sul numero di infetti) che si segnala fortunatamente ai minimi. La cosa ha di per se stessa, una valenza assurda: meno malati e meno morti che segnalerebbero un…peggioramento delle condizioni morbose. E quale rimedio ci si appresta ad utilizzare: un vaccino? Un nuovo ritrovato farmacologico? Una cura con fermaci biologici mirati? L’uso di una strategia epidemiologica di grande acume? Affatto: il rimedio è quello che, fin dall’antichità ci viene tramandato: l’isolamento sociale!! La stessa pratica utilizzata coi lebbrosi, gli appestati, i vaiolosi, dai popoli. È mai possibile che nazioni progredite ed evolute non abbiano finora trovato niente altro che il sistema utilizzato dai nostri antenati? Peggio ancora se ci troviamo in una Nazione come l’Italia, ove serpeggia la paura che il sistema sanitario non regga l’urto del Covid. Quello stesso sistema che assorbe, come terza voce di spesa in bilancio, ogni anno oltre 120 miliardi di euro destinati alle venti diverse organizzazioni sanitarie regionali che operano all’ombra del Belpaese. Stando così le cose, i toni allarmistici del Governo, il bombardamento mediatico quotidiano ad altri non servono che ad accrescere la paura e disincentivare l’uso delle strutture ospedaliere. Un artificio che permette di non disvelare agli occhi del mondo che il cosiddetto fiore all’occhiello della sanità europea, tra i primi al mondo come modello di assistenza gratuita, è alquanto malandato. In un Paese come il nostro, ove la sanità a gestione statale agisce in regime di monopolio, con tutti gli sprechi, gli sperperi, le rendite politico clientelari che caratterizzano quel sistema statalista, si corre il rischio di non poter fronteggiare la diffusione del virus senza proclamare il coprifuoco al tramonto. Se qualche decennio addietro qualcuno avesse prefigurato una siffatta condizione, sarebbe stato sottoposto a trattamento sanitario. Ecco quindi che bisogna mistificare le cose. Un test molecolare di tipo qualitativo, artatamente spinto ai limiti delle reali possibilità rivelatrici del metodo analitico stesso, diventa una prova per diagnosticare una malattia e trasformare il cittadino in un contagiato. Anche chi scrive, risultato positivo al test Covid, sconta la quarantena, insieme a centinaia di migliaia di asintomatici. Gente sottratta al lavoro, alla produzione, alle attività basilare per una Nazione che finora altro non fa che dispensare a pioggia benefici sotto forma di elemosina a quelle categorie che sono state fermate. Eppure sarebbe bastato proteggere quelle fasce fragili di vecchi e malati, isolarli e curarli a casa quando e se possibile. Troppo razionale e soprattutto senza elargizioni. Allora non resta che aspettare: chi in casa già positivo e chi ancora in attesa di venire a contatto il materiale virale diffuso nell’ambiente. Torna quindi d’attualità il poema di Arnaldo Fusinato nell’ultima ora di Venezia ribellatesi agli Austro Ungarici “il morbo infuria, il pan ci manca, sul ponte sventola bandiera bianca”.
* già parlamentare