Un racconto lasciato sotto la porta in un giorno di pioggia. L’angolo di una busta gialla, di quelle che sei abituata a riconoscere da anni, sembra quasi ammiccare dal pavimento, simile a “fratello dubbio” quando ti guarda da sotto in su ed a “sorella curiosità” quando si affaccia piano e poi dilaga prepotente, occupando gli spazi abusivi della “discrezione”. Chissà perché, quando vogliono raccontarti qualcosa, chiudono i fogli in una busta gialla…e danno a quel pezzo di storia, una mano di anonimo che è sempre uguale a se stessa, con lo stesso odore di paura appena interrotta da una ribellione che è già consumata dal sonno. Noi siamo quel paese che spezza la verità in due parti, come si spezza il pane, ne mangia una parte e l’altra la conserva, perché poi?….non è dato sapere…un pezzo di pane evidente come la verità diventata l’unica plausibile, finché la stagione dell’impossibile, non fa di te un ruminante…
Gianni ed il cantastorie…
Nove del mattino e 31 gradi sul display. Stagione di piedi nudi sul cruscotto e infradito incrociati sui tappetini. Un ragazzino finisce di si scaccolarsi al finestrino prima di riprendere in mano lo smartphone. A venti minuti dalla strada che punta in su verso Roccaraso tra i filari storici di pini neri, il motore singhiozza ed accende la spia rossa. Una copiosa fumata bianca decreta la fine della gita in montagna.
Gianni, nome di fantasia, indossa la camicia Enel anche di sabato, quando non si lavora. Per lui non fa differenza. È in pensione, non segue la moda e il vestiario gliel’hanno consegnato nuovo giusto tre mesi prima della festa di addio al lavoro. Un tipo atletico, Gianni, fronte spaziosa e l’occhio vivace del bambino curioso. Si alza dal tavolino del bar e mi si fa incontro con un sorriso cordiale.
Non s’intende di motori, ma è amico del meccanico. Mezz’ora dopo la macchina è in officina e noi al secondo caffè. Ama raccontarsi Gianni. Mi dice che a Presenzano in ogni famiglia c’è qualcuno che lavora in centrale. Una delle più potenti in Italia, un gioiello di tecnica ingegneristica insiste a definirla. Continua a parlare Gianni di megawatt e dell’importanza di pompare ed accumulare acqua nel bacino superiore di notte per utilizzarla di giorno in generazione. Quando finisce di sciorinare numeri e concetti, Gianni tace, mentre una nuvola bianca dipinge ombre sulle casette bianche del paesino arroccato sulla collina. È in quel momento che scorgo una ruga sulla fronte del mio nuovo amico, una di quelle che più sei agitato e più scava.
Racconto storie per vivere e lui, evidentemente, ne possiede una da condividere. Permette di avere informato la direzione, ma nessuno è passato a verificare. Mi dice che dietro al recinto di ferro e cemento della centrale succedono cose strane. Stanze chiuse anche alla donna delle pulizie e rassettate dagli operai di una ditta, altre che odorano di colla e solvente. E nell’officina – magazzino con l’imponente portone rosso fuoco costruito per revisionare i componenti meccanici delle turbine, frequentemente transitano ringhiere e mobili da restaurare. Una vergognosa staffetta tra lavori aziendali e interessi personali. Se sei uno bravo a lavorare il ferro a Presenzano ci vieni in trasferta l’ultima settimana di novembre 2019 anche se da te è festa patronale e lavora settimane al Nord a diarie intere l’abile falegname con un talento nel restauro dei mobili. In comune le attività lecite e illecite hanno il fornitore di materiali, una ditta di Vairano che però, giura e si trattiene dal ridere Gianni, tiene separate le contabilità. Quando torna serio mi spiega che lui ha denunciato tutto ed ha pagato. Zero straordinario e trasferte.
È un uomo “a fantasia zero” Gianni. Uno di quelli ancorati alla realtà e impossibilitati a mentire. Uno di quelli che si affretta a fornire prove di quello che afferma se scorge incredulità nello sguardo di chi lo ascolta. Mi chiede di attenderlo e sgomma con l’Opel bianca sull’asfalto torrido. Torna con una busta gialla che appoggia sul tavolo. “Guarda se non mi credi” borbotta, ma proprio in quel momento compare il meccanico. Con l’auto e trecentocinquanta euro da pagare. Saluto Gianni e infilo la busta nello scomparto della portiera. La dimentico lì fino al giorno di lavare l’auto per il matrimonio di mia nipote. Dentro trovo tutti i riscontri al racconto di Gianni. Foto di auto aziendali priva di contrassegno, una ringhiera sul banco di lavoro e un muletto che sposta un mobile. Peccato non essermi scambiato il cellulare con Gianni, ho voglia di chiedergli perché secondo lui Enel dovrebbe intitolare in un certo modo quell’officina.