– di Vincenzo D’Anna * –
Divampa, in questi giorni, la polemica sullo stipendio del presidente dell’Inps Pasquale Tridico che, al netto di tasse e ritenute, guadagna quanto uno dei tanti magistrati, giornalisti, generali, uomini di spettacolo e direttori di rete al soldo della Rai TV, presidenti di enti pubblici e privati. Non desta però scandalo il concorso bandito dal presidente della Camera, il grillino Fico, per trecentocinquanta nuovi dipendenti presso la Camera di Deputati, ancorché si sia ridotto il numero dei Parlamentari.
In Italia siamo abituati da sempre ad ascoltare la voce dei moralisti, veri o farlocchi che siano. Non è difficile individuarli. Hanno la voce garrula e l’accusa facile, sono quelli che, per definizione, dovendo badare alla moralità altrui, perdono di vista la propria. Il clamore suscitato dalle denunce dei moralisti assume toni diversi, a seconda dei casi. Una variabile scaturente della nota propensione degli italiani ad indignarsi solo quando l’ingiustizia non abbia procurato loro alcun tornaconto. Quindi saremmo, per definizione, un popolo nel quale la coscienza morale si risveglia secondo convenienza, peraltro facendo spesso confusione tra due termini che appaiono simili, ma che non lo sono affatto, l’etica pubblica e la morale privata.
Nello Stato di diritto, la morale risiede nella legge. Quindi, chiunque abbia agito secondo la legge, lo ha fatto in assonanza con l’etica pubblica, ovvero con le norme che la comunità ha posto a salvaguardia degli interessi e dei costumi generali. Altra cosa è la morale personale, ovvero l’insieme dei precetti e dei divieti che ciascun individuo liberamente assume come base dei propri comportamenti. Una scala di valori alla quale ispirare la coerenza e le proprie scelte di vita.
Molto spesso i due termini vengono artatamente fraintesi dagli improvvisati moralisti, specie nel campo politico, per giudicare polemicamente un certo modo d’essere, per poterne trarre vantaggio agli occhi della gente. Una moralità spesso inventata, adattata alle circostanze ed alle convenienze della lotta politica, una rivendicazione di diversità etica che dovrebbe deporre in favore di colui che l’applica a se stesso.
Tuttavia, per quanto semplice ed accessibile sia la percezione della differenza tra etica pubblica e morale privata, in Italia si è creato da anni un clima giustizialista che ha trovato una recrudescenza ed un inasprimento, allorquando al Governo si cimentavano uomini dello schieramento di centrodestra. Un tormentone che per anni ha vissuto sulle pulci fatte al Cavalier Berlusconi ed a chiunque gli fosse sodale politico, salvo poi scemare gradualmente, fino a sparire, all’instaurarsi di un Governo di segno politicamente opposto. Uno zelo, quello degli esponenti del moralismo in servizio permanente effettivo, che riuscì anche a confondere, in uno stato laico, i peccati coi reati, ovvero a contrabbandare la sfera della morale privata con quella dell’etica pubblica. Intere legioni di magistrati ed investigatori hanno passato al setaccio segreterie politiche e camere da letto, come se fossero un tutt’uno, pur di imbastire processi, esponendo quei politici al pubblico ludibrio. Non vi furono altre priorità, come quelle di perseguire ed accertare reati di alta pericolosità sociale. Processi durati pochi mesi, con udienze rapide come saette, in un contesto nel quale la gente comune aspetta anni per ottenere giustizia per le gravi lesioni subite.
Un altro caso di scuola fu quello della caccia ai cosiddetti “impresentabili”, coloro che avendo procedimenti giudiziari in corso e si erano proposti candidati nelle liste elettorali. Le fonti del diritto e della civiltà giuridica ritengono innocenti i cittadini fino all’ultimo grado di giudizio. Essi quindi erano candidabili a tutti gli effetti di legge. Tuttavia, i moralisti gridavano allo scandalo, invocavano l’applicazione di un loro codice morale che, non coincidendo con i dettami della legge e dall’etica pubblica, non aveva alcun valore d’obbligo. Eppure i malcapitati venivano sbattuti in liste di proscrizione dalla Conmissione Antimafia.
Per anni, direttori di giornali orientati politicamente, intellettuali faziosi, politici nuovi di zecca, magistrati politicizzati a caccia di notorietà e di vittime illustri, hanno massacrato chiunque desse loro fastidio e non si fosse adeguato al loro codice morale, contrabbandato come vincolo etico. Così per gli scandali provenienti da altro segno politico, uno per tutti quelli del magistrato Palamara, al quale hanno messo la sordina, non pubblicando tutte le intercettazioni che riguardano alti magistrati ancora in servizio.
Insomma, come le oche del Campidoglio, i moralisti starnazzano solo quando avvistano il proprio avversario politico. La gente comune, ormai assuefatta, non distingue più le parti in commedia. Stufa di moralisti e moralismi.
*ex parlamentare