NAPOLI – Due armi sono meglio di una, per combattere il tumore al colon-retto metastatico: l’associazione di due anticorpi monoclonali, un farmaco a bersaglio molecolare e un immunoterapico, può arrivare a raddoppiare la sopravvivenza nei malati che rispondono meglio alla cura. Lo dimostra lo studio CAVE mCRC, una sperimentazione clinica di fase II a singolo braccio di trattamento condotta in otto Centri di ricerca italiani* e coordinata dall’Università della Campania Luigi Vanvitelli nell’ambito del progetto di ricerca I-Cure, interamente finanziato dalla Regione Campania per il triennio 2018-2020: cetuximab, anticorpo che blocca il recettore per il fattore di crescita epidermico (EGFR) presente sulle cellule neoplastiche, e avelumab, un immunoterapico anti-PD-L1 che modula la risposta immunitaria del paziente contro le cellule tumorali, agiscono infatti in sinergia e sono in grado di rallentare la progressione del tumore metastatico, candidandosi a diventare una strategia di terza linea per i pazienti in cui le altre opzioni terapeutiche abbiano fallito. Lo studio ha coinvolto 77 pazienti con tumore del colon-retto metastatico senza mutazioni dei geni della famiglia RAS, trattati da agosto 2018 a febbraio 2020, il 30% presso l’Università Vanvitelli, ed è stato presentato oggi al congresso virtuale della European Society for Medical Oncology (ESMO).
“La terapia con cetuximab e avelumab viene effettuata in questi pazienti con una strategia definita di ‘rechallenge’ – spiega Fortunato Ciardiello, professore ordinario del Dipartimento di Medicina di Precisione dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, coordinatore dello studio e past-president ESMO –. Si tratta della ripresa del trattamento con farmaci anti-EGFR in terza linea di terapia, in pazienti che dopo un’iniziale risposta a tali farmaci hanno purtroppo avuto la progressione di malattia e hanno pertanto ricevuto un successivo, diverso trattamento. In questi pazienti la malattia metastatica riprende e diventa resistente alle terapie oncologiche: la prognosi è negativa e i trattamenti di terza linea attuali sono efficaci in una porzione relativamente piccola di pazienti, con una sopravvivenza in media di circa 8 mesi”.
I ricercatori hanno perciò provato la combinazione di cetuximab e avelumab, già utilizzato nel carcinoma a cellule di Merkel (un tumore raro della pelle) ma non nel cancro del colon-retto, per verificare se possano funzionare in sinergia. E la prova ha funzionato, molto bene. I dati mostrano infatti che con la terapia combinata la sopravvivenza mediana sale a 13,1 mesi, con una sopravvivenza libera da progressione di 3.6 mesi e il controllo di malattia globale nel 65% dei pazienti, due su tre.
In 56 pazienti è stata effettuata anche una biopsia liquida, per analizzare se nel corso della terapia si fossero manifestate mutazioni di KRAS, NRAS e BRAF che potrebbero averne influenzato l’efficacia: il test, facilmente ripetibile, fornisce una sorta di carta d’identità genetica del tumore e consiste nella raccolta del plasma del paziente con un semplice prelievo di sangue per evidenziare la presenza di mutazioni che caratterizzano la neoplasia nel DNA circolante, derivato dai siti tumorali del singolo paziente.
“Le mutazioni, che rendono il tumore non responsivo a cetuximab, si sono verificate soltanto in 15 casi, gli altri sono rimasti RAS ‘wild type’, ovvero senza alcuna mutazione, durante tutto il trattamento – aggiunge Erika Martinelli, professore associato del Dipartimento di Medicina di Precisione dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli. L’efficacia della cura è risultata ancora più significativa nei pazienti rimasti senza mutazioni: la sopravvivenza mediana è stata di 16.5 mesi, quella libera da progressione di 4.3 mesi e si è avuto il controllo globale di malattia nel 73% dei casi, tre su quattro. Il 39% dei pazienti con malattia RAS ‘wild type’ inoltre ha una sopravvivenza libera da progressione maggiore di 6 mesi. Tutto questo con un profilo di sicurezza assolutamente accettabile: soltanto una leggera tossicità cutanea (nel 14% dei casi) e diarrea (nel 4%)”.
L’associazione consente di applicare l’immunoterapia ai tumori al colon-retto, che in genere rispondono poco all’impiego dei farmaci che influenzano la risposta immunitaria nei confronti del tumore: “Solo circa il 5% dei tumori al colon-retto risponde all’immunoterapia, ma in questo studio l’impiego di un immunoterapico quale avelumab in terza linea su pazienti metastatici sembra in grado di potenziare la risposta a cetuximab – riprende Ciardiello –. Se confermati da studi randomizzati di fase III, questi risultati permetterebbero di aggiungere una nuova efficace linea di terapia nella strategia globale e sequenziale di trattamento per i pazienti con cancro del colon-retto metastatico. Nei pazienti senza mutazioni per i geni KRAS, NRAS e BRAF cetuximab e avelumab potrebbero costituire una nuova terza linea di terapia che, grazie all’associazione di due anticorpi monoclonali e in assenza di chemioterapia, comporta un significativo incremento dell’attesa di vita”.
*Ospedale Pascale di Napoli, Ospedale Moscati di Avellino, l’Università di Pisa, l’Istituto tumori di Milano, l’IRCCS di Reggio Emilia, Ospedale Casa del Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, il Campus Biomedico di Roma.