TINTINNIO DI MANETTE

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       –          di Vincenzo D’Anna *          –             

vincenzo danna TINTINNIO DI MANETTECorsi e ricorsi storici, l’uomo che non cambia costumanze né modi di essere, anche mutando i contesti storici. La lezione del napoletano Giambattista Vico resta fortemente attuale, sopratutto nella sua patria e nell’agone politico.
Correvano gli ultimi anni del secolo scorso e brillava la stella politica di Silvio Berlusconi, novello principe che predicava la rivoluzione liberale, la fine dell’oppressione tributaria, la revisione dello Stato, bolso e ridondante. Una rivoluzione patinata, scorporata da messaggi violenti e da odi sociali che spesso caratterizzano i profondi e repentini cambiamenti sociali ed economici. La politica italiana svecchiava d’incanto abbandonando semantica, logica e liturgie antiquate. La propaganda politica puntava sull’immagine stereotipata, sul sogno di felicità a portata di mano, i politici si rigeneravano finanche nell’aspetto, mandando in soffitta le vesti austere e le consuete grisaglie scure ministeriali.
Un principe, quello impersonato dal Cavaliere, che non somigliava a quello scaltro di Niccolò Machiavelli per il quale la politica era ispirata alla massima che “governare è lasciar credere”. Il personaggio aveva ambizioni, mezzi televisivi e danaro disponibile per atteggiarsi ad un principe mediceo, uno di quelli che governando Firenze avevano dato vita al Rinascimento italiano. Infatti, si era circondato di un folto nucleo di intellettuali, filosofi, economisti, giornalisti e politici di stampo liberale, confezionando il più bel programma di governo visto in Italia, dai tempi di Cavour. I cittadini venivano liberati dalla tirannia dello Stato, padre e padrone, dalle esose gabelle e dalle catene di mille obblighi a cui assolvere. Cittadini liberati dalla farraginosità di uno Stato ancora ottocentesco, che si era portato dietro, oltre ad un immane debito pubblico, questioni ancora irrisolte a cominciare dalla rinascita del Mezzogiorno d’Italia. Tutto questo nel mentre fischiava il vento secessionista della Lega Nord che tentava di distruggere l’Unità d’Italia e la coesione sociale.
Il parterre dei collaboratori del Cavaliere era regale: Marcello Pera, Carlo Scognamiglio, Antonio Martino, Gianni Baget Bozzo, Luigi Compagna, Ferdinando Adornato, Giuliano Ferrara, Carlo Pelanda, Dario Antiseri, Paolo del Debbio, Marco Taradash, Francesco Forte e così via, fino a redento filosofo marxista Lucio Colletti. Tuttavia, sappiamo come siano finite le cose dopo venti anni, usurate sia dal tempo edace, sia dalla politica politicante, dai vizi e dai vasti interessi dal magnate Brianzolo.
Ma non bisogna dimenticare, oppure sottovalutare, l’incidenza dei metodi di lotta politica che Berlusconi ha subito, un micidiale combinato disposto, una tacita, a volte più che esplicita, intesa tra sinistra, magistratura politicizzata, forze economiche ed industriali concorrenti, nazionali ed internazionali, in grado di orientare stampa ed informazione che erano nella loro disponibilità. Un fuoco di fila micidiale, una gogna continua, che avrebbe sepolto chiunque in pochi mesi sotto la coltre del fango, delle accuse, delle pruderie intime e personali, dei veri e falsi scoop giornalistici che finivano regolarmente in procura e poi in Parlamento a delegittimare la figura di un concorrente che non si riusciva a sconfiggere nelle urne. Finanche la modernizzazione della politica, lo sdoganamento di termini e di opinioni furono messe al bando ed esecrate dalla egemonia culturale degli statalisti e dai marxisti. Parole e prassi marchiate come forme di un decadimento culturale e politico, salvo farle proprie qualche anno dopo.
Quella storia politica si è concluse con una legge retroattiva “contra personam”, la legge Severino, oggi dimenticata e raramente applicata, che espulse dal Parlamento uno dei principali protagonisti politici. Insomma, l’introduzione di fattori ed interventi extra-politici determinarono un evento che in democrazia, col consenso elettorale, non era mai stato raggiunto.
Oggi quella plumbea atmosfera aleggia intorno al nuovo leader di fatto del centrodestra, quel Matteo Salvini contro il quale protestano, ad ogni stormir di foglia, i centri sociali, i residuati bellici della sinistra e del giornalismo fazioso. Purtroppo non manca all’appello la forza politica togata, quella più potente, la magistratura strabica ed ideologicizzata che tuttora la fa da padrona, determinando esiti e sbocchi che la politica subisce. Politica che scontando il fio della accondiscendenza e della pavidità che mostra in Parlamento, per ripristinare i corretti rapporti di forza costituzionali.
Non ho simpatie per le idee che il “Truce” Salvini rappresenta, ho invece in simpatia il diritto che egli ha di manifestarle e di essere combattuto con la politica e nella politica. Viviamo il tempo della disillusione nel popolo e della ignoranza al potere, non serve il tintinnio delle manette per migliorare l’esistente.

* ex parlamentare

1 commento

  1. Ma avete la faccia come il culo! Andiamo ad analizzare quanti processi si siano conclusi con la prescrizione. Eh si anche li i giudici con il loro malafede hanno giocato sporco. Se solo uno dei vostri oppositori politici avesse avuto un 100 delle accuse lo avreste massacrato. Che brutta cosa le elezioni in italia dove da giornalisti si diviene giornalai in in attimo.
    Davide del Giuro

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