– di Mariantonietta Losanno – Ad Avechot, paesino immaginario dell’Alto Adige, scompare la sedicenne Anna Lou, figlia di adepti di una setta cattolica. Inizialmente si pensa ad una fuga, o ad un atto di ribellione, ma l’ispettore Vogel e i giornalisti cercano ad ogni costo un serial killer, un “mostro”. Con una serie di indizi si riesce a risalire ad un possibile sospettato, ma niente è come sembra e, soprattutto, nessuno è realmente innocente.
“È il cattivo che fa la storia. Non sono gli eroi che determinano il successo di un’opera, è il male il vero motore di ogni racconto”, dice Alessio Boni in una scena del film. In realtà, è Carrisi a prendere la parola attraverso gli attori, non a caso scelti accuratamente. Sì, bisogna riconoscerlo, quella di Carrisi è stata una scelta astutamente ponderata, il cast d’eccezione di cui si è circondato gli ha assicurato (a priori) gran parte del successo della sua opera: Toni Servillo, Jean Reno “italiano”, Alessio Boni, Galatea Ranzi, Michela Cescon. Questa però, non è la sola decisione ingegnosa presa dallo scrittore di Martina Franca. Proprio come afferma in un altro punto cruciale della pellicola sempre Alessio Boni, “La prima regola di un grande romanziere è copiare”. E Carrisi lo ha saputo fare, ed è lecito, soprattutto alla prima esperienza da regista. L’atmosfera idilliaca di un piccolo paesino (immaginario), il detective da fuori città che arriva sul posto, l’inspiegabile sparizione di una ragazza, la tranquillità prima della tragedia ricordano alla perfezione la prima stagione di “Twin Peaks” (David Lynch), e danno quel tocco vintage all’ambiente; ma Carrisi ha preso spunto anche da Hitchcock, maestro della suspense, da Fincher, dai fratelli Coen (omaggiando “Fargo”), da Shyamalan. Questo gioco gli riesce, perché Carrisi è capace di attingere dai grandi maestri senza perdere le sue peculiarità.
La storia è ben strutturata in ogni suo dettaglio, affascina, intriga e non risulta banale. “La ragazza nella nebbia” non è pretenzioso, e proprio per questo è ben riuscito. Si evince l’attenzione maniacale al dettaglio, anche minimo, ma si nota anche la scelta di introdurre tanti temi e l’abilità di saperli approfondire tutti senza lasciarne nemmeno uno abbozzato. E tutto questo, per uno scrittore che si cimenta per la prima volta nei panni di regista e sceneggiatore, non è una cosa da poco.
Un concetto interessante è la critica nei confronti del giornalismo e del fascino mediatico della criminalità. La giustizia non fa ascolti, l’importante è creare la notizia e sfamare la curiosità del pubblico che è alla ricerca di una prova, anche fittizia: una goccia di sangue, una traccia di DNA, un’arma nascosta, un particolare che incolpi la bestia da sbattere in prima pagina. In questo modo “La ragazza nella nebbia” diventa anche un romanzo e un film di denuncia, non solo del crimine, ma del crimine che fa spettacolo. L’esibizionismo mediatico è accentuato dal fatto che ci riferiamo a un paesino calmo e silenzioso, ma attenzione alla tranquillità: inganna! Se solo vogliamo pensare alla risonanza dei fatti di cronaca avvenuti a Cogne, Avetrana, Novi Ligure. La tranquillità è colpevole, uccide in senso figurato con la noia, e uccide in senso letterale perché porta a commettere crimini.
“La ragazza nella nebbia” è un thriller in cui ogni aspetto è attentamente studiato per accrescere la curiosità dello spettatore, e dove niente è dato per scontato. Se per tanti aspetti ricorda esperimenti precedenti (tra i riferimenti più recenti “L’uomo di neve” dal romanzo di Jo Nesbø per gli inquietanti paesaggi innevati), ha la forza di mantenere la sua unicità e non cadere nella copia.