– di Mariantonietta Losanno –
Londra, anni Cinquanta. Reynolds Woodcock è un celebre stilista acclamato e desiderato da tutti, veste la famiglia reale, le star del cinema, le ricche ereditiere, le signore dell’alta società. Un giorno conosce Alma, cameriera di un hotel, e resta incantato dalla sua bellezza. La giovane donna, immediatamente sedotta dal suo fascino, si trasferisce a casa Woodcock e diventa la sua musa. Ma il cinismo di Reynolds stenta a sopportare la dolcezza e la tenerezza di Alma: a tutto questo serve un rimedio, una sorta di compromesso, anche se risulterà essere totalmente estremo e pericoloso.
Misoginia, violenza, sadomasochismo: Paul Thomas Anderson mette in scena un amore esasperato che inevitabilmente diventa folle (e in questo caso ci si riferisce ad una follia lucida). “Il filo nascosto” è un’opera psicologicamente complessa, in cui i giochi di manipolazione sembrano essere l’unica soluzione possibile affinché un sentimento regga. Qual è il filo nascosto che lega due persone? Ci si può ostinare al punto tale da tenere in vita un legame dovendo annullare una parte del proprio essere? Alma vorrebbe mostrare determinazione nel non desistere neanche di fronte alla più ovvia evidenza nei confronti dell’oggetto del suo amore, ma la sua è un’azione passiva e non attiva: l’unico modo per ricevere amore da parte di Reynolds e per “placare” il suo atteggiamento ostile (in modo particolare verso le donne) è renderlo inerme e indifeso e incapace di avere il controllo. È la menomazione delle possibilità fisiche ed intellettuali l’ultimo tentativo per superare il conflitto. Alma, dunque, lavora sui gesti da “automizzare”, ha bisogno di un metodo -nonostante sia sadico- per dominare, dato che Reynolds nel pieno delle sue capacità non glielo consente: nasce una sfida, un gioco di sguardi, di pensieri ricamati e nascosti nelle pieghe, negli orli o nei risvolti. È solo su “quel che resta del corpo e della mente” di Reynolds -trasformato ormai in un manichino privo di identità, pronto ad essere vestito e svestito- che Alma può esercitare il proprio controllo. L’idea che dietro un’immagine, un volto, un vestito si nasconda qualcosa di più profondo è estremamente affascinante. Desiderare di scoprire il mistero che c’è oltre il visibile stabilisce un rapporto particolare tra l’immagine e la parola, dove quest’ultima non è sufficientemente esaustiva, proprio perché c’è una verità nascosta oltre ciò che riusciamo a vedere.“Il filo nascosto” presenta il mondo della moda da una prospettiva diversa: sono moltissime le scene in cui i tessuti vengono toccati, tagliati, ricuciti; assistiamo al lavoro delle sarte, vediamo addirittura i calli sulle dita e ascoltiamo i commenti sulla consistenza dei tessuti sulla pelle. È un’opera che seduce, che sa gestire la suspense (e nel farlo si ispira palesemente ad Hitchcock, specialmente a “Rebecca – La prima moglie” e a “Vertigo”). “Se giochiamo a chi abbassa per primo gli occhi perderai sicuramente tu!”, dice Alma al primo appuntamento con Reynolds: questa battuta anticipa il rapporto ossessivo e pericoloso che animerà l’intera pellicola. Questa forma di ossessione non ammette una redenzione, un desiderio di perdono, anzi al contrario, un ostinato e malato piano di raggiro.