– di Vincenzo D’Anna * –
Chi ha un minimo di conoscenza della storia e della politica sa che il termine “utile idiota” viene attribuito, solitamente, a Lenin anche se, in realtà, tale espressione pare non sia mai stata trovata nei documenti pubblicati dal politico russo che diete vita e sostegno ideologico alla rivoluzione dell’ottobre del 1917. Una rivoluzione che sfociò in una cruenta guerra civile, durata fino alla destituzione ed all’uccisione dello zar (e di tutti i membri della sua famiglia), alla confisca dei beni degli aristocratici ed all’instaurazione del regime comunista dei soviet. L’espressione, in ogni caso, è comunemente intesa nel senso leninista del termine, vale a dire rivolta a tutti coloro che, pur appartenendo alla borghesia e vivendo in Occidente, parteggiavano per il successo dell’ideologia marxista, contrariamente ai propri interessi di classe. Per la verità, venendo a tempi più vicino a noi, furono definiti “utili idioti” anche tutti quei personaggi noti che si candidavano da indipendenti nelle liste del Partito Comunista Italiano. Ma bando alle ciance: in questo editoriale il termine “utile idiota” viene utilizzato nel suo senso semantico ed etimologico, vale a dire nella radice greca, ovvero di “idios” che significa isola, sostanzialmente persona isolata, disinteressata del contesto sociale e politico nel quale vive. Per capirci: sarebbero degli idioti quelli che si fanno scivolare la vita addosso senza porsi nella condizione di essere consapevoli e partecipi di quello che accade nel mondo, che esuli propri interessi personali e familiari. Nell’accezione comune il termine viene però malamente usato, con un significato spurio riferito alla scarsa capacità di comprendere ed interpretare l’esistente. Insensibile alle passioni sociali e politiche, costui impara, perlopiù, per sentito dire che, com’è noto, rappresenta la peggiore forma di apprendimento. Non scomoderemo i sociologi, gli psicologi o i politologi, per spiegare, alla radice, l’origine di questa forma di atteggiamento radicata negli anni, sopratutto in regioni del nostro Paese in cui l’idiozia è sempre stata confusa con il “quieto vivere”, ritenuta un modo di comportarsi consono alla acquisizione della benevolenza dei potenti. Insomma: una via di mezzo tra l’accidia e l’ignavia. Orbene, innanzi al riproporsi della eterna querelle sui flussi migratori e sul pericolo del Covid-19 ad essi legato, ci sarebbe da chiedere a ciascuno di quanti alzano la voce e diffondono allarmi, quali siano le credenziali che li accreditano ad assumere questo tipo di atteggiamento. Credenziali, si badi bene, intese nel senso che questi cittadini si siano personalmente informati sul problema, che conoscano, cioè, le questioni sanitarie relative all’evento epidemico inteso nella sua reale dimensione. Cominciamo col dire che non esiste alcuna minaccia virale attribuibile ai migranti e che essi non sono affetti da particolari malattie se non quelle derivanti dalla malnutrizione e dagli stenti patiti durante il lungo viaggio che hanno dovuto sopportare per arrivare in Italia e dalla permanenza in campi di accoglienza simili a veri e propri lager. Come tutti noi, sono positivi ai controlli e sono quasi sempre asintomatici, quindi, di fatto, non “malati”. Peraltro, essendo per lo più giovani e bambini, sono ben protetti dall’attecchimento del morbo. E poi, piccola postilla sulla quantità: i migranti sono di numero enormemente inferiore rispetto alle migliaia di italiani che, in queste ultime settimane, si sono recati in ogni parte del mondo in vacanza o per affari. Ora, assodato che non sono moderni Lanzichenecchi portatori della peste, va innanzitutto ribadito il principio di umanità e di solidarietà nei confronti di persone che non possono essere lasciate in balia delle onde e preda di scafisti negrieri. Tuttavia, ciò non toglie che occorre darsi da fare per intensificare accordi frontalieri con i paesi africani impiantando su quei suoli da dove il flusso migratorio prende le mosse, campi di accoglienza e di cura fatti come Dio comanda, organizzati e tenuti, perché no, dalla Comunità Europea. E poi, un attimo dopo, passare all’accoglienza, ricevendo quanti partono, a scaglioni contingentati già assegnati ai Paesi in cui costoro andranno a stabilirsi in proporzione alle esigenze ed alle opportunità delle rispettive nazioni europee. E tuttavia quella che sembra una banale idea organizzativa da svolgere per via diplomatica prima, ed umanitaria poi, in sintonia con le organizzazioni assistenziali delle Nazioni Unite con mezzi idonei delle medesime, appare una folle quanto irrealizzabile chimera. Perché mai? Cosa impedisce la realizzazione di questo disegno non è dato sapere, tale soluzione forse appare un’improbabile “alzata di ingegno” agli occhi del nostro sprovveduto Ministro degli Esteri. Dal canto suo, il centrodestra è ormai infognato da tempo in una campagna acritica nei confronti dei migranti, che non lascia spazio a soluzioni semplici e praticabili che diano al nostro Paese gli attestati umanitari ed evitino le paure xenofobe. Una buona dose di liberalismo non farebbe male né a Salvini né alla Meloni. La domanda quindi sorge spontanea: la destra, così stando le cose, vuole rinnovare il proprio bagaglio culturale in senso liberale, oppure le bastano i voti dei soliti idioti? Questo lo sapremo solo vivendo.
*ex parlamentare