– di Vincenzo D’Anna* –
Ricorre, nei prossimi giorni, l’anniversario della morte di Alcide De Gasperi. Fu dirigente e parlamentare del Partito Popolare di Don Luigi Sturzo e fondò, nel secondo dopoguerra, la Democrazia Cristiana. Il Partito Popolare Italiano nacque nel 1919, appena qualche mese dopo la fine della vittoriosa Prima Guerra Mondiale. Sturzo elaborò un manifesto di valori indirizzato a tutti gli italiani “liberi e forti” nelle loro idee, che intendevano concorrere alla formazione della politica nazionale. Un’adesione consapevole ai principi del liberalismo popolare e per il ritorno dei cattolici nell’agone politico.
Il Partito Popolare così avviato favorì il ritorno dei Cattolici alla politica, superando l’impedimento stabilito dalla proibizione papale di Pio IX. Si trattava di un residuato della protesta sancita dalla Chiesa per la breccia di Porta Pia e l’annessione dello Stato pontificio al nascente Stato italiano.
Il programma politico dei popolari attingeva, sostanzialmente, alla dottrina sociale della Chiesa indicata nella enciclica “De Rerum Novarum” che Papa Leone XIII aveva pubblicato per tracciare un solco tra le tesi sociali cattoliche e quelle sostenute dai socialisti massimalisti. I socialisti si ispiravano perlopiù alle tesi del marxismo leninismo e della rivoluzione russa, occupavamo fabbriche e latifondi in ragione dei principi rivoluzionari. Occorreva una proposta politica diversa che desse vita, attraverso il neonato Partito Popolare, a molteplici iniziative politiche e parlamentari. Tra quelle più note, la teoria economica dell’interclassismo, ovvero un capitalismo ben temperato nel cui contesto i bisogni degli ultimi e degli svantaggiati erano anteposti alla logica del profitto, istruzione ed assistenza per tutti. E inoltre, il riconoscimento della proprietà privata, intesa come frutto del lavoro e del risparmio dei lavoratori, le autonomie locali e il principio di sussidiarietà nella architettura dello Stato.
Questo modello prevedeva la graduazione dei poteri e delle decisioni che partiva da basso, dai comuni. Le classi sociali erano concepite sullo stesso piano e cooperanti tra di loro, in alternativa alle tesi che volevano i proletari in eterno conflitto coi borghesi. Insomma, la prefigurazione di uno Stato moderno che anticipava di mezzo secolo il futuro dell’Italia. Il fascismo, purtroppo, spazzò tutto via utilizzando la violenza e la disperazione dei reduci di guerra, nonché le legioni in camicia nera.
Una volta al potere, Mussolini esiliò i principali esponenti del Partito Popolare e ne chiuse le sedi, insieme a quelle degli altri partiti politici. De Gasperi riparò in Vaticano e Sturzo dovette trasferirsi in America. Vennero chiusi anche le sedi dei sindacati, delle cooperative e delle leghe bianche, di ispirazione cattolica. Restarono in pochi a poter far sentire la voce del cattolicesimo popolare in Italia. Tra questi va ricordato Guido Gonella che dalle colonne del giornale del Vaticano, l’Osservatore Romano, redigeva editoriali sotto il titolo di Acta Diurna, nei quali descriveva i guasti della dittatura interna ed i pericoli del debordante nazionalsocialismo hitleriano.
Finita tragicamente la guerra, De Gasperi fece parte del comitato di liberazione nazionale e ritornò così alla politica trasformando il Partito Popolare nella Democrazia Cristiana. De Gasperi definì il partito democristiano come un partito laico ma di ispirazione cristiana, non il partito dei cattolici, ma un partito di cattolici. Ebbe l’incarico di presiedere ben otto governi repubblicani, nell’epoca in cui le superpotenze vincitrici della guerra si spartivano il mondo. De Gasperi portò l’Italia nel patto Atlantico, collocando la nazione nella sfera dell’occidente liberale.
Il 18 aprile del 1948 vinse col 48% dei voti le elezioni nello scontro col fronte socialcomunista, ideato da Togliatti e Nenni, che propendevano per collocare l’Italia in una condizione di neutralità internazionale. Ereditò le macerie materiali e morali postbelliche, un’Italia in braghe di tela ed affamata, ricostruendola efficiente e moderna, in un contesto di equità sociale e di libertà civili.
Quando tutto sembrava perduto, a causa degli esiti della guerra e per l’ignominia di essere stati alleati del nazismo, la figura di De Gasperi si stagliò imponente sulla scena internazionale. Celebre l’intervento alla conferenza di pace di Parigi, nel 1946, ove difese i territori italiani dalle mire straniere. “Prendo la parola in questo consesso mondiale – disse – e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me”. Si sedette al tavolo delle trattative con le potenze alleate e seppe far valere la sua diplomazia.
Estraneo ai giochi di partito, ne fu esiliato e morì povero, come visse, senza eredi politici di pari grandezza. La speranza è che la scuola, illustrandone la figura, lo salvi dall’oblio per consegnarlo all’ammirazione dei posteri.
*ex parlamentare