Penso che le vacanze facciano male, soprattutto se si va al mare o in montagna, tutti quei posti dove una volta ti mandavano qualsiasi cosa avessi, per il solo motivo dell’«aria salubre».
Non hanno mai fatto bene soprattutto agli scrittori che in vacanza hanno sempre dato il peggio di se stessi. Nietzsche per esempio amava l’Engadina svizzera, così qualcuno crede basti andare in Engadina per sentirsi filosofo, e ovviamente quelli del turismo locale si sono inventati la penisola di Nietzsche, le guide più trash vi suggeriscono di andarci per pensare i pensieri che pensava Nietzsche. Ma mica i pensieri tratti dall’Anticristo o da La gaia scienza, che uno volendo se li pensa tranquillamente a casa, ma piuttosto cose tipo: «Quanto deve essere felice colui che prova questa sensazione proprio qui, in quest’aria costantemente soleggiata, in questo malizioso e giocondo gioco dei venti dall’alba fino a sera, in questa purissima chiarità e modesta freschezza… ». A me sarebbe già passata la voglia di metterci piede, in Engadina, se mai mi fosse venuta, e se Nietzsche scriveva queste stronzate, figuriamoci che cazzate mai scriveranno i comuni mortali.
Poi c’è Hemingway, che lo ritroviamo ovunque, io non l’ho mai sopportato, né prima de Il vecchio e il mare, né dopo. Appena ne sento il nome sento puzza di pesce dappertutto. Non sono mai riuscito ad iniziare un suo romanzo e continuo a pensare sia sopravvalutato, nonostante il suicidio con stile, peraltro già da vecchio: troppa vita, troppo poco pensiero. Forse inconsciamente è uno dei motivi per cui non mi è mai venuta voglia di andare a Cuba, a parte che mi basta già l’idea di Cuba per non volerci andare: mi vengono in mente solo cose brutte come Castro, Jovanotti, Gianni Minà e una mia ex stronza e, appunto, Hemingway. Se dovessi andare in vacanza da qualche parte, andrei dove non è stato Hemingway, ragione per cui forse non vado mai in vacanza. Io ci vivo in vacanza. La vita è una vacanza.
Altrettanto inutile sarebbe farsi le valigie per Cabourg, in Normandia, per ritrovare l’essenza del mio amatissimo Proust, per il semplice fatto che la Recherche è tutta nella Recherche, un po’ come L’infinito di Leopardi che non è lì davanti alla siepe di Recanati, dove tutti i turisti si fanno imbambolare seguendo stupidi cartelli con scritto «siepe dell’Infinito », sperando di vedere e sentire chissà cosa. Però la suggestione di vedere il Grand Hotel di Cabourg è fortissima, ma come in Engadina c’è la penisola Nietzsche, qui non poteva mancare una «Promenade Marcel Proust», con ombrelloni e cabine stile “fin de siècle”. Le guide turistiche dicono che lì «Proust è nell’aria», e quindi bisognerebbe respirare più che si può, l’aria è compresa nel prezzo. Se poi si vuole sperimentare il top della suggestione sappiate che la camera di Proust è al quarto piano, la 414 per la precisione, prenotabile. Se non la si trova libera si può affittare quella accanto, della mamma. Ma non è la stessa cosa e se non trovate neppure quella libera siete proprio degli sfigati, forse potete prenotare la stanza numero 43 dell’Hotel Roma a Torino, dove si è ucciso Pavese, o forse vi meritate anche di peggio, come le vacanze in quei posti tristi del club Moraviano, a Sabaudia, dove andavano appunto Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini. Ci andava pure Italo Calvino, ma poi preferì Roccamare, vicino a Castiglione della Pescaia, dove ora c’è solo la sua tomba, meravigliosa, appartata, essenziale, una colata di cemento con nome, cognome, data di nascita e di morte, fine.
Comunque per me come la si rigiri, farsi vedere al mare è molto lesivo all’immagine: io trovo ridicola perfino la foto di Gabriele D’Annunzio a Francavilla al Mare, che avvolto in un sudario sembrava un Lazzaro risorto, non lo so, sarà magari pure una posa decadente, ma sembra uno scemo che si è appena fatto il bagno e la mamma poi l’ha avvolto nell’asciugamano e sta per infilargli il calippo in bocca per farlo stare zitto.In quel di Sabaudia comunque solo il peggio. Moravia mentre passeggiava a mare andava a telline e ne leggo…«che apriva con infallibili colpi d’unghia per poi succhiare», io credo che dovesse essere uno schifo a vedersi. Infatti dopo aver succhiato le telline Moravia esclamava spesso: «Vado a comprare un bel pesciolone », e tornava col pesciolone che poi Dacia cucinava.
Circondati da pesci grandi e pesci piccoli della letteratura, nelle estati troppo estive finiva pure tutto il maledettismo di Carmelo Bene. Così per un istante mi è caduto anche il mito di Bene: uno se lo immagina perennemente al buio, allucinato dal suo stesso genio come in Nostra Signora dei Turchi, e invece una volta è andato pure lui a Sabaudia con Moravia e Pasolini. Bellezze in spiaggia? Non lo so, certe cadute di stile non si perdonano a nessuno, figuriamoci a Carmelo Bene. È come immaginarsi De Sade uscire dalla Bastiglia per andare a prendere il sole a Baia Domizia in costume, e con la trippa di fuori.
PepPe Røck SupPa