– di Mariantonietta Losanno –
La vendetta continua. In “Kill Bill: volume 2” c’è meno azione, ma una maggiore carica emotiva. Come il giorno e la notte, il bianco e il nero, le due metà di quest’opera epocale sono simili eppure opposte: se nel primo volume il tema principale era la violenza efferata, nel secondo troviamo anche i sentimenti. Il secondo capitolo ci mostra una sorta di dolcezza e di malinconia; sin dalle prime scene, infatti, è evidente che ci troviamo di fronte ad una pellicola profondamente differente da quella precedente, caratterizzata da lunghi dialoghi e da un numero di combattimenti minore (ma non per questo meno brutali, come quello tra Uma Thurman e Daryl Hannah); e che presenta anche un cambio di direzione per quanto riguarda le citazioni cinematografiche. Dove c’era solo Vendetta, ora c’è anche Amore.
Dopo essersi ripresa miracolosamente dal coma, “La Sposa” ha ancora due nomi nella sua “lista”, Budd e Elle, prima di raggiungere Bill. Finalmente ci viene mostrato il volto di Bill: è David Carradine a dare identità a questo personaggio, e a conferirgli carisma. Beatrix, dopo il coma, la violenza e la sepoltura, è rinata: la vendetta assume un’accezione più ampia, che comprende anche il desiderio di rinascita. “La Sposa” è una donna diversa, più emotiva: Tarantino la fa agire di meno, ma impreziosisce la narrazione con dialoghi e monologhi essenziali. Il quadro d’insieme si fa più chiaro, si comprendono le ragioni di ogni personaggio: le carte vengono scoperte. Bill diventa protagonista, e addirittura, da carnefice diventa vittima: appare come un uomo ferito dalla donna che ama, alla quale ha dovuto infliggere una punizione esemplare.
I due film si reggono in piedi anche da soli, ma beneficiano della presenza e visione dell’altro. Se tutto fosse stato unito in un’unica opera forse il risultato non sarebbe stato lo stesso: Tarantino, dopo aver caricato lo spettatore di un’adrenalina alle stelle, si placa (pur restando sopra le righe) per soffermarsi sulle emozioni. L’amore di cui si parla è quello della Sposa verso sua figlia: Beatrix viene dunque mostrata non (solo) come una killer, ma come una madre. Per arrivare, però, ad una sorta di “felicità”, bisogna passare ancora una volta per il dolore. Tarantino mantiene linearità, pur cambiando totalmente il ritmo della narrazione: gli accorgimenti tecnici sono diversi ma perfettamente coerenti alla storia raccontata. Potremmo asserire, nel complesso, che “Kill Bill” presenta una parte più dinamica e una più riflessiva, contraddistinte entrambe da un turbinio di emozioni che in certi casi disorienta e che porta lo spettatore a fare confusione a distinguere il Bene dal Male. Un’opera magistrale.