– di Nicolò Antonio Cuscunà –
Un poco di sana revisione storica non guasta. Revisione non significa cambiare e riscrivere fatti ed avvenimenti del passato in modo differente o diametralmente opposto ma significa leggere quegli accadimenti, con altra e differente angolazione d’osservazione. Nel nostro caso gli avvenimenti riguardano la storia del Sud prima dell’Unità d’Italia del 1861. Prenderemo spunto dall’atto deliberato dal Consiglio Comunale di Caserta posto in essere, dalla giunta di Carlo Marino, rispetto alla dichiarazione di “Opera di Pubblica utilità'” per l’abbattimento e la ricostruzione dello stadio di calcio Alberto Pinto. Opera eventualmente da realizzare, in deficienza di risorse finanziare dell’Ente (due dissesti finanziari e mezzo), affidandone la costruzione ad una cordata d’imprenditori privati. Fin qui, nulla di anormale, considerata l’esistenza dell’Istituto del “project financing”, normato dal legislatore per coinvolgere capitali privati nella realizzazione di opere pubbliche. Il problema si paleserà nell’affidamento di tale opera, con incarico diretto, senza gare, con risorse non propriamente private ma pubbliche. Cioè, la possibilità, per questi imprenditori, d’usufruire di risorse non propriamente proprie ma derivate dal pubblico, bandi pubblici, ecc, ecc. La finanza di progetto, ovvero l’impiego di risorse finanziarie private per la realizzazione di Opere Pubbliche è sistema adottato da sempre. Attività economica sperimentale, così venne definita l’opera di “Bonifica della piana di Rosarno”, realizzata nel 1818/22 dal colonnello luogotenente generale di Ferdinando I delle Due Sicilie (già Ferdinando IV di Napoli) Vito Nunziante. Questo militare, benemerito di Casa Borbone, per essere stato testimone della cattura, processo e fucilazione di Gioacchino Murat, assunse l’incarico della bonifica, a sue spese e da completare entro 5 anni, pena la perdita degli investimenti. Quindi, per mancanza di risorse pubbliche la Corona di Napoli e Sicilia, unitamente al Decurionato (comune) di Rosarno, stipularono un contratto di Project Financing col militare dal pallino d’imprenditore. I lavori eseguiti in tempo utile, 4 anni e 6 mesi, fruttarono al marchese Vito Nunziante 2/3 dei terreni bonificati, 1.300 tomolate (moggia), il rimanente terzo, quelli migliori, vennero assegnati a Rosarno e concessi agli abitanti per la coltivazione. Vito Nunziante per realizzare l’opera utilizzò manodopera locale, carrettieri, zappatori, agricoltori esperti, botanici, geologi (Guglielmo Gasparrini, Leopoldo Pilla). Inoltre fondò un villaggio detto “Le Casette”, al cui interno venne costruita la Chiesa, l’asilo per i figli delle maestranze ed il palazzo nobiliare, furono assunti per la cura dell’anima e del corpo un prete ed il medico condotto. Oggi quel paesino è un Comune della piana in provincia di Reggio Calabria e si chiama ” San Ferdinando”. Le paludi bonificate divennero campi coltivati a cereali, oliveti, agrumeti e la “gelsobachicoltura” per fornire i setifici di San Leucio. Oggi tutto questo non esiste più, le rigogliose colture della piana sono state “distrutte” e sostituite dal bacino del “porto di Gioia Tauro”. Cosa aggiungere alla storia dell’elargizione per 90 anni in proprietà dello stadio Pinto a dei privati imprenditori? Duecento anni fa Ferdinando IV di Napoli (il famoso lazzarone, puttaniere e cacciatore), divenuto I delle Due Sicilie (dopo il Congresso di Vienna del 1815/16), curava gli interessi delle popolazioni del Sud, malarico e povero, utilizzando idee e risorse di privati. Oggi il podestà di Caserta, con i suoi scudieri, svende una parte della Città ad una cordata di privati, camuffati da benefattori del popolo. Lo stadio del calcio va migliorato ma non alle condizioni stabilite, a perdere, dal Consiglio Comunale di Caserta. Consiglio comunale a termine di mandato, consiglio delegittimato per inattività e scarse produzioni pubbliche. Caserta ha bisogno del Piano Urbano Comunale, il PUC, da cui trarre le direttive guida per gli anni futuri. Caserta ha bisogno di realizzare il “suo Distretto Turistico” riferito all’area vasta che si sviluppa lungo la Via Appia Traianea, Legge quadro sul Turismo e Legge Regione Campania) Caserta non merita essere svenduta a falsi benefattori, non garanti di nulla se non solo dei loro interessi. La storia serve, la storia va ridefinita, la storia va studiata e fatta conoscere, la storia serve per non commettere errori e per cogliere quello che di bello ed utile insegna.
(Fonti e bibl.: archivio di Stato di Napoli; sez. Archivio dei Nunziante di San Ferdinando; G. Gasperrini – Discorso intorno alle origini del villaggio di San Ferdinando e sopra le principali cose che quivi si coltivano. La bonifica di Rosarno e il villaggio di San Ferdinando – saggio di storia agraria – FI 1929.)