ALTRI OBBROBRI DELL’IGIENE ‘2.0’
– di Luigi Cobianchi –
Cari amici, dopo una breve pausa dovuta alla ripresa delle attività ordinare, rieccoci insieme!
Negli ultimi due appuntamenti ci siamo occupati – dimostrandone, in alcuni casi l’inefficacia se non la pericolosità – dei tre ‘totem’ dell’igiene ‘2.0’, quelli della premiata ditta ‘svarioni, crisantemi &co.’, che ha continuato ad imperversare sulle reti televisive nazionali, nonostante l’evidenza dei fatti ne abbia demolito le affermazioni antiscientifiche al ritmo di almeno una al giorno.
Oggi vogliamo occuparci di un’altra str.…amberia megagalattica.
Come certamente ricorderete, tra i primi messaggi recanti ‘raccomandazioni’ per contrastare la diffusione del SARS-CoV-2 – ossessivamente ripetuti dalla TV, su indirizzo di quel soviet supremo in cui si è trasformato il Governo e, segnatamente, del suo ministero della propaganda – ‘spiccava’ quello relativo a come espletare un’ordinaria funzione fisiologica: il tossire.
Ebbene, cosa si sono inventati, al riguardo – tentando, subdolamente, di imporcelo – i nostri ‘fenomeni’ televisivi, probabilmente alla ricerca di quella (pseudo)notorietà che deriva dalla stravaganza, avendo deciso, una volta e per tutte, di dichiarare guerra alla scienza?
Di farlo…nella piega del gomito. L’immenso Totò, con tutta la forza della sua icasticità, avrebbe esclamato:
Una vera e propria follia, capace di trasformare i nostri indumenti – soprattutto quelli non lavabili in casa, come giacche e cappotti da uomo – in una sorta di ‘incensieri’, diffusori (per ore) non di profumi olezzanti, bensì… di virioni. Tanto più che con quello stesso gomito – secondo una recentissima, quanto assurda moda che fa sentire tutti tanto ‘fighi’ e teenager anche chi dimostra tutti i quarti di secolo che ha – viene utilizzato per salutare, in una sorta di ‘tuca tuca dell’epicondilo’, di ‘brindisi dell’ulna’. D’altra parte, superato il saluto a braccio teso, nella doppia variante (altrettanto sinistra) del pugno chiuso, o del palmo aperto, qualcosa di nuovo si doveva pur architettare e fu così che, dopo millenni di evoluzione, l’essere umano per salutarsi cominciò… a prendersi a gomitate!
Continuando in tale direzione, chissà questi fan dei The Flintstones in cosa penseranno di trasformare l’abbraccio, magari in un bel colpo di clava!
I più attenti di voi avranno notato che, dopo un ‘boom’ iniziale, il predetto, funesto ‘suggerimento’ della tosse nella capsula articolare era scomparso dall’elencazione che compariva negli spot televisivi. Probabilmente qualche anima scientifica santa l’avrà contestato nelle sedi competenti.
Ma l’associazione de qua non si è arresa, perché reinterpretando originalmente «Il Cantico dei cantici» per loro la morte è più forte dell’amore (narcisistico e per gli affari), sicché, da qualche settimana, l’obbrobioso messaggio è ricomparso in scaletta!
Però, diciamocela tutta, in questo caso non sono stati del tutto dispotici, perché ci hanno fornito persino un’alternativa! No, non l’ascella – magari teorizzando una guerra tra i batteri derivanti dalla degradazione dei feromoni e il virus – bensì tossire ponendo davanti alla bocca una mano, o un fazzoletto. Orbene, questa può essere una buona regola di galateo, di bon ton, ma dal punto di vista igienico-sanitario rappresenta un atto criminale, salvo avere la possibilità di lavarsi immediatamente le mani o di liberarsi del fazzoletto (si spera monouso) in un contenitore more solito per rifiuti speciali, a tenuta…
Questi igienisti della domenica – che occorrerebbe rispedire di gran carriera nelle aule universitarie, non certo da docenti, bensì come discenti, e di un primo anno, non di più – andrebbero, a questo punto, formalmente diffidati dal proporre rimedi così ridicoli, ben peggiori del male.
Ciò posto, molti di voi, dopo aver letto i miei due ultimi scritti, si sono domandati: se guanti, mascherine e molti dei disinfettanti liquidi in commercio non solo non ci proteggono dal virus, ma rischiano di essere assai controproducenti – e lo ribadirò usque ad mortem – esistono comportamenti e presidi in grado di tutelarci e di difendere soprattutto chi è in prima linea, medici, biologi, personale infermieristico e socio-assistenziale?
Comincerei proprio da questi ultimi, che hanno pagato un prezzo altissimo, nel corso di questa emergenza, alla mala gestio sanitaria e anche alla non corretta formazione, oltre che alle informative e alle direttive antiscientifiche ricevute.
Chi è a contatto per motivi di lavoro con pazienti potenzialmente affetti da una patologia infettiva a elevato contagio deve essere munito di una speciale tuta individuale, a tenuta certificata, con tanto di casco integrale, gambali e maniche guantate, realizzata in un solo blocco (una sorta di ‘scafandro’ non molto dissimile da quelli usati dagli astronauti, ma assai semplificato, non dovendo proteggere da impatti accidentali, dagli sbalzi termici, da gradienti di pressione, ecc.), munita di, ventilazione forzata, con bombole.
Questi sono i presidi che dovremmo fornire al nostro personale sanitario, non guanti e mascherine, con buona pace di certi Presidenti di Regione dall’isteria grottesca, che talora sfocia in una sorta di rabbia canina (senza offesa per i canidi).
Peraltro, le predette tute esistono in commercio da anni, atteso che vengono già usate obbligatoriamente in alcuni tipi di laboratori. Anche in ragione di ciò, fa specie, non poco, che in Paesi come il nostro, che si ritengono evoluti, la stragrande maggioranza dei reparti di malattie infettive non ne possegga neanche una!
TUTTI gli ambienti delle strutture in cui si trattano dette patologie, devono essere a ‘pressione negativa’ e dotati di macchine per il trattamento dell’aria con speciali sistemi virucidi, come gli apparecchi con lampade agli ultravioletti, opportunamente schermate, per evitare l’irraggiamento, soprattutto diretto, di chi in dette aree opera. In realtà, siffatti macchinari, COVID o non COVID, già da anni avrebbero dovuto essere resi obbligatori anche negli studi dentistici, nelle sale prelievi dei laboratori di analisi, e in tutti gli ambienti sanitari dove si vengono a produrre, per effetto di atti medici, micronizzati di liquidi organici.
Un’altra fonte certa di diffusione di patogeni sono gli impianti di climatizzazione di queste strutture, che andrebbero, in fase di progettazione e realizzazione, muniti di stadi a filtraggio almeno micrometrico, dotati di filtri HEPA (acronimo di High Efficiency Particulate Air filter, con classe di filtrazione H14, secondo la norma UNI EN 1822-1:2009, in grado di trattenere il 99,975 di particelle aventi diametro fino a 0,3μm) o, addirittura – a seconda delle specifiche applicazioni – ULPA (Ultra Low Penetration Air, con classi di filtrazione comprese tra U15 e U17, sempre secondo la UNI EN 1822-1:2009, capaci di trattenere il 99,9999% di particelle aventi diametro fino a 0,1μm). Ovviamente ciò richiederebbe un’adeguata compensazione, in fase progettuale, delle perdite di carico tra monte e valle di questi stadi.
Ricordando che un virus ha dimensioni medie che vanno da 30 a 200 nm – da 80 a 160 nm per i coronavirus – mentre ogni tipo di mascherine e respiratori, anche FFP3, sono – si ribadisce – assolutamente inefficaci a prevenire il contagio da virioni – con buona pace dei potentati che ce li hanno imposti, per compiacere importatori/rici ‘eccellenti’, oltre che amici e parenti produttori – almeno i filtri ULPA riescono a trattenere i virus ‘più grandi’, ivi compresi quelli del genere Coronavirus.
I predetti stadi di mero filtraggio ‘fisico’ andrebbero integrati con vere e proprie stazioni per l’abbattimento di batteri, miceti, virus ed altri patogeni mediante trattamento biochimico, ovvero per irraggiamento, con UV-C.
Particolare attenzione, poi, andrebbe prestata nelle fasi di vestizione e di svestizione degli operatori, che dovrebbero avvenire in appositi ambienti, sempre a pressione negativa, ove, soprattutto prima di spogliarsi della speciale tuta dianzi detta, apposito personale dovrebbe irrorare, con un getto di soluzione disinfettante in pressione, chi è stato a contatto con i pazienti. Tutto il materiale usa e getta, poi, dovrebbe essere immediatamente deposto in contenitori per rifiuti speciali, a tenuta.
Nei laboratori, tutti i campioni biologici dei pazienti dovrebbero essere trattati sotto cappe a flusso laminare verticale di classe III, munite di stadio per l’irraggiamento, mediante UV-C, sul camino d’uscita.
Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Con l’aiuto di Dio – e come la vera scienza aveva abbondantemente predetto – il Sars-Cov-2 ha compiuto il suo ciclo (di circa settanta giorni, come diremo meglio nell’ultima puntata), a prescindere dalle misure inconferenti o addirittura antiscientifiche che ci sono state imposte. L’aumento delle temperature, la diminuzione del tasso igrometrico e la riduzione del particolato (unico effetto positivo certo della clausura forzosa) nelle aree insalubri ab origine per le loro caratteristiche morfologiche, Pianura padana in testa, hanno fatto il resto.
Ma la vera battaglia comincia ora, soprattutto contro la pseudoscienza da baraccone – alimentata dalle grancasse mediatiche – e la mala gestio imperante.
Prima o poi, anche alla luce delle serie storiche in nostro possesso, potrebbe ripresentarsi un problema simile, sia per fenomeni naturali, sia per fatti colposi, ovvero dolosi.
Vogliamo farci cogliere nuovamente impreparati, così come facciamo di terremoto, in terremoto, dimentichi di essere un Paese a sismicità alta, o, piuttosto, vogliamo avviare, per tempo, una seria campagna di strutturazione di un sistema sanitario degno di questo nome, attrezzato come si conviene ad un Paese evoluto come il nostro?
Perché il vero dramma sarebbe se quel che resta… no, non del giorno, bensì della lunga notte che abbiamo vissuta fossero oscene tendopoli, ospedaletti da campo – emblema dello sperpero di danaro pubblico e manna per chi li ha forniti – in cui, magari, come musica da sottofondo risuona «La leggenda del Piave»… (clicca per ascoltare)No, noi non vogliamo dover mormorare, né in autunno, né mai: «Ritorna lo straniero!», nella fattispecie il Sars-Cov-2, un agente capace di dare la morte, pur non essendo vivente. Se «Per l’orgoglio e per la fame» di DNA (visto che il ‘nostro’ è un virus a RNA) intendesse nuovamente «sfogare tutte le sue brame… Sfamarsi e tripudiare come allora», tutti noi cittadini, esercitando i nostri diritti costituzionali, dovremo essere quei fanti che dicono: «Mai più il nemico faccia un passo avanti… Indietro va’, straniero!» è questo il momento di tirare fuori quell’ «italico valore» nella ricerca scientifica e tecnologica per infrangere «Le forche e l’armi» di questo virus «impiccatore», con l’auspicio che «Sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi [esterni, ma soprattutto interni!] La Pace» non trovi mai più «Né oppressi, né stranieri!», piaccia o non piaccia a quei soggetti ignobili che, sul seme della diffidenza, del neorazzismo e del sovranismo e, ora, anche del terrorismo psicologico hanno tentato di costruire la loro effimera fortuna politica, dimentichi della storia millenaria da cui proveniamo, una storia gloriosa basata sulla capacità di unire popoli e culture diverse, creando una miscela, un distillato che è rimasto ineguagliato.
E non a caso ho scelto di esprimere questi concetti parafrasando «La leggenda del Piave», atteso che il testo di quello che potrebbe essere definito – se la Prima Guerra Mondiale viene riguardata come ‘IV Guerra d’Indipendenza’ – l’inno stesso dell’ultima fase del cosiddetto Risorgimento – e, perciò, legato indissolubilmente alla genia dei «piemontizzatori» – in realtà è scritto dal napoletanissimo E.A. MARIO: da Napoli – che, per prima, ha saputo tenere testa al coronavirus – deve partire il riscatto del nostro Paese, soprattutto in ambito scientifico e tecnologico, riprendendo quella tradizione e quegli standard che i barbari savoiardi tentarono, con ogni più perverso impegno, di distruggere per sempre, su progetto della «setta mondiale» (G. de’ Sivo, I napolitani al cospetto della nazioni civili – Livorno, 1861) massonica e degli inglesi, al soldo dei francesi, seminando corruzione e creando le perverse suture tra stato e mafia, giunte fino ai dì nostri, con l’intervento di un volgare comprimario – mercenario di mestiere e guerrafondaio per passione e calcolo – e con la benedizione di un politologo del repubblicanesimo, che, per caratura, appare, ex post, come un tristo presagio di quelli che oggidì spadroneggiano, nel nulla imperante.
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Esposto l’unico modello virtuoso da applicare a tutela di medici, biologi, personale infermieristico e socio-assistenziale che operano con pazienti infettivi e al fine di evitare che i nosocomi si trasformino in altrettante ‘case dell’unzione’, resta da capire cosa il cittadino comune, ognuno di noi possa fare per tutelare la salute propria e degli altri, attesa l’inutilità di mascherine e guanti, ma, soprattutto, al fine di contrastare gli effetti nefasti della clausura, che ha impedito di creare l’immunità di comunità, esponendo, nel nostro Paese, gli abitanti del Centro e del Sud – colpiti in maniera irrilevante dal virus – a serissimi rischi.
Ciò, a maggior ragione perché ora, con il ‘tana libera tutti’, dacché si è preteso di rinchiudere anche coloro che, per età e condizioni di salute, difficilmente avrebbero potuto subire problemi seri per effetto della COVID-19 (da declinarsi correttamente al femminile, essendo una malattia) – purché assistiti adeguatamente e tempestivamente – oggi non si tutela più nessuno, neanche i soggetti a rischio, per i quali, indubbiamente, l’isolamento, almeno in prima battuta, era – e resta – il male minore.
Ebbene, ferma restando la ‘premessa maggiore’ fatta nella I puntata – e, cioè, che i provvedimenti d’Autorità si eseguono, senza se e senza ma – gli unici rimedi esperibili, realmente efficaci sono evitare di stazionare al chiuso – soprattutto in luoghi con presenza di più persone – e mantenere, anche all’aperto, un’opportuna distanza di sicurezza. Il resto non ha senso su un piano puramente scientifico: mi si spiega, per esempio, quale sia la ratio del saluto ‘a gomitate’, quando poi è consentito chiacchierare vis-à-vis, seduti al tavolino di un bar dal diametro di un metro scarso, o di indossare nei negozi di abbigliamento un capo di vestiario che un’altra persona ha appena finito di provare? Lo ripeterò fino all’ossessione: l’igiene è una cosa seria!
Nota bene: fino a prima che, follemente, si consentisse la circolazione indiscriminata sul territorio nazionale di tutti i cittadini, a prescindere dalla zona di provenienza, compresi quelli di aree in cui permane lo stato di allerta, per noi Campani, ma, soprattutto, per noi Casertani il problema non si sarebbe posto: con 31 casi in tutto e solo un decesso, possiamo serenamente dire che nella nostra città il Sars-Cov-2 si è comportato, grazie a Dio e all’applicazione immediata del protocollo napoletano, come il più innocuo, il più benigno dei virus influenzali. E ritrovandoci a zero casi da settimane, avremmo potuto – e dovuto – eliminare, già da ben lungi, ogni e qualsivoglia forma di limitazione o di imposizione di presidi e di norme comportamentali speciali. Ma gli interessi dei potentati del Nord – come diremo più estesamente in una prossima puntata – ancora una volta hanno prevalso su tutto.
Tornando ai rimedi testé menzionati, molti di voi si saranno chiesti più volte, nel frastuono delle informazioni antiscientifiche – e, perciò, contraddittorie e perplesse – che si sono susseguite nelle ultime settimane: ma qual è la distanza di sicurezza efficace? Dapprima ci hanno detto che bastava un metro; poi si sono corretti: almeno un metro. Bene, siccome nessuno dei nostri fenomeni mediatici, sinora, ha personalmente ‘parlato’ con il virus, interrogandolo sulle sue abitudini (a differenza di medici, biologi, personale sanitario ed assistenziale di prima linea, cui si aggiungono scienziati e ricercatori chiusi a lavorare in laboratorio, costretti ad incontrare, anche quotidianamente e più volte, il SARS-CoV-2), tenendo conto della capacità polmonare, della forza di spinta media del diaframma di un giovane, soprattutto nell’atto del tossire, e della persistenza nell’aria del virus, in sospensione, sarebbe opportuno almeno raddoppiarla, se non quadrupicarla: da 2 a 4 metri.
Qualcuno potrebbe domandarsi, a questo punto: ma come faccio a calcolare ex abrupto, di volta in volta questa distanza? Devo muovermi con uno strumento di misura appresso?
No, il metro in tasca lo farei tenere ai famosi svarioni e crisantemi televisivi, per misurare il proprio ego, a scopo terapeutico, almeno due volte al dì e, comunque, prima di ogni pontificale mediatico.
La soluzione è (una volta tanto) semplicissima: quando si è a contatto con altre persone, soprattutto se si parla, basta distendere in aria il braccio destro (sì, a mo’ dell’infausto saluto capitolino), invitando chi ci è di fronte a compiere lo stesso gesto e, per maggiore prudenza, visto che le braccia non hanno tutte le stesse dimensioni («Honi soit qui mal y pense») uno dei due soggetti che si fronteggiano indietreggerà di un passo (se lo fanno entrambi, meglio ancora). Tutto qua!
Detto ciò, a conclusione di questa puntata, mi si consenta, di stigmatizzare comportamenti che ho avuto modo di riscontrare personalmente, più volte, soprattutto nei giorni della clausura, nel fare la fila al supermercato, in farmacia, ecc., in alcune persone, generalmente di quelle che si autodefinirebbero (pur senza riscontri esterni) ‘upper class’, di (pseudo)istruzione medio-alta (sempre secondo valutazioni abbondantemente autoreferenziali). Ebbene, se ne stavano – e, talora, ancora stanno – lì a testa bassa, evitando qualsivoglia contatto umano, con guanti, mascherina, addirittura visiere (assolutamente inconferenti, in quanto puntualmente aperte sia sopra che sotto). Tenevano – e, in alcuni casi, tengono tuttora – gli occhi puntati al suolo, per paura di fare incontri e di dover salutare. Non rivolgono la parola a nessuno e, se incontrano un conoscente, fingono di essere distratti. Se ci aggiungiamo che alcune di queste personcine sono tra quelle che, fino a qualche settimana fa, vedevi battersi il petto in Chiesa, professando la loro Fede cristiana – che pur dovrebbe poggiare su carità e fraternità – il quadro è completo….
Che vergogna! A questi soggetti, dopo averli invitati a spogliarsi dei loro presidi inutili e a prendere esempio dai volontari della nostra Caritas Diocesana, ottimamente formati dal grande Sacerdote che ne è responsabile, vorrei dire: pur mantenendo la distanza di sicurezza, nessuno vi impedisce di sorridere, di dire una parola buona, di donare un po’ di coraggio!
Cosa è rimasto di civile nel consesso sociale, alla prima prova più seria?
E, per ora, mi fermo qui, ritenendo di aver esaurito (salvo ulteriori provocazioni dall’ ‘alto’) la doverosa fase «destruens» delle artistiche norme igieniche, mediatiche ‘2.0’.
Nella prossima puntata vi proporrò una piccola digressione, rispetto al filone principale che stiamo seguendo, apparendo opportuno e doveroso, dopo aver smantellato, una ad una, le pratiche antiscientifiche che ci sono state imposte, dare corso ad una fase «costruens», dedicata soprattutto ai giovani, cogliendo l’occasione di questo virus per diffondere qualche buona prassi igienica, da portarsi per la vita.
A prestissimo, allora!
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LEGGI LE PUNTATE PRECEDENTI:
VIII PUNTATA: CASTRONERIE ‘ANTIVIRUS’. IL POPOLO DELLE (PERNICIOSE) MASCHERINE
VII PUNTATA: LA ‘CHIUSURA ALL’ITALIANA’
VI PUNTATA: GLI AGGHIACCIANTI PERCHÉ DI TANTE VITE UMANE SPEZZATE
V PUNTATA: PERCHÉ CI HANNO RECLUSI
IV PUNTATA: IL MODELLO ANGLOSASSONE E LA “TERZA VIA”
II PUNTATA: EFFICACIA DELLA CLAUSURA FORZOSA
I PUNTATA: EFFICACIA GIURIDICA DELLE RECENTI RESTRIZIONI GOVERNATIVE