– di Ursula Franco * –
Poche ore dopo la sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’Assise di Roma il primo giugno 1999, Salvatore Ferraro (Locri, 24 gennaio 1967), condannato per favoreggiamento, e Giovanni Scattone (Roma, 7 febbraio 1968), condannato per omicidio colposo, hanno rilasciato un’intervista al giornalista Francesco Giorgino:
Francesco Giorgino: Scattone, alcune ore fa la sentenza, una condanna a 7 anni per omicidio colposo (…)
Giorgino sta fornendo a Giovanni Scattone la possibilità di negare in diretta nazionale di aver ucciso Marta Russo.
Una negazione credibile è composta da tre componenti:
- il pronome personale “io”;
- l’avverbio di negazione “non” e il verbo al passato “ho”, “non ho”;
- l’accusa “ucciso tizio”.
La frase “io non ho ucciso Marta Russo”, seguita dalla frase “ho detto la verità” o “sto dicendo la verità” riferita a “io non ho ucciso Marta Russo”, è una negazione credibile. Anche “io non ho ucciso Marta Russo, ho detto la verità, sono innocente” è da considerarsi una negazione credibile.
Giovanni Scattone: È una sentenza che mi ha lasciato molto amareggiato e non me l’aspettavo assolutamente, ero convinto che sarei stato assolto fin dal primo grado e sono… rimango comunque convinto che sarò assolto al termine dell’intero procedimento. Io non ho commessoo… questo omicidio, né colposo, né doloso, né nient’altro e, se avessi commesso un omicidio colposo, lo dicevo subito e non mi facevo un anno e mezzo di carcere che… mmm… sembra che me lo so’ fatto per sport questo anno e mezzo di carcere, lo dicevo immediatamente, anche perché è la prima cosa che mi è stata proposta quando sono stato arrestato.
“Io non ho commessoo… questo omicidio, né colposo, né doloso, né nient’altro” non è una negazione credibile.
Se Scattone non avesse commesso l’omicidio, avrebbe potuto negare di aver ucciso Marta Russo limitandosi a proferire fino ad un massimo di 12 parole. Scattone, invece, poiché è privo della protezione del “muro della verità”, ha fatto ricorso ad una lunga tirata oratoria finalizzata alla persuasione del suo interlocutore. Peraltro, quando Scattone ha detto “se avessi commesso un omicidio colposo” ha aperto alla possibilità di aver ucciso Marta Russo.
Salvatore Ferraro: Il disgusto ee… cresce perché quello che è successo durante questo processo, in questo processo e con questa decisione, mi lascia molto interdetto, mi spaventa, anzi.
Anche da Ferraro ci saremmo aspettati una negazione credibile.
Francesco Giorgino: Senta Scattone, cosa ha provato nel momento in cui il presidente della Corte Amato ha letto il dispositivo della sentenza?
Giovanni Scattone: Molta tristezza perché io mi aspettavo che… che la Corte non… non si facesse influenzare dall’atteggiamento pervicace e ostinato della procura che fino all’ultimo ha voluto fortemente la nostra condanna, non si capisce su quali basi concrete.
Anche in questo caso Scattone avrebbe potuto negare di aver ucciso la Russo ed invece si è limitato a dire che ha avuto un “atteggiamento pervicace ed ostinato” non che la procura si è sbagliata a perseguirlo.
Francesco Giorgino: Lei, Ferraro, ha fiducia nella giustizia italiana?
Una domanda che prevede o un “Sì” o un “No” come risposta.
Salvatore Ferraro: Ma io sono spaventato dalla giustizia italiana.
Ferraro è evasivo. Non risponde con un “No” per non mentire.
Francesco Giorgino: Perché?
Giorgino ha chiesto al Ferraro il perché si dica spaventato dalla giustizia, una domanda giusta posto che il Ferraro è abituato a non essere chiaro quando parla.
Salvatore Ferraro: Eh… perché questo processo mii… mi porta ad essere spaventato da questa giustizia.
Ferraro, non ha argomenti, non riesce a rispondere in modo sensato.
Ferraro si è detto genericamente “spaventato da questa giustizia” ma non è riuscito a dire “Sono spaventato perché io non ho commesso il reato per il quale sono stato condannato”.
Ferraro è un manipolatore e si aspetta sempre che siano gli altri a trarre conclusioni per lui.
Francesco Giorgino: Lei crede alla teoria del complotto da parte degli inquirenti?
Salvatore Ferraro: No, assolutamente no. Fa parte un po’, forse, della metodologia degli inquirenti cominciare con dei teoremi o con… con dei sospetti ed oggii io e Giovanni entriamo di diritto in quel club in cui ci sta Girolimoni dove ci sta Rapotez, dove ci sta Virgilio, dove ci sta Zarrelli, dove ci sta Enzo Tortora, da errore investigativo, oggi siamo un errore giudiziario eee… co… lo dico con l’amarezza, la rabbia e il disgusto che è giusto provare quando si sa di essere innocenti e si viene condannati.
Come sua abitudine, Ferraro si esibisce in una lunga tirata oratoria, va fuori tema per tentare di portare a casa il punto e sfrutta la domanda di Giorgino per equipararsi a Gino Girolimoni, Luciano Rapotez, Pasquale Virgilio, Domenico Zarrelli ed Enzo Tortora. Ferraro è incapace di provare vergogna.
È interessante che il Ferraro elenchi i sentimenti “che è giusto provare quando si sa di essere innocenti e si viene condannati”, si esprime così perché non riesce a dire “sono amareggiato, rabbioso e disgustato perché non ho ucciso io Marta Russo”.
Francesco Giorgino: I genitori di Marta Russo sono convinti della vostra colpevolezza.
Giorgino, ancora una volta, sta fornendo a Giovanni Scattone la possibilità di negare in modo credibile di aver ucciso Marta Russo.
Giovanni Scattone: Sì, bhè, di non accontentarsi di questa, che è una verità di comodo, e non è la verità vera.
Scattone è evasivo.
Quando Scattone dice “non è la verità vera” si aggrappa al fatto che la verità dei fatti non coincide con quella processuale.
Francesco Giorgino: Scattone, secondo lei, perché la Alletto ha con determinazione chiamato in causa sia lei che Ferraro?
Giovanni Scattone: Perché a quel punto aveva fatto delle dichiarazioni che non poteva ritrattare perché le conseguenze per lei sarebbero state pesantissime, sia in termini di perdere la faccia di fronte a tutta l’Italia, sia in termini proprio di condanna penale.
Giovanni Scattone sembra parlare per sé, sembra dirci il perché non abbia confessato l’omicidio colposo.
Francesco Giorgino: Subito dopo la sentenza cosa vi siete detti?
Giovanni Scattone: Io sono rimasto in silenzio, lui imprecava.
Francesco Giorgino: Che cosa impr…
Salvatore Ferraro: Frasi non riproducibili perché, diciamo, prendevano in considerazione un po’ tutto il paese.
Francesco Giorgino: Ce ne dia solo un assaggio.
Salvatore Ferraro: No, no, siamo in prima serata, non possiamo.
Ferraro, nonostante il peso della condanna, ha la premura di non dire parolacce in prima serata. Ferraro recita la parte del bravo ragazzo a favore delle telecamere, per lui questa intervista rappresenta la prima udienza del processo d’appello mediatico.
Il 9 giugno 1999, 8 giorni dopo la sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’Assise di Roma, Salvatore Ferraro e Giovanni Scattone sono stati ospiti di Bruno Vespa a Porta a Porta:
Salvatore Ferraro: Ma ioo… sono convinto di una cosa che questa ragazza… oggi ha bisogno di giustizia e di verità, questo io ho detto durante il processo, l’accuse che si… che ci hanno rivolto a me e a Giovanni non portano a questa verità, la sentenza… che… la Corte… ha emesso una settimana fa purtroppo non ha portato alla verità…
Si noti che Ferraro non nomina la vittima, non la nomina per evitare lo stress che gli produrrebbe.
Bruno Vespa: Voi siete uomini di legge.
Salvatore Ferraro: Sì, no, no, prima di tutto siamo uomini, abbiamo il dovere…
Ferraro è uno che straparla, è uno che si esibisce in lunghe tirate oratorie e sermoni nell’errata convinzione di essere più furbo degli altri.
Da notare la frase “prima di tutto siamo uomini, abbiamo il dovere” una frase che fa accapponare la pelle. Ferraro, a torto, è convinto di essere capace di manipolare il suo prossimo.
Bruno Vespa: (…) una condanna c’è stata (…)
Salvatore Ferraro: … sto parlando di verità, sto parlando di verità e quello che ho sempre detto è che… noi dobbiamo difendere la nostra innocenza per dare…aprire uno spiraglio alla verità e dare giustizia a Marta…
Ferraro non nega in modo credibile di aver ucciso Marta Russo, si spertica in un sermone dove si aggrappa agli errori degli inquirenti.
Dirsi innocenti non equivale a negare l’azione omicidiaria. “Io non ho ucciso Marta Russo, sto dicendo la verità” o “Io non ho ucciso Marta Russo, sono innocente, sto dicendo la verità” sono le uniche negazioni credibili.
Bruno Vespa: Però lei me lo dice (…) però anche lei non ha manifestato alcun tipo di partecipazione al dramma di questa ragazza (…) ma insomma quella ragazza che c’entrava?
Salvatore Ferraro: Appunto, questo sto dicendo, io sto dicendo semplicemente che purtroppo a noi è capitata questa incriminazione terribile, essere considerati gli assassini di Marta Russo, la nostra… la nostra lotta, la nostra… la nostra funzione era quella di cercare in tutti i modi di arrivare alla verità difendendo la nostra innocenza, per difendere l’innocenza durante un processo terribile come quello a cui siamo stati sottoposti ci obbligava anche ad un controllo, a mantenere la calma, a mantenere la lucidità, ad andare fino in fondo, a cercare in tutti i modi di difendere la nostra innocenza.
Un sermone attraverso il quale il Ferraro prova a manipolare il suo interlocutore.
Lo ripeto: dirsi innocenti non equivale a negare l’azione omicidiaria. “Io non ho ucciso Marta Russo, sto dicendo la verità” o “Io non ho ucciso Marta Russo, sono innocente, sto dicendo la verità” sono le uniche negazioni credibili.
Bruno Vespa: Lei mi sta dicendo che non avrebbe potuto difendere la sua innocenza scrivendo una lettera?
Salvatore Ferraro: Io sto dicendo semplicemente che io sono stato accusato ingiustamente di questo delitto e qualsiasi parola poteva anche essere utilizzata e strumentalizzata, come è accaduto anche durante il processo, io rivolgendomi al padre di Marta Russo durante il processo me ne uscì con questa espressione: “Lei un giorno forse mi ringrazierà”.
“io sono stato accusato ingiustamente di questo delitto” non è una negazione credibile. “Io non ho ucciso Marta Russo, sto dicendo la verità” o “Io non ho ucciso Marta Russo, sono innocente, sto dicendo la verità” sono le uniche negazioni credibili.
Bruno Vespa: (…) voi, in questi due anni, non siete stati capaci di mettere in piedi un alibi credibile, un alibi sostenuto da qualcuno, lei dottore (Scattone) ha detto che stava a villa Mirafiori (…) ma non c’è stato nessuno che ha potuto confermarlo.
Giovanni Scattone: C’è stato un professore che sostanzialmente ha confermato che io so’ andato lì, non ricordava l’orario, non ricordava l’orario (…) ma secondo me, c’è… c’è un problema di fondo e cioè che io non avendo fatto nulla, non mi sono mai preoccupato di… di fare mente locale su cosa avessi fatto il 9 maggio, per cui io ho dovuto ricostruire a posteriori, addirittura ho dovuto ricostruire dopo che ero stato arrestato e questo è di fatto praticamente impossibile, anzi troppo siamo riusciti con gli avvocati a ricostruire tutte le cose che avevo fatto.
Scattone non riesce a dire “C’è stato un professore che ha confermato che io ero lì a colloquio con lui nel momento in cui Marta veniva uccisa” ma afferma “C’è stato un professore che sostanzialmente ha confermato che io so’ andato lì, non ricordava l’orario” mostrandosi poco convinto per l’uso dell’avverbio “sostanzialmente” e per la frase “non ricordava l’orario”.
“io non avendo fatto nulla” non è una negazione credibile. “Io non ho ucciso Marta Russo, sto dicendo la verità” o “Io non ho ucciso Marta Russo, sono innocente, sto dicendo la verità” sono le uniche negazioni credibili.
Bruno Vespa: Lei quando sostiene di aver saputo la notizia della morte di Marta Russo?
Giovanni Scattone: L’ho saputo… che c’era stata una ragazza ferita all’Università, soltanto nel pomeriggio, l’ho saputo, quando ero all’Università però avevo visto che c’era la polizia.
Scattone non nomina la vittima per evitare lo stress che pronunciare il suo nome gli produrrebbe.
Bruno Vespa: Dottor Ferraro, anche per lei c’è un buco telefonico.
Salvatore Ferraro: Sì, c’è un problema telefonico, bhè io voglio prima di tutto ricordare che fui ascoltato dalla polizia 15 giorni dopo il 9 maggio, sfido chiunque a ricordare ee… a ricordare cosa ho… cosa ho fatto… ecco io non potevo ricordare con precisione se non ricordare quello che…
Ferraro mostra di essere in difficoltà, la sua difesa non è credibile, “15 giorni dopo il 9 maggio” la polizia gli ha chiesto che cosa avesse fatto il giorno del ferimento di Marta Russo, non poteva non ricordarselo, era accaduto un fatto inusuale proprio nei pressi del suo Istituto e di quello si parlava all’Università. Tutti coloro che frequentavano l’Istituto di Filosofia del Diritto sanno dove si trovavano nel momento in cui Marta veniva ferita.
Bruno Vespa: Voi vi siete rassegnati al fatto di non avere alibi (…)?
Salvatore Ferraro: No, io ho dato il mio contribu… contributo durante le indagini, ricordavo di essere stato a casa, di aver studiato quel giorno, di aver incontrato Marianna Marcucci ee… ma erano poche cose che potevo ricordare perché una giornata è difficile da ricordare. Voglio dire, anche in questo caso, allacciandomi a quello che ha detto Giovanni Scattone prima, ee… se avessi compiuto il delitto avrei avuto tutto il tempo a disposizione per costruire un alibi veramente decente.
Quando Ferraro dice “se avessi compiuto il delitto” lascia aperta la porta alla possibilità di aver commesso il delitto.
Un alibi si ha o non si ha e poi non esistono gradi diversi di “alibi”.
In realtà Salvatore Ferraro, proprio perché fu interrogato dopo 15 giorni in relazione ai suoi movimenti del giorno del ferimento della Russo, ha sperato di poterla fare franca raccontando fatti occorsi nei giorni precedenti al 9 maggio.
In due occasioni, riguardo al 9 maggio, ha dichiarato:
“Lo ripeto, quel terribile giorno in cui Marta Russo fu ferita mortalmente, per me è stata una giornata normale perché ero a casa a studiare, ero davanti a un libro arancione di linguistica. Con me c’era mia sorella. Poi ricevetti alcune telefonate e verso le 11.45 ricevetti anche la visita di Marianna Marcucci. Me lo ricordo perché parlammo della cena per il compleanno di sua sorella ( …)”.
“Quel 9 maggio, per me, fu una giornata incredibilmente normale, di routine (…) Ero a casa a studiare, dopo le prime pratiche mattutine mi sono messo davanti a un libro, di colore arancione, era un libro di linguistica (…) C’era anche mia sorella (…)”.
In entrambi i casi Ferraro ha descritto la giornata del 9 maggio come “normale” e “incredibilmente normale, di routine”. L’uso del termine “normale” è un segnale linguistico detto “Normal Factor” che ci indica che quella fu una giornata tutt’altro che normale per lui.
Francesco Giorgino: Perché prima ha detto di aver ricevuto la telefonata della Marcucci e poi su indicazione della stessa Marcucci ha sposato la tesi dell’incontro di persona intorno all’ora del delitto?
Salvatore Ferraro: Sì, esatto, esatto, Marianna Marcucci era un’amica che mi telefonava circa 30-35 volte al giorno la mattina, infatti l’8 maggio mi chiama circa 18 volte la mattina, tra le 8 e mezza e le 12 e 30, io probabilmente arrivai in procura con questo ricordo preciso di un bombardamento di telefonate fatte da questa amica (…).
Si noti “mi chiama”, l’uso del verbo al presente rende il racconto di un fatto passato non credibile.
Ferraro non è convinto di ciò che dice, lo prova l’uso dell’avverbio “probabilmente”.
Giovanni Scattone: Ma io credo che sia proprio l’impostazione dell’indagine che a un certo punto ha imboccato una pista sbagliata, quindi non credo… cioè io penso che l’unica cosa che il processo d’appello potrà fare è assolvere noi, non scoprire la verità. Io credo che per scoprire la verità occorre indagare su un’altra pista, questa però è una mia opinione.
Una risposta che è un clamoroso autogol.
Se Scattone non avesse commesso l’omicidio non aggiungerebbe “Io credo” e “questa però è una mia opinione” a “per scoprire la verità occorre indagare su un’altra pista”.
Salvatore Ferraro: No, io mi auguro che venga ancora prima del processo d’appello, venga fuori la verità e cioè che si trovi il vero responsabile dell’omicidio di Marta Russo.
Secondo il Ferraro esistono sia un “responsabile dell’omicidio” che un “vero responsabile dell’omicidio”.
Bruno Vespa: Posso chiederle se lei in carcere ha mai pensato a Marta Russo?
Giovanni Scattone: … Sì, bhè, quotidianamente, era inevitabile.
Scattone prende tempo prima di rispondere.
Bruno Vespa: Lei?
Salvatore Ferraro: Ma io più che altro avvertivo questa sensazione terribile di essere considerato l’assassino di Marta Russo, questa era la cosa più sconvolgente, io non pensavo… “guarda” – dicevo- “mi stanno considerando il suo assassino”, era la cosa che mi rendeva… che mi spaventava di più… che mi terrorizzava… che mi addolorava di più.
Ferraro è evasivo, non risponde alla domanda ma, come al solito, coglie l’occasione per parlare di sé e per precisare che non è stato lui a sparare il colpo mortale.
Dalle dichiarazioni spontanee di Salvatore Ferraro, Corte d’ Assise di Roma, 7 settembre 1998:
Salvatore Ferraro: Un giorno, spero non lontano, spero che la verità venga fuori e quel giorno il padre Donato Russo, invece di guardarmi con odio e con disprezzo, io penso che mi abbraccerà, capir…
Ferraro mostra ancora una volta di essere privo di empatia.
Donato Russo: Io voglio la verità, voglio.
Salvatore Ferraro: Certo professore (incomprensibile) sono contento oggi di poter parlare con lei, finalmente faccia a faccia, io posso dirle con estrema forza, con estrema serenità…
Donato Russo: Tutto falso.
Salvatore Ferraro:… che non c’entro nulla con l’assassinio di… di sua figlia, lei il giorno che uscirà la verità capirà che questo sacrificio che io oggi sto facendo, che in questo anno ho fatto, l’ho fatto minimamente anche per sua figlia.
“non c’entro nulla con l’assassinio di… di sua figlia” non è una negazione credibile. “Io non ho ucciso Marta Russo, sto dicendo la verità” o “Io non ho ucciso Marta Russo, sono innocente, sto dicendo la verità” sono le uniche negazioni credibili.
Da notare la parola “sacrificio” e “minimamente”.
Salvatore Ferraro: Non nascondo, con grande vergogna, di aver più di una volta pensato, solo per uscire dal carcere, di fare delle dichiarazioni accusatorie nei confronti di Scattone. Già dal giorno del mio arresto, e lo vorrei raccontare, mi fu offerta questa possibilità (…).
Con questa dichiarazione Ferraro ci dice a cosa si riferisse in precedenza con la parola “sacrificio”, ovvero al fatto di essersi sacrificato per Scattone.
Le dichiarazioni accusatorie di cui Ferraro parla le aveva già fatte durante il confronto con la Alletto, egli infatti ha domandato alla donna perché non gli avesse chiesto: “Cosa ha combinato Giovanni?” e“il dottor Scattone cosa ha combinato?”, una frase attraverso la quale il Ferraro ha fatto sapere alla Corte che era stato Giovanni Scattone a sparare il colpo mortale.
Bruno Vespa: (…) lei però gli ha detto: lei mi abbraccerà ma glielo ha detto con gelo (…) lei pensa che per quello che è successo, per il gelo che c’è stato da voi, in questi due anni, il padre di Marta possa mai abbracciarla?
Salvatore Ferraro: No, io mmm… sinceramente questo gelooo mmm… non l’ho visto, e io dico che la verità… che bisogna stare al posto degli imputati per vedere quello che si prova ad essere accusati di omicidio, questo è il discorso.
Ferraro è in difficoltà, ancora una volta mostra di non avere empatia, si dipinge come una vittima ma non nega in modo credibile di aver ucciso Marta Russo.
Bruno Vespa: Bisogna stare anche al posto dei genitori della vittima.
Salvatore Ferraro: Sicuramente, ecco perché io mi son riferito, mi son… mi son rivolto al… al professor Donato Russo dicendo una cosa… eh… ma… abbastanza chiara, io non c’entro nulla con questo omicidio; mi son permesso di dire che, stando in carcere, io ho sempre avuto la possibilità… mi hanno offerto la possibilità… mi hanno offerto la possibilità di accusare Giovanni Scattone ma io sapevo benissimo che la scena raccontata dalla Alletto è una scena assolutamente falsa, una chiusura di questo tipo mi avrebbe permesso di uscire dal carcere ma non l’ho accettato perché non si può accettare una cosa del genere, io non l’ho accettato perché è una scena… è una scena falsa, è un fatto… noi non c’entriamo nulla con questo omicidio, sono convintissimo di ciò. Ho detto che questa nostra scelta di non arrivare ad una dichiarazione di comodo apre uno spiraglio seppur minimo alla verità.
“io non c’entro nulla con questo omicidio” non è una negazione credibile.
Dicendo “io ho sempre avuto la possibilità… mi hanno offerto la possibilità… mi hanno offerto la possibilità di accusare Giovanni Scattone” e “io non c’entro nulla con questo omicidio”, ribadisce ancora una volta che fu Scattone a sparare.
Ferraro non ha mai detto la verità sull’omicidio di Marta Russo ma è sempre stato estremamente preciso nel definire i ruoli, lo ha fatto di continuo e in presenza di Scattone perché l’amico avesse sempre ben chiaro che lui, Salvatore Ferraro, si stava “sacrificando” per lui.
Quando Ferraro dice “la scena raccontata dalla Alletto è una scena assolutamente falsa” e “è una scena falsa” parla al presente, di sicuro nel momento in cui parla la scena è falsa; Ferraro, per essere credibile, avrebbe dovuto dire: “Ciò che ha raccontato la Alletto non è mai successo, io e Giovanni non ci trovavamo nell’Aula 6 al momento dello sparo”.
“noi non c’entriamo nulla con questo omicidio” non è una negazione credibile ed è ulteriormente indebolita da “sono convintissimo di ciò”. Un altro autogol.
Scattone e Ferraro non hanno mai negato in modo credibile di aver ucciso Marta Russo. Durante le interviste hanno soprattutto dissimulato ma entrambi sono capaci di falsificare. Ferraro ha un’alta opinione di sé che lo ha condotto ad esporsi di continuo in lunghe tirate oratorie e in disgustosi sermoni fino a scoprirsi.
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* Medico chirurgo e criminologo, allieva di Peter Hyatt, uno dei massimi esperti mondiali di Statement Analysis (tecnica di analisi di interviste ed interrogatori), si occupa soprattutto di morti accidentali e suicidi scambiati per omicidi e di errori giudiziari
Un articolo che denota poca conoscenza del caso. Parole al vento.
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