di Alessandro Aita
CASERTA – Tre giorni alla conferenza stampa di presentazione della nuova Juvecaserta targata Nicola D’Andrea e, ad oggi, le informazioni che veleggiano sono ancora poche. Tanti i nomi fatti tra dirigenza e campo, ancora poche le certezze: per la panchina il candidato più forte è sembrato fino ad ora Gennaro Di Carlo, coach casertano con esperienza in A che nell’ultima stagione ha affrontato i bianconeri con la Poderosa Montegranaro. Abbiamo dunque raggiunto l’ex Capo d’Orlando:
Coach, lei è il candidato principale alla panchina della Juvecaserta.
Ad oggi non c’è stato alcun contatto. Non so se ci siano persone vicino alla nuova dirigenza che abbiano fatto il mio nome, ma non c’è stato un dialogo, né con me e nemmeno con la mia procura.
E se la chiamata si concretizzasse?
La Juvecaserta è un’entità importante per tutti i casertani. Nonostante non viva più da anni in Campania, è innegabile che ogni tanto non sbirci anche i loro risultati. Ma prima di parlare di contatti ed allenatori, la Juve ha altre priorità da sistemare sotto il profilo burocratico, come il pagamento della rata FIP e la risoluzione dei BAT con gli ex giocatori. Vedrò cosa succederà nel futuro societario e dopo questo sarò disponibilissimo ad ascoltare eventuali offerte. Ma se per il 6 giugno queste cose non saranno sistemate e verrà presentato un allenatore, stai certo che non sarà fatto il mio nome.
Capitolo chiuso, almeno per ora. Ma a questo punto approfittiamone per fare il punto sul sistema cestistico italiano.
In questo momento è in netta discesa. Io penso che il nostro sistema sta diventando troppo di nicchia. Vero che Bologna e Napoli stanno ricevendo il supporto di sponsor e dirigenti importanti, ma non è abbastanza: bisognerebbe ripartire dal basso, dalle giovanili. Con l’obiettivo principale non di costruire i giocatori del futuro, ma per rientrare nelle case degli italiani, nelle famiglie, tornare a “fare scouting” già in età scolare. In questo modo possiamo formare non solo i giocatori, ma tutte le figure inerenti alla pallacanestro, come allenatori, dirigenti, giornalisti, arbitri e anche appassionati, avendo un miglioramento del nostro sistema nel prossimo futuro.
Qualcuno ha proposto di abbandonare il professionismo anche in serie A…
Per nulla d’accordo. Ad oggi la A2, che ha già abbandonato il professionismo da tempo, ne paga le conseguenze: le squadre di una decina di anni fa, pensando alla Montegranaro che salì in A nel 2006 o addirittura alla Sant’Antimo con cui debuttai in panchina, avevano molto più talento rispetto alle squadre odierne. Il professionismo portò la nostra A2 ad essere, probabilmente, la seconda serie nazionale più in vista in Europa. Ora ci nascondiamo dietro al fatto che gli italiani debbano giocare. Lo accetto e lo capisco, ma non lo condivido. Far emergere il talento non vuol dire solo concedergli più spazio in campo, ma, come detto prima, rientrando nelle case degli italiani, reclutando i possibili giocatori e metterli avanti al fatto che per conquistare un posto in squadra bisognerebbe vedersela con ragazzi di ogni nazione, creando così non una classe di ‘panda’ protetti, ma una che possa davvero combattere ad alti livelli. Nel mentre, dobbiamo toglierci dei vecchi pregiudizi da dosso: ad esempio in Bundesliga trovano sbocco allenatori provenienti dal campionato svizzero, cosa per noi impensabile. Non siamo più stimati come una volta a livello internazionale, con meno visibilità e meno gente che investe. Leggo di agevolazioni, iniziative a livello federale per chi vuole investire nello sport a breve e a lungo termine, che possono aiutare lo sport che tanto amiamo. Ma non basterebbe una settimana per discutere del momento della nostra palla a spicchi…