“GRAND BUDAPEST HOTEL”: WES ANDERSON E IL PARADOSSO DELLA SUA SPENSIERATEZZA IMPEGNATA  

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  –       di Mariantonietta Losanno       –           

unnamed 3 “GRAND BUDAPEST HOTEL”: WES ANDERSON E IL PARADOSSO DELLA SUA SPENSIERATEZZA IMPEGNATA  Uno stile inimitabile: Wes Anderson crea racconti surreali, eleganti ed eccentrici, costantemente in bilico tra reale e fittizio. Il suo universo immaginario, seppure lontano dal reale, si presenta sempre incredibilmente coerente e credibile. I personaggi sono costruiti con una maniacale cura artistica e psicologica, sono sognatori, pieni di vita anche se estremamente fragili o malinconici; Anderson trae spunto da letture, visioni, suggestioni (specialmente quelle relative all’età preadolescenziale, una tematica più volte sviluppata nelle sue opere), e rielaborandole le ingloba nel suo microcosmo personale. Wes Anderson è una sorta di regista/stilista: attinge dal passato e rende moderno e originale ogni cosa che descrive. La critica di “realizzare sempre lo stesso film” è in realtà il suo punto di forza: Anderson cattura il fascino della malinconia dipingendo luoghi fantastici contraddistinti da toni pastello (i colori sono, infatti, una parte integrante della sua costruzione filmica). Il suo stile è fonte di ispirazione per stilisti, illustratori, designer.

jude law grand budapest hotel “GRAND BUDAPEST HOTEL”: WES ANDERSON E IL PARADOSSO DELLA SUA SPENSIERATEZZA IMPEGNATA  In “Grand Budapest Hotel”, il regista sceglie un albergo -collocato nell’immaginaria Repubblica di Zubrowka- come vero protagonista della sua opera. Il concierge Monsieur Gustave, l’anima del Grand Budapest, gode della confidenza (e non solo) delle signore attempate: una di queste, dopo la sua morte, gli affida un prezioso quadro. Il figlio di Madame D. accusa Gustave di averla assassinata: l’uomo finisce in prigione e grazie alla complicità del giovanissimo neoassunto dell’albergo riuscirà a tirarsi fuori dai guai. La pellicola presenta i tratti caratteristici di Anderson: il racconto diviso in capitoli; il tema della famiglia; la narrazione del conflitto stemperato (come le tinte dell’ambientazione) da una rappresentazione atipica dei personaggi ostili, che più che veri e propri “cattivi” si presentano piuttosto come “simpatici mascalzoni”. Le ragioni di Wes Anderson sono sempre profonde, il suo mondo apparentemente astratto è in realtà logico e necessario nella sua assurdità. Anche nelle situazioni più cupe, tra crimini e omicidi, si nasconde la solidarietà e la bontà d’animo. grand budapest hotel 870x600 1 “GRAND BUDAPEST HOTEL”: WES ANDERSON E IL PARADOSSO DELLA SUA SPENSIERATEZZA IMPEGNATA  Quello che potrebbe essere visto come un incongruente buonismo è una scelta ponderata e inspiegabilmente piacevole: la creatività di Anderson è travolgente, i suoi paradossi sono il suo marchio di fabbrica, la sua personalità è riconoscibile anche da un unico fotogramma. Gustave porta in scena a pieno l’ideologia del regista: è raffinato, preciso, elegante, rigoroso, ossessionato dai dettagli. Esegue ogni cosa con zero e grande intelligenza. Il suo hotel è il suo luogo sicuro, e anche quando la situazione sembra sia irrimediabilmente mutata, Gustave -animato da un’incredibile etica del lavoro e fortemente attaccato ai propri valori- finge che il suo mondo sia rimasto intatto. “Grand Budapest Hotel” è l’ennesima dimostrazione (ormai più che consolidata) che Wes Anderson non è solo estetica: la sua opera è leggera e spensierata, ma profondamente matura e intrisa di significati. E, soprattutto, più attuale che mai.