COVID-19: TUTTO QUELLO CHE GLI ALTRI NON POSSONO O NON VOGLIONO DIRVI (e che non vi diranno mai)

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VI PUNTATA: GLI AGGHIACCIANTI PERCHÉ DI TANTE VITE UMANE SPEZZATE

         –      di Luigi Cobianchi      –            LUIGI COBIANCHI COVID 19: TUTTO QUELLO CHE GLI ALTRI NON POSSONO O NON VOGLIONO DIRVI (e che non vi diranno mai)

C’è chi pensa che lo Stato, le sue articolazioni territoriali, gli Enti pubblici siano ‘sorgenti perfette’, inesauribili, che possano essere emunte indefinitamente, rubando, senza far danno. Soprattutto tra i pubblici amministratori c’è chi ritiene che rubare a un privato sia cosa deprecabile, mentre il peculato, la distrazione di fondi siano ‘furbate’, assolutamente innocue.

Lo abbiamo visto in questi giorni quanto ‘inoffensivi’ si siano rivelati i comportamenti scellerati di certi soggetti, che prima depredano – o lasciano che altri lo facciano allegramente, senza muovere un dito – e, poi, si tramutano in altrettanti paladini del risanamento, tagliando la spesa pubblica… .

Quando ero consigliere comunale, qualcuno mi accusò di voler trasformare l’Aula consiliare in un’Aula giudiziaria, a causa delle reiterate denunce da me presentate alla Magistratura competente, nell’esercizio del mandato elettorale ricevuto. Orbene, in disparte l’assoluta obbligatorietà, a pena di chiamata a correità, in capo al pubblico ufficiale/amministratore (o assimilabile) di denunciare presunti reati che dovesse ravvisare nell’ambito delle sue funzioni – tra le quali, peraltro, rientrano precipuamente quelle cosiddette di «sindacato ispettivo» – Caserta, tra i tanti primati in negativo per cui è assurta, fin troppe volte, alla ribalta nazionale, ‘grazie’ ad alcuni di coloro che ne hanno avuto la gestione, vanta quello di essere il primo capoluogo ad aver dichiarato due dissesti uno dietro l’altro. E come si è arrivati a questo disastro, per un fato avverso e bizzoso o, piuttosto, perché, nell’ambito della sua classe politico-amministrativa, c’è chi ha rubato, a piene mani?

Riprendendo il discorso sulla sanità che abbiamo intrapreso nella scorsa puntata (la V), e chiamando le cose con il proprio nome, senza ridicoli eufemismi, è a causa dei LADRI PAPPONI (mi dispiace se con questi termini farò storcere il naso a qualche spirto più ‘sensibile’ e delicato) – i quali hanno precisi volti e nomi – che abbiamo pagato un così alto numero di vittime a un non-organismo, qual è un virus.

E’ per colpa di questi esseri disumani, insaziabili, dipendenti non da sostanze stupefacenti, bensì dall’accumulo ossessivo-compulsivo di danaro – i quali, a dispetto dei crimini compiuti, continuano a occupare posti di potere e di comando – che le nostre esistenze sono state sconvolte.

Questi colletti bianchi non sono migliori, sul piano etico, di uno dei tanti capiclan che hanno concluso i loro giorni, nella più ‘rosea’ delle ipotesi, in carcere (perché lo Stato, quello vero, liberale e democratico, quando vuole, vince sempre!), con una sostanziale differenza: se allo stragista più efferato un giornalista di quelli che sanno realmente fare il proprio lavoro, fino in fondo – sapendo, alla bisogna, instaurare l’opportuno clima empatico, come fece magistralmente, non molto tempo fa, proprio la Direttrice di questa Testata con uno di loro – chiedesse quanta gente ha ammazzato, probabilmente un numero, più o meno approssimato, verrebbe fuori.

Invece, i nostri criminal manager non hanno la benché minima idea delle vite umane che si portano sulla coscienza, di più, non hanno contezza di essere omicidi, che anzi, si ritengono galantuomini!

Né, a fermarli, sono bastati gli scandali susseguitisi, ininterrottamente, dalla metà degli anni ’90 a oggi, da quello – messo a tacere in men che non si dica – degli emoderivati infetti (1994), alle tangenti da parte di case farmaceutiche all’ex direttore generale del Servizio Farmaceutico Nazionale, per l’inserimento dei loro prodotti nel prontuario; dalle mazzette a medici di famiglia, in cambio dell’invio di pazienti presso un centro di medicina nucleare privato (inchiesta «Lastre Pulite», Milano 1997) a quelle a un primario del più noto presidio ospedaliero di Torino, a fronte di appalti per opere edili e forniture sanitarie; dalle valvole cardiache ‘killer’, impiantate a Torino e a Padova (2002-2003), ai rimborsi per terapie fisioterapiche mai effettuate nel Lazio (2006); dalla clinica privata di Milano ove venivano eseguiti interventi chirurgici su pazienti, soprattutto anziani, perfettamente sani (2007), alla corruzione nella sanità abruzzese (2008); dagli appalti truccati nell’ASL di Bari e, più in generale, in Puglia (2010), alla bancarotta della Fondazione San Raffaele di Milano (2011); dall’affaire Fondazione Maugeri (Milano, 2012), agli episodi di corruzione nel sistema sanitario lombardo (2015), cui si aggiungono i vari commissariamenti subiti da alcune Regioni, compresa la nostra, per deficit eccessivo nella spesa sanitaria (anche in tal caso dovuto a cosa, se non a sperperi, mala gestio e ladrocini?).

Oltre a quella [drammatica] di posti letto in terapia intensiva – di cui abbiamo parlato nella scorsa puntata – questo virus ha fatto venire fuori un’altra carenza se possibile ancor più seria, vergognosa, ingiustificabile: quella di medici, di biologi, di personale sanitario e assistenziale.

Con riferimento soprattutto alla prima categoria, siamo arrivati a un assurdo logico da manuale: prima abbiamo introdotto il numero chiuso per i corsi di laurea in Medicina, impedendo a tanti nostri giovani di diventare medici, attraverso la somministrazione di test inverecondamente nozionistici, in cui i candidati cadevano, magari per non aver saputo indicare il numero di telefono di ‘gariboldi’ o di ‘mazzisoni’, piuttosto che rispondere a sterili rebus di pseudologica, da enigmistica; poi ci siamo resi conto di non avere abbastanza medici. Non sarebbe stato meglio continuare ad accettare tutte le domande di iscrizione, lasciando operare la selezione ‘naturale’, in itinere, come nei nostri Atenei si è fatto, per anni, con enorme successo, sfornando professionisti di assoluto spessore, che tutto il mondo ci invidiava? E tra i ragazzi scartati con quiz di quella fatta chissà quanti JENNER, o BARNARD, o DULBECCO, per scienza, piuttosto che novelli san Giuseppe MOSCATI, per competenza, clinica e carità ci siamo persi.

Prima abbiamo arricchito altri Paesi dell’Unione, in termini economici e di saperi, costringendo tanti nostri giovani, che non intendevano rinunciare alla loro passione per la Medicina, a studiare all’estero – magari non ricevendo una preparazione all’altezza di quella che avrebbero ottenuto nelle nostre Università, anche in considerazione delle barriere linguistiche – e ora, come la peggiore delle Nazioni sottosviluppate, chiediamo per ‘carità’ (pagata), magari proprio a quegli Stati ove i nostri figli hanno conosciuto il nuovo fenomeno dell’ ‘emigrazione universitaria’, l’invio di medici in soccorso ai (pochi) nostri.

Mi sovvengono le parole del mio Professore di Disegno di Macchine, Giovanni ARIEMMA vero maestro, oltre che arbiter elegantiarum, nei confronti del quale conserverò sempre un ricordo profondamente grato, il quale, una volta, ebbe a darci una sua personalissima ‘definizione’ delle istituzioni di autogoverno delle professioni: «Gli Ordini professionali sono quella cosa creata da chi è già dentro, per evitare che altri entrino!». Ovviamente era una provocazione, ma non vorrei che, invece, lo stesso concetto, applicato al numero chiuso per l’accesso a certuni corsi di laurea, fornisse una chiave di lettura che non si discosta di molto dalla realtà.

A questo punto del nostro ragionamento, tuttavia, è arrivato il momento di porci un’ulteriore domanda: i fattori che abbiamo sin qui elencato, ovvero la specifica virulenza del SARS-CoV-2; il non praticare terapie, nell’ambito di un agghiacciante, lucido programma di ‘decessi selettivi’; l’intempestività e l’inadeguatezza delle cure prestate, con il ‘consiglio’, rivolto anche a pazienti che già manifestavano i sintomi di polmonite interstiziale, di restarsene a casa; la sconcertante carenza di posti di terapia intensiva, muniti di ventilatori polmonari, in rapporto alla popolazione; il sistematico smantellamento dei piccoli presidi sanitari ‘di prossimità’; il drammatico sottorganico di medici, biologi, personale sanitario e assistenziale negli ospedali pubblici bastano, da soli, a giustificare un numero così elevato di perdite di vite umane?

Come ha osservato il Commissario Straordinario per l’emergenza Coronavirus, ARCURI (sulla cui scelta ci sarebbe tanto da scrivere), «Tra l’11 giugno 1940 e il 1 maggio 1945 a Milano sono morti sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale 2 mila civili, in 5 anni; in due mesi, in Lombardia per il coronavirus sono morte 11.851 civili [dato aggiornato al 17/04 u.s.], 5 volte di più.».

Una tragedia immane, senza alcun dubbio. Tuttavia, a sentire una simile affermazione, senza precisare, oltretutto, che nelle altre regioni d’Italia la situazione è assai diversa – atteso che, TUTTE INSIEME (basandoci sui dati aggiornati al 22/04/2020) raggiungono praticamente la stessa cifra di decessi (12.345) della Lombardia, mentre quest’ultima, unitamente all’Emilia Romagna, al Piemonte e al Veneto, registra il 78,47% delle perdite complessive, il che significa che le altre regioni d’Italia complessivamente hanno riportato il 21,53% dei decessi totali – tante persone, soprattutto anziane, sono andate letteralmente nel panico. Giova, allora, prima di addentrarci nel ragionamento che intendo svolgere oggi, fare brutalmente un rapido conto: in Lombardia si sono registrati (sempre al 22/04/2020) complessivamente 12.740 decessi, pari allo 0,13% della popolazione regionale (10.088.484 abitanti, al 30/11/2019), che equivale, su base nazionale, allo 0,021% (popolazione italiana: 60.359.546 abitanti, al 31/12/2018). No, non ho sbagliato, 0,020%, ovvero 2 x10-2, per chi preferisce la notazione scientifica, 2 casi ogni 10.000 abitanti, per essere ancora più chiari.

L’esposizione di dati così asetticamente statistica che ho appena proposto potrebbe sembrare cinica. Ma, a fronte delle reazioni di terrore leggibili negli occhi di tante persone meno giovani (o con patologie pregresse) che incontro mentre faccio la fila al supermercato, o che mi confessano direttamente, senza bisogno di dover interpretare i loro pensieri, la loro persuasione di dover solo attendere un’imminente morte (per di più atroce) da COVID-19, mi si consenta chiaramente, scomodamente, ancora una volta, di dire questa (ulteriore) pura e semplice VERITA’. Anche perché, mi è stato insegnato che i sostantivi che terminano con il suffisso ‘-ismo’ sono assai perniciosi: lo è il superficialismo, il lassismo, ma, a maggior ragione, l’allarmismo. Certe affermazioni, fatte pubblicamente da un comune cittadino, in assenza delle opportune precisazioni e di un consono inquadramento nell’ambito di quelle che, in matematica, per le equazioni differenziali, si chiamano ‘condizioni al contorno’, potrebbero assumere, addirittura rilevanza penale (cfr. art. 658 cp.).

Prima che qualche lettore più sensibile (ma meno attento) scatti furibondo domandando a destra e a manca la mia testa (non sarebbe la prima volta) lo invito a rileggersi la precedente III puntata, in cui ritengo di aver abbondantemente esposto il concetto della sacralità che ha per me ogni singola vita umana. Vero è che chi volesse strumentalizzare questo punto del mio discorso, estrapolandolo dal contesto, non ci farebbe una gran bella figura…

Tornando a noi, alla prima domanda che ci siamo posti quest’oggi, ne segue, a ruota, un’altra: com’è possibile che nel 2020, in un Paese non in sottosviluppo, bensì annoverabile tra quelli addirittura più evoluti al mondo, il SARS-CoV-2, dai primi focolai presentatisi in specifici comuni delle regioni del nord, si sia potuto diffondere, dapprima in tutto il settentrione e, quindi, nel resto d’Italia, oltretutto così rapidamente?

Il problema fondamentale è stata l’inerzia iniziale, sia a livello internazionale, sia nazionale, a cominciare dalla Cina – ove tutto ha avuto origine – che ha ammesso il fenomeno – già sotto osservazione da parte dell’Intelligence di alcuni Stati – solo quando si è trovata di fronte a un’impennata esponenziale dei casi, che ha fatto temere il peggio e, segnatamente, il dover richiedere aiuti all’estero, la qual cosa avrebbe inflitto un durissimo colpo per l’establishment di una non-democrazia, illiberale, che basa il proprio potere, tra l’altro, sul senso di efficienza e autosufficienza rappresentato al suo popolo, suddito ben più di quello della monarchia più assolutistica (roba che solo il comunismo sa fare!!). In realtà, il primo focolaio si sarebbe sviluppato già nella seconda metà di novembre 2019.

In ciò, neanche gli Organi sovrannazionali preposti hanno dato una gran prova di sé. Così il prof. TARRO – oramai diventato familiare anche a voi, che avete la pazienza di leggermi -nell’intervista rilasciata a «il Quotidiano del Sud», il 13/03 u.s.: « Fin da subito l’OMS ha iniziato ad accumulare ritardi sull’osservazione di questo virus. Il punto è che non sempre i generali si chiamano Diaz, ci sono anche i Cadorna…»; parole che si sono rivelate profetiche, vieppiù!

Ma veniamo a noi. Quando l’Italia ha avuto contezza dei primi casi di COVID-19, o quantomeno di polmoniti interstiziali, di origine virale, del tutto anomale?

Ahinoi – tenetevi fortegià agli inizi di gennaio del corrente anno!

E perché, allora, le Regioni direttamente interessate e, quindi, il Governo nazionale hanno atteso addirittura marzo prima di iniziare a muoversi?

E’ dura dirlo, davvero, soprattutto avendo nella mente e nel cuore l’immagine dei convogli militari trasformati in servizio di trasporto salme; i racconti strazianti dei familiari delle vittime, bruscamente separati dai loro cari all’arrivo negli ospedali, senza neanche poter avere il tempo per il più importante dei saluti, l’ultimo. E per quanti il lutto è stato ancor più drammatico da elaborare, avendo visto i loro cari entrare nei nosocomi ancora perfettamente vigili, lucidi, coscienti, senza che nulla facesse presagire il peggio, salvo ritrovarseli dopo qualche giorno composti in una bara, senza avere neanche la possibilità di celebrare normali esequie o di stringersi ai propri affetti più cari per trovare conforto.

Non si sarebbe [il condizionale è d’obbligo, per rispetto agli accertamenti e all’attività giurisdizionale in corso], invero, trattato di omissioni colpose, bensì di fatti commissivi, compiuti con pieno arbitrio e deliberato assenso, ancora una volta sotto la malia, la possessione diabolica del dio danaro, capace di obnubilare le menti, ma, soprattutto, di spegnere le coscienze.

Sospinti da questi impulsi disumani, alcuni albergatori avrebbero omesso di segnalare alle competenti ASL (comunque denominate) casi sospetti verificatisi nelle proprie strutture, ma soprattutto vi sarebbe stato un pressing muscolare nei confronti degli organi di governo – da quelli più periferici, fino al cuore dello sistema – affinché si mettesse tutto a tacere, da parte di ‘industrialotti’ senza scrupoli, i classici ‘cumenda’, dai portafogli pieni e dai modi rozzi e sbrigativi, anche a causa di un’ignoranza di fondo che emerge a ogni piè sospinto, come un cadavere da un sepolcro imbiancato. D’altra parte non bisogna mai dimenticare che etica, sensibilità e savoir fair sono pur sempre figlie della cultura.

Parliamo delle stesse persone che, non contente, recidive oggi invocano, a gran voce, una riapertura indiscriminata di tutte le attività del nostro Paese, sicché la beffa sarebbe maggiore del danno!

La vergogna è che questi cialtroni spregevoli, nonostante il loro riferimento principe sia ‘fuori gioco’ a tempo indeterminato, con la forza del loro potere economico l’hanno avuta vinta fin quando la bomba che loro stessi hanno provveduto a innescare non gli è scoppiata in mano, con tanto di effetto rebound. Anzi, il fatto che abbiano il loro referente politico in panchina li rende ancor più attraenti per coloro che ci governano i quali, più volte, hanno dato prova di non saper anteporre l’interesse generale al livore personale e del fatto che farebbero di tutto per strappare a quel giocatore ‘infortunato’ ogni possibilità di tornare in campo, dimostrando che la sua presenza non serve, bastando loro.

Dopodiché, ancora una volta, dopo aver trasformato in emergenza un fatto che, preso in tempo e con le dovute cautele, avrebbe potuto avere una ben diversa evoluzione, il governo nazionale e quelli delle regioni del nord, andati in ambasce, hanno cominciato ad agire all’impazzata, con iniziative intempestive, disarticolate, inopportune, apparentemente dettate, piuttosto che dal bisogno di salvaguardare la salute pubblica, dalla necessità di tutelare se stessi, già presagendo l’(ennesimo) intervento della Magistratura, che, dagli anni ’90 a oggi, spesso e volentieri è parsa l’unico vero organo di indirizzo (oltre che di controllo) nel nostro Paese, addirittura per supplire annose carenze nell’ambito della Legislazione.

Torniamo, così, a parlare della ‘clausura’ forzosa cui siamo stati sottoposti: essa si è dimostrata ancor più antiscientifica per come è stata attuata e, purtroppo, nelle prossime settimane, ma soprattutto in autunno, salvo interventi provvidenziali, ne pagheremo le conseguenze a caro prezzo.

Come non condividere le parole del prof. TARRO quando asserì a caldo, sempre nell’intervista rilasciata il 13/03 u.s. a «il Quotidiano del Sud»: «… ho l’impressione che la stalla sia stata chiusa quando i buoi erano già fuggiti».

E’ esattamente quanto accaduto con il caso ‘Codogno’. Per almeno due settimane da quando non si è più potuto nascondere all’opinione pubblica che il primo, vero focolaio italiano di COVID-19 era in quel nord delle cosiddette piccole e medie (dove sono?) imprese – caratterizzato dall’efficientismo e dal progressismo – non presso noi sudici’ – condannati a vivere nell’arretratezza e nella cultura (instillata ad arte dopo il 1861) dell’assistenzialismo e del lassismo – i blocchi, le chiusure sono esistiti solo nella narrazione degli organi lottizzati (mai come in questa stagione) di (dis)informazione, secondo il più collaudato schema post golpe, non nella realtà.

Come possono testimoniare i residenti in buona fede, nessuna strada d’accesso a quel Comune in origine era presidiata e le Forze dell’ordine continuarono per giorni a non ricevere alcuna direttiva cogente e giuridicamente rilevante, volta a inibire qualsivoglia ingresso/uscita dal paese.

Intollerabile disattenzione, inadeguatezza, colpa, insomma, o, anche in tal caso, dolo ?

Tutto è cominciato da qui, da unachiusura all’italiana’ che salvasse capre e cavoli, la faccia di chi ci governa – dando l’idea che stesse intervenendo – e gli interessi degli amici ‘cumenda’, assicurandosene, così, la riconoscenza elettorale e… parce sepultis!.

Delle assurde modalità di questa procedura, ma, soprattutto, delle sue nefaste conseguenze ci occuperemo nella prossima puntata.

A prestissimo!

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INTANTO LEGGI LE PUNTATE PRECEDENTI:

PUNTATA: PERCHÉ CI HANNO RECLUSI

IV PUNTATA: IL MODELLO ANGLOSASSONE E LA “TERZA VIA”

III PUNTATA: EFFETTI INDESIDERATI E COLLATERALI DELLA CLAUSURA FORZOSA (SOPRATTUTTO PER CHI NON VIVE AL GRAND HOTEL)

II PUNTATA: EFFICACIA DELLA CLAUSURA FORZOSA

I PUNTATA: EFFICACIA GIURIDICA DELLE RECENTI RESTRIZIONI GOVERNATIVE