– di Mariantonietta Losanno –
Negli anni ‘70 la violenza politica toccava il suo apice. In questo contesto si inserisce la vicenda di un quotidiano borghese “Il Giornale” (un nome fittizio, che non ha nulla a che vedere con la successiva fondazione dell’omonima testata da parte di Indro Montanelli): il redattore capo Bizanti segue gli sviluppi di un omicidio a sfondo sessuale di cui è rimasta vittima una studentessa. L’intento è quello di strumentalizzare politicamente la vicenda, allo scopo di incastrare un militante della sinistra extraparlamentare, fino a che però un giornalista ostinato e privo di malizia viene a conoscenza del vero colpevole. Dal canto suo, Bizanti conduce delle indagini private che lo portano a conoscere la verità e a capire che uso farne.La pellicola di Marco Bellocchio è una vera e propria lezione di giornalismo, che insegna brutalmente come ogni cosa possa essere manipolata: sembra, infatti, che non esista verità senza manipolazione. Sarebbe senz’altro scorretto e inesatto generalizzare o cogliere solo questo aspetto. Il rapporto tra informazione e potere è complesso e ormai consolidato; c’è chi muove le fila e chi viene utilizzato come una pedina. Ed è altrettanto complesso il discorso riguardante le informazioni false, o quelle enfatizzate, che hanno il solo e unico scopo di sconvolgere il lettore e denigrare il suo ruolo. Bizanti, interpretato da un cinico Gian Maria Volonté difende morbosamente i valori di una borghesia perbenista e ipocrita. “Sbatti il mostro in prima pagina” insiste su queste complicate e pericolose tematiche, e costituisce un’importante riflessione sull’utilizzo della stampa di fronte ad una reale o presunta verità.
All’epoca forse era, inoltre, possibile controllare la diffusione delle notizie in maniera più incisiva, dal momento in cui l’informazione era detenuta in poche mani, non essendoci tutti i canali di diffusione presenti oggi. Probabilmente era più semplice mistificare la realtà e ricostruirla secondo i propri interessi. La pellicola è al tempo stesso datata e attuale: ci sono giornalisti corrotti pienamente consapevoli della loro corruzione; ci sono persone e situazioni da tutelare più di altre; si sceglie come raccontare una vicenda nel modo più comodo e funzionale. Lo spettatore assiste e inevitabilmente cova rabbia, non perché sia ignaro di come vengano svolte queste manipolazioni, ma perché sembra non esserci alcun limite: non importa chi sia la vittima, viene in secondo piano anche la violenza, l’omicidio, la colpevolezza. Anche di fronte a tutto questo, la veridicità dei fatti può essere distorta. Il “mostro” può aspettare fino a quando la sua costruita innocenza avrà esaurito il suo ruolo politico.Dunque, consiste proprio in questo la lezione di giornalismo, cioè nel provare ad insegnare l’importanza di questa professione, evitando di cadere in una banale ed ingenua morale. Inoltre, è importante soffermarsi sull’idea di lettore che viene rappresentata dalla pellicola: il fruitore delle notizie viene palesemente giudicato come ignorante, mediocre, disinformato. “Sbatti il mostro in prima pagina” vuole essere una condanna ampia che comprende non solo il mondo politico, ma anche quello che diffonde e recepisce l’informazione. Al di là dell’epoca di realizzazione, i meccanismi di azione sono gli stessi: viene, dunque, da domandarsi se mai si riuscirà a evitare di cadere in queste trappole mediatiche.