– di Adolfo Villani –
L’accordo raggiunto tra i ministri finanziari dell’area euro su un piano complessivo da 1000 miliardi per combattere gli effetti devastanti che la pandemia sta avendo sui sistemi sanitari e sull’economia è un fatto estremamente positivo. Non c è paragone con quello che l’Europa mise in campo dopo la crisi del 2008. Allora, infatti, l’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea arrivò solo dal primo gennaio del 2015, con quattro anni di ritardo e dopo la crisi del debito sovrano del 2011. Anche sul piano delle politiche fiscali l’intervento fu limitato ai salvataggi bancari e gli Stati membri agirono in ordine sparso. Questa volta le istituzioni europee hanno assunto decisioni rapide e di portata mai vista prima. La BCE ha deciso già da tempo di muovere più di 1000 miliardi, senza quei limiti di acquisto fissati per ogni singolo Paese che pure avevano caratterizzato gli allenamenti quantitativi precedenti. L’Unione Europea dal canto suo ha sospeso il patto di stabilità, consentendo agli Stati membri di stanziare fondi, senza dover rispettare i vicoli previsti per il deficit di bilancio, con i quali si sta già provvedendo a sostenere famiglie e imprese. Ora si annuncia questo piano comune di ulteriori 1000 miliardi articolato su quattro strumenti: il MES, dal quale sarà possibile utilizzare – senza le vecchie condizionalità – 240 miliardi di euro per le sole spese sanitarie; un fondo di 100 miliardi per la cassa integrazione; un intervento della Banca Europea di 200 miliardi per sostenere la liquidità delle imprese; infine un piano di ricostruzione dell’economia europea da finanziare con strumenti comuni, su cui saranno i capi di governo a dover definire i dettagli in un incontro che si terrà nei prossimi giorni. Non si chiameranno Eurobond ma, al di là di questioni nominalistiche, c’è l’impegno a trovare strumenti di finanziamento comuni. È buon passo avanti che complessivamente mobilita per l’economia del nostro continente risorse vicine a quelle decise dal Congresso degli Stati Uniti. Certo non basterà. La portata della crisi è straordinaria e gli sviluppi ancora incerti. E l’Europa non può stare ferma, né accontentarsi di pur importanti e indiscutibili passi in avanti. Per vincere sfide comuni serve integrazione politica. La strada però è tracciata e si aprono grandi spazi per fare uscire l’Europa dal guado nel quale è stata tenuta per troppo tempo. L’accordo non era scontato e il rischio di una rottura è stato molto forte. Ma alla fine la realtà delle cose si è imposta sui conservatorismi e sugli egoismi deleteri che non aiutano neppure chi crede di stare meglio degli altri. Non ci sono per nessuno altre strade. Nessuno si salva da solo. Siamo tutti sulla stessa barca. Solo insieme di vince la terribile sfida che abbiamo davanti. Una sfida che non è separata dalle altre, forse ancora più terribili di questa, a partire da quella dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici. Il mondo è cambiato e continuerà a cambiare. Da tempo il centro dello sviluppo si è spostato dall’Atlantico al Pacifico. Basta considerare i trend demografici per capire che in questo mondo nuovo siamo diventati piccoli e possiamo avere un futuro solo con una Europa unita e nuova.