IV PUNTATA: IL MODELLO ANGLOSASSONE E LA “TERZA VIA”
– di Luigi Cobianchi –
Nella precedente ‘puntata’ ci siamo lasciati (pizzico di vetriolo in disparte) con una domanda ben precisa: evidenziati i limiti incontrovertibili del metodo della clausura/arresti domiciliari ‘all’italiana’ per contrastare la diffusione del «SARS-CoV-2», esistono altre soluzioni?
La risposta è: sì!
Una prima alternativa è il modello che potremmo definire ‘anglosassone’, stroncato sul nascere dagli ospiti fissi dei nostri pulpiti televisivi nazionali, trasformatisi in altrettanti organi da regime.
D’altra parte, se esistesse un ‘manuale del perfetto colpo di stato’, in esso si leggerebbe che tra le prime mosse da compiere all’uopo vi è l’occupazione di TV e radio, oltre all’oscuramento di Internet [no, almeno a questo non ci siamo ancora arrivati].
Le primigenie affermazioni del Primo Ministro del Governo di Sua Maestà Britannica, invero – che non si basavano su fatti empirici o su convinzioni personali, bensì sul parere reso dai suoi consulenti scientifici, tra i quali c’è chi pubblica non su ‘Adama 4000’, bensì su «The Lancet», una delle più autorevoli riviste scientifiche, se non la più autorevole al mondo, in ambito medico – sono state accompagnate, soprattutto nel nostro Paese, da un vero e proprio linciaggio mediatico, in un clima da caccia alle streghe. E, allorquando si è almeno tentato di instaurare un minimo di contraddittorio, esaurite in breve tempo tutte le [fragili] argomentazioni ex adverso, i difensori a oltranza della ‘sacralità inviolabile della clausura’, si sono trincerati dietro il più classico «Così fan tutte» (le nazioni).
A parte che ciò non risponde al vero – perché, giusto a titolo di esempio, la Corea (che investe ben più di noi in ricerca scientifica e tecnologica, con risultati impressionanti) ha seguito un approccio assai diverso dal nostro – questo tipo di non-ragionamento è assai pernicioso, perché iterandolo, se, dopo che uno ha dato l’avvio, tutti gli altri lo seguono a ruota, acriticamente, qualora il primo avesse sbagliato, l’unico effetto che si avrebbe sarebbe quello di finire tutti nel baratro, ma… in compagnia. Una consolazione piuttosto magra, no?!
Purtroppo, come affermato senza mezzi termini dal prof. Giulio TARRO, già Libero Docente di Virologia oncologica nell’Università di Napoli e primario emerito dell’Ospedale D. Cotugno: «Non tutti i colleghi che aprono bocca davanti a un microfono hanno le competenze per poterlo fare.» (cfr. «Il quotidiano del Sud», ed. 13/03/2020). Lo dice un virologo di fama mondiale, allievo di SABIN, il papà del vaccino contro la poliomielite, non io.
Alla specifica domanda postagli da Roberta DAMIATA de «il Giornale», nell’intervista pubblicata dalla testata il 17/03 u.s.: «… se il resto del mondo sta applicando – chi prima, chi dopo – misure di isolamento, questa voce ‘fuori dal coro’ dell’Inghilterra non potrebbe essere, diciamo, ‘azzardata’?», lo stesso prof. TARRO ha risposto così: «C’è una logica in questo. Non bisogna fossilizzarsi su certe situazioni o perché sono di routine, o perché sembrano più semplici, oppure perché fino ad allora si è fatto in quel modo. È anche bene lasciare spaziare la mente. Colombo ha scoperto l’America perché ha deciso che magari c’erano le Indie da quel lato.».
Un paragone emblematico, che rende molto bene il concetto.
Ma quale sarebbe la strada proposta (almeno in un primo momento) dagli Inglesi? Quella di fare l’esatto opposto di ciò che stiamo facendo noi, ovvero lasciare campo libero alla circolazione delle persone e, quindi, alla diffusione del virus, di modo che, nel più breve tempo possibile, si realizzasse la cosiddetta ‘immunità di gregge’ (io preferisco chiamarla ‘di comunità’), che consiste – come ottimamente spiegato sempre dal prof. TARRO (cfr. «il Giornale» ed. del 17/03/2020) – nell’opporre uno scudo di soggetti immunizzati al virus, il quale, in questo modo, non potrebbe più propagarsi.
È lo stesso, identico principio sul quale si basano le vaccinazioni, rispetto alle quali, nessuno, penso, possa eccepire alcunché, nel 2020, eccezion fatta per una gran parte degli appartenenti al partito delle ‘stelle cadenti’ (meglio, cadute), poi fulminati (anche dal Capo dello Stato) sulla via – no, non di Damasco – dell’accredito delle loro laute prebende sul conto in banca. D’altra parte, non dimentichiamo che, tra questi soggetti, vi sarebbe anche un senatore strenuo difensore del ‘terrapiattismo’…
Il ragionamento che fanno gli Inglesi, applicato, mutatis mutandis, ai dati del nostro Paese è questo: se è vero – come è vero – che su quasi 139.422 casi totali (fonte: Ministero della Salute, aggiornamento all’08/04/2020, ore 17:00) si è avuta una percentuale di decessi pari al 12,67%, poco più di uno su dieci pazienti, ma, soprattutto, i soggetti attualmente positivi che hanno avuto bisogno di un ricovero ospedaliero sono il 33,78%, uno su tre, e di questi solo l’11,48% in condizioni tali da essere bisognevole di terapia intensiva, poco più di uno su 10, ne discende che per il resto della popolazione attualmente positiva, ovvero il 66,22%, due su tre casi, il COVID-19 ha comportato un decorso fausto, spesso anche rapido, in terapia domiciliare, senza grossi problemi.
E di ciò abbiamo esempi eclatanti sotto i nostri occhi: S.A.R. il Principe del Galles (sette giorni di isolamento, in terapia antipiretica; nessuna complicanza); S.A.S. il Principe regnante del Principato di Monaco (sempre sette giorni di ‘clausura’, senza complicazioni, nonostante una recente polmonite); il giornalista PORRO (che se l’è cavata con cinque giorni di febbre con picchi a 38,5°C, e un banale trattamento con paracetamolo); il Segretario del PD, ZINGARETTI. Allora delle due l’una: o questo virus ha riguardi per le autorità e i vip, oppure la narrazione televisiva che ci viene costantemente propinata non corrisponde completamente alla realtà.
Vi sarebbe anche un’altra considerazione da fare, sulla reale virulenza del SARS-CoV-2 e sul rapporto guarigioni/decessi, in base alla tempestività dell’instaurazione e alla qualità della terapia, ma affronteremo questo discorso in un’altra puntata.
Statistiche in disparte, tornando al modello anglosassone primigenio, preso alla lettera, ‘assolutisticamente’, esso si dimostra troppo cinico, perché dà per scontato, come fatto ineluttabile, un certo numero di decessi [neanche esiguo].
Ciò è inaccettabile, perché ogni singola vita umana è sacra, dal concepimento al suo termine naturale, deciso da Dio, e non esistono, per quel che mi riguarda, ‘accanimenti terapeutici’, essendo ciascuno di noi mero gestore, governatore, non proprietario di ciò che appartiene esclusivamente a Colui che, tra gli altri epiteti, ha anche quello, per l’appunto, di Signore della Vita (e della Storia).
Mi risuonano in mente, al riguardo, le parole di San Giovanni Paolo II, Papa, attraverso le quali, nell’introduzione alla Sua monumentale Lettera Enciclica Evangelium Vitae, rivolse un «appassionato appello … a tutti e a ciascuno, in nome di Dio: rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità!».
Con riferimento specifico al termine della nostra esistenza terrena, atteso che ciascun individuo fa parte di una comunità, nel concetto lapiriano del termine, anche volendo seguire certi ragionamenti laicistici che sembrano sempre e solo anelare alla morte, piuttosto che alla vita – andando, solo in ragione di ciò, contro Natura – l’astratto ‘diritto’ del singolo a liberarsi anticipatamente e arbitrariamente del proprio corpo mortale non può non essere contemperato con quello della comunità cui appartiene – a cominciare da quella per antonomasia, la famiglia – la quale, ben a ragione, può avere la più che legittima aspirazione a non perdere l’amore, l’affetto, la presenza, l’esperienza, la cultura di un individuo che, a prescindere da eventuali limitazioni psicofisiche, rappresenta, fino all’ultimo istante della propria esistenza, un ‘evento unico e irripetibile’.
Al riguardo, la nostra Costituzione esprime appieno la visione che avevano i Padri Costituenti dell’Italia ‘repubblica’ e che avrebbero voluto imprimerle: un’unica grande comunità, che estende al massimo il concetto di famiglia, come fa prova l’art. 4, comma 2, allorquando afferma: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Il Codice Civile, dal canto suo, all’art. 143, ‘incornicia’ superbamente questo quadro di inestimabile valore, equiparando perfettamente il lavoro «professionale» a quello «casalingo», svolto da ciascun coniuge (marito e moglie) a vantaggio della propria famiglia e, quindi, della Comunità-Italia, cui questa cellula appartiene.
Eh, sì, quella Costituzione che non pretende, per poterli garantire, di riscrivere ex nihilo «i diritti inviolabili dell’uomo» – limitandosi, con grande umiltà, a «riconoscerli», cioè a fare proprio l’intero bagaglio di valori positivi che l’umanità, di errore in errore, di rovina in rovina, di ipocrisia in ipocrisia, di incongruenza in incongruenza, nell’alternanza di «epoche critiche» ed «epoche storiche», ha saputo produrre in tutta la sua evoluzione, a ogni latitudine e in ogni cultura – è ispirata, permeata da quel rapporto uno-tutto, tutto-uno, che deve sussistere tra individuo e comunità, ottimamente espresso da John Donne nella sua Devotions Upon Emergent Occasions and Severall Steps in my Sicknes – Meditation XVII (Londra -1624): «No man is an Iland, intire of it selfe; every man is a peece of the Continent, a part of the maine; if a Clod bee washed away by the Sea, Europe is the lesse, as well as if a Promontorie were, as well as if a Mannor of thy friends or of thine owne were; any mans death diminishes me, because I am involved in Mankinde; And therefore never send to know for whom the bell tolls; It tolls for thee.», che si potrebbe tradurre così: Nessun uomo è un’isola racchiusa in se stessa (che si completa da sé); ogni uomo è un pezzo di un continente, una parte del tutto; se una (singola) zolla di terra fosse dilavata via dal mare, l’ (intera) Europa risulterebbe più piccola, così come se lo fosse un promontorio; così come se lo fosse la proprietà di tuoi amici, o proprio la tua. La morte di ciascun uomo mi diminuisce, perché io sono parte dell’Umanità; e perciò non mandare mai a chiedere per chi suona la campana [l’Autore intende quella a lutto, o quella che precedeva il Viatico, annunciandone l’arrivo]; essa suona per te.
Quindi, senza ombra di dubbio, il ragionamento anglosassone della ‘prima ora’ è inaccettabile per noi Italiani, non solo su un piano etico – o, meramente, morale – ma anche in punto di Diritto costituzionale.
Purtuttavia, tra le due posizioni estreme – il modello italico degli arresti domiciliari forzosi e quello britannico del ‘liberi tutti e si salvi chi può’ (o ‘vincano i più forti’, che dir si voglia) –probabilmente, ancora una volta, la verità – in questo caso quella scientifica – è a mezza strada: una soluzione ibrida, una sintesi conciliativa, una terza via, consistente nel tenere in isolamento i soggetti più deboli (per età, condizioni di salute, immunodeficienza, trattamenti terapeutici debilitanti in essere, ecc.) invitando, per contro, tutti gli altri a svolgere una vita normale.
In questo modo si potrebbe creare l’immunità di comunità, senza mettere a rischio nessuno.
Ovviamente, occorrerebbe preventivamente creare una rete di tutele sia per chi è opportuno che stia in ‘clausura,’ sia per coloro (familiari, amici e conoscenti) che dovrebbero prendersi cura di queste persone, durante il periodo di ‘cattività’, recludendosi volontariamente con loro. Tramite la protezione civile, le Forze armate e di Polizia (cui andrebbe ovviamente attribuita un’indennità speciale), le associazioni di volontariato – Caritas diocesane in testa – opportunamente coordinate da un’unica cabina di regia nazionale, con diramazioni a livello regionale, provinciale e comunale, occorrerebbe assicurare a questi soggetti il costante approvvigionamento di generi di prima necessità e l’espletamento di ogni attività urgente, extradomestica.
Per chi decide di sostenere una persona più debole, invitata a non uscire, si potrebbe pensare a una modificazione – nel senso di una estensione ad tempus e rispetto alle categorie di beneficiari, attivi e passivi – delle tutele ordinarie previste dalla Legge n°104/1992, ed eventualmente anche delle norme che regolano i permessi retribuiti per gravi motivi di famiglia e/o la cassaintegrazione.
A questo punto, viene, allora, spontaneo porsi un’ulteriore domanda: se non era affatto necessario – e, anzi, forse è stato assolutamente inopportuno – perché ci hanno reclusi tutti, con il rischio, tra l’altro, di generare, nell’ambito della più classica delle nemesi storiche, una classe di soggetti super resistenti al nord, lasciando chi vive al sud praticamente esposto al rischio contagio, una volta tolte le restrizioni, né più, né meno di un gatto su un’autostrada tedesca, di quelle senza limite massimo di velocità?
Magari tutto questo potrebbe fare piacere al condottiero ‘padano’, che guarda al sud come un novello ‘Gariboldi’ [mercenario l’uno, mercenario l’altro], ma a me… non tanto!
Anche perché, frankly speaking – come direbbero gli Inglesi – non so se, qualora il problema divenisse solo nostro, o principalmente nostro [intendo di noi «sudici», come amava dire Totò], godremmo della stessa attenzione mediatica, o avremmo altrettanta forza ‘contrattuale’ sul Governo nazionale, soprattutto sul piano economico-produttivo, per far valere le nostre istanze.
Ne parleremo nel prossimo appuntamento.
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INTANTO LEGGI ANCHE LE PUNTATE PRECEDENTI:
II PUNTATA: EFFICACIA DELLA CLAUSURA FORZOSA
I PUNTATA: EFFICACIA GIURIDICA DELLE RECENTI RESTRIZIONI GOVERNATIVE
Ciao caro Luigi,
Grazie, hai espresso con chiarezza e competenza quanto era grossolanamente inespresso nella mia testa. Sono veramente d’accordo con te.
A presto
Buona Pasqua!
Nicola
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