– di Francesca Nardi –
Nel cono d’ombra creato da un microrganismo subdolo, uno spaventoso mutante che ha penetrato le nostre vite ed attenta al nostro futuro, la riflessione sta riappropriandosi degli spazi sterminati della solitudine, recuperando tempi e stagioni, misteri irrisolti e dimenticanze….e capita che il rituale nostalgico del solito “avremmo potuto, se avessimo fatto e se…se…se”, riporti inevitabilmente all’attenzione del presente, episodi lontani… storie incompiute della nostra gente…progetti lasciati a dimora o semplicemente rubati, distorti, snaturati e lasciati cadere nel vuoto “compiacente” che troppo spesso, ha rappresentato nel tempo, l’unico approdo delle Idee…Ed è guardando al passato, oltre il frastuono delle diverse e dotte teorie, al di là dei flash miracolosi, che troviamo la pacatezza asettica della logica, la cruda odissea del pensiero, che corre parallelo, alla ricerca di un ingresso negato nella percezione collettiva…e con questo stato d’animo e la consapevolezza di volere e dovere comprendere a fondo, quanta responsabilità abbiamo avuto nel “tutto orrido” che ci sommerge, siamo andati a cercare qualcuno, lungo i crinali della memoria…e lo abbiamo trovato…forse più disincantato, sicuramente più distaccato,
rispetto ai tempi in cui legava il suo nome ad un progetto fantastico, che ricordiamo come “Progetto Bufala”. Alessandro Scorciarini Coppola, dottore in Scienze della Alimentazione Animale, aveva scandito con molta chiarezza i tempi della possibilità di crescita e valorizzazione del settore bufalino, ma…qualcosa nel meccanismo si è inceppato …questo territorio del resto…produce ruggine in contemporanea alle Idee migliori, che prima o poi vengono attaccate e pietrificate. Il Progetto Bufala consisteva nella realizzazione di formaggi alternativi alla mozzarella e mirava alla valorizzazione e alla produzione della carne, per la trasformazione industriale (patè, di fatturato e di indotto occupazionale ed utilizzo di terreni marginali, boscaglie per l’ingrasso a costi bassi da 4 a 24 mesi dei maschi allo stato brado selvatico.
Dottor Scorciarini noi facciamo affidamento sulla reclusione imposta dall’emergenza e dalla potenza evocativa dell’isolamento….quindi vorremmo provocare i suoi ricordi ed invitarla a ripercorrere le tappe significative della sua vita di studioso e di ricercatore nel campo della zootecnia. Frastornati da una raffica di messaggi relativi all’efficacia vera o presunta di questo o quel medicinale, rischiamo di soccombere alla nostra stessa paura ed alla nostra stessa ignoranza in materia, prima ancora che il virus ci elimini. Lei è una autorità in materia di farmaci e loro utilizzo e non abbiamo dimenticato che l’inizio della sua lunga esperienza è strettamente collegato con la famosa “Amuchina” ed il suo impiego in zootecnia, di cui oggi, proprio. pare non si possa fare a meno… E allora cominciamo dal principio, per giungere a chiederle la sua particolare e specifica lettura delle origini e delle cause del dramma che stiamo vivendo.
” La reclusione domestica e lo stato di emergenza dovuto all’infezione da coronavirus, come lei ha detto, hanno risvegliato ricordi che credevo, anzi speravo fossero ormai sopiti…se lei davvero desidera che io risponda alla sua domanda dobbiamo tornare indietro…alle origini di tutto…secondo il mio pensiero, i miei studi e la mia esperienza sul campo…l’avverto che sarà un discorso lungo…e per nulla affascinante…ma forse potrà essere utile soprattutto per coloro che hanno l’onestà di accettare e riconoscere la verità delle cose accadute…”
E noi vorremmo ascoltarlo, dovessimo impegnare tutto il tempo che ci rimane fino al prossimo inganno…
“E allora torniamo indietro….agli anni in cui ero agente per la Campania limitatamente al settore zootecnico di Amuchina e dei tre migliori prodotti antimosche, tutti della stessa azienda che oggi non so neppure se esista ancora. I prodotti erano tre perché miravano a stroncare gli insetti attirandoli sui grani rossi e gialli sistemati in alto, all’interno di ciotole e piattini, quando gli stessi si posavano su muri e finestre e allo stadio larvale nelle concimaie, che non sono altro che i depositi all’aperto di urine ed escrementi. I prodotti non erano necessari soltanto all’igiene in generale ma anche al benessere animale…infatti si sarebbe risparmiato all’animale il continuo tormento di avere le mosche attorno agli occhi, affinché producessero più latte. Niente da fare…Ciechi, muti e sordi…Non ci fu argomento valido per convincere allevatori e gran parte dei loro rispettivi veterinari della validità dei prodotti. Non si vendeva quasi nulla come nulla si venderà ancora oggi, presumo…ma le mosche galleggiavano affogate nei bidoni del latte e nelle vasche dei caseifici…”
Fine della prima puntata