– di Michele Falcone –
Nacque ad Avigliano nel 1857 e morì nel 1907 a Napoli. Nel 1889 scrisse: “Ebbi umili natali, avversa la fortuna, e questa vinsi e quelli nobilitai con la sola perseverante virtù del lavoro”. Dovette combattere ogni giorno con le ristrettezze economiche, alle quali sopperiva con guizzi di volontà e inventiva oggi difficilmente immaginabili.
Figlio di calzolaio, viveva in una modesta stanzetta nel cuore di Napoli, dividendo le spese dell’affitto con un compagno di studi. Spesso per risparmiare qualche soldo e andare avanti senza chiedere aiuto al padre, non comprava la candela destinata ad illuminare il locale e scendeva a studiare in strada, sotto la luce fioca dei lampioni. Alla fine, comunque, riuscì a farcela, arrotondando le magre entrate con lezioni impartite a studenti più giovani. Diceva: “Lo Stato non deve tollerare che l’economia sia soltanto una scienza naturale, a glorificazione dei più forti, sibbene una scienza etica, non dimentica dei fattori umani e sociali, né delle sorti dei più umili”. E, ancora: “Non che io sogni la perfetta uguaglianza di fatto, che nessuna legge e tanto meno alcuna voce di professore potrà mai stabilire nel mondo: nasciamo, viviamo e moriamo disuguali di ingegno, di fortuna, di amicizie, e chi sognasse il contrario distruggerebbe nel letto di Procuste ogni varietà di vita, di arti, di libertà e di attitudini individuali…il popolo non sa che farsi di una falsa libertà politica, che si traduce nella più stridente tirannia economica”.
Fu anche ministro della pubblica istruzione e disse: “È la scuola elementare l’anima civitatis, che bisogna rinvigorire e nobilitare, è la scuola che bisogna rifare secondo il genio italiano, poiché in essa, più e meglio che nelle piazze d’armi, si preparano i destini delle nazioni”.