Il termine “spread” è ormai entrato nel lessico comune, indicando il differenziale tra due tassi di interesse, e, per il nostro Paese, la differenza tra i Titoli di Stato italiani e il Bund tedesco, che rappresenta il benchmark (parametro di riferimento) per la riconosciuta solidità dell’economia della Germania.
Abbiamo preso confidenza con tale indicatore finanziario soprattutto durante la grave crisi finanziaria che ha coinvolto l’Eurozona quando, alcuni Paesi come Grecia, Portogallo e Irlanda, hanno sfiorato livelli superiori a 1000 punti base; ma anche Italia e Spagna hanno raggiunto picchi superiori ai 700 punti sul rendimento dei propri titoli di Stato (BTP e i Bonos). Fattore che ha determinato un sistematico declassamento, decretato dalle agenzie di rating (tra tutte, Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch), alimentando una strisciante speculazione titoli di Stato dei Paesi considerati risk-free.
Tale situazione ha visto due risposte: una domestica di austerity, drasticamente “errata”, poiché nei periodi di recessione la tradizionale “risposta di politica economica”, doveva essere quella espansiva in deficit spending; la seconda della Bce: una politica di acquisto dei titoli sovrani, attraverso il Quantitative Easing, messa in atto da Draghi – whatever it takes – che ha inciso sullo spread, non potendo adottare un modello di Banca prestatore di ultima istanza, vietato dall’art. 123 del Trattato.
L’Italia, con Tremonti, aveva avanzato l’ipotesi di emissione di Eurobond, ovvero di obbligazioni comunitarie, strumenti finanziari che non hanno mai visto la luce a causa dell’indisponibilità, soprattutto, della Germania.
Sono fin troppo evidenti gli interessi che riguardato le dinamiche degli spread e che incidono sul Bilancio dei singoli Paesi. Nel bilancio annuale dello Stato italiano gli interessi passivi sono circa il 10% della spesa corrente, 65 miliardi di euro, rispetto ad una manovra finanziaria che viene fatta mediamente con 30 miliardi. È chiaro che la leva dello spread rappresenta, da un lato, una tensione finanziaria; dall’altro, la possibilità di liberare spazi finanziari e dare impulso allo sviluppo economico. L’esclusione dal rapporto debito pubblico/PIL delle spese per investimenti, specie quelle ad alta accelerazione di sviluppo (viabilità autostradali, ponti, ferrovie ecc.), garantirebbe un aumento per le famiglie della marginalità al consumo, tale da generare cicli economici virtuosi.
La rimodulazione della spesa pubblica, anche per effetto del contenimento dello spread, essendo una componente della domanda aggregata (Consumi + Investimenti + Spesa Governativa + Esportazioni – Importazioni) produce effetti moltiplicativi su altri parametri economici determinando una accelerazione della crescita economica, quando destinata ad investimenti strutturali.
La volatilità dello spread risulta particolarmente sensibile agli input che provengono dai diversi attori istituzionali e economici. La poco brillante affermazione della presidente della Bce Christine Lagarde, che “ridurre gli spread” non rientrava nei compiti dell’istituto Centrale, ha determinato un innalzamento dello spread sui Btp italiani, volato fino a quota 330 punti base. Solo dopo la correzione della stessa Lagarde ed il “lancio” di “quantitative easing” da 750 miliardi, lo spread si è riportato sotto quota 200.
Tuttavia, per dirla con parole di Giulio Tremonti, il quantitative easing ha oppiato la politica, ma la colpa è di chi fuma l’oppio o di chi lo spaccia? Come minimo, di entrambi.
Tra le opzioni di politica monetaria vi è quella minimalista, c.d. “strategia del sommergibile”, che sostiene l’invariabilità di reazione della BCE rispetto all’emergere del rischio macroeconomico, straordinario e negativo come quello del coronavirus; l’altra, una politica massimalista c.d. “strategia dell’elicottero” – helicopter money -, che modifichi la funzione di reazione della Bce, iniettando maggiori liquidità e distribuendo a imprese e famiglie quantità di denaro a fronteggiare l’emergenza, preferibilmente accompagnata da una politica fiscale di contenimento.
Oggi si riparla di Eurobond (Coronabond) emessi dalla Bei per consentire agli Stati di finanziare le spese emergenziali, come quelle da coronavirus, soprattutto per sostenere le famiglie e le imprese in una fase di grande difficoltà.
La proposta è quella di avere più coraggio, portando avanti una nuova “idea” in grado di temperare le fluttuazioni dello spread, di armonizzazione delle politiche economiche e monetarie, tesa a mitigare, fino ad annullare, l’eventuale spread dei Paesi “periferici” sul Bund tedesco, attraverso misure di perequative, restituendo il differenziale in risorse finanziarie, in modo istituire uno “scudo salva-spread” per parificare i tassi d’interessi passivi nell’ambito dell’Eurozona.
Si può concludere con una celebre frase: spesso è la mancanza di immaginazione che impedisce a un uomo di soffrire troppo (cit. Marcel Proust).