LE VELE DI SCAMPIA … PER NON DIMENTICARE

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 –    di Nicolò Antonio Cuscunà    –     

SCAMPIA foto di Pino Guerra LE VELE DI SCAMPIA … PER NON DIMENTICARE
SCAMPIA                             foto di Pino Guerra

Enfasi, giubilo, vittoria, certa politica esulta senza limiti all’indecenza all’abbattimento della VELA VERDE di Scampia. A loro dire, il “mostro di Gomorra” in Scampia, è stato sconfitto. Al contrario, questo simbolo negativo frutto di scelte politico-amministrative fallimentari è ancora vivo e vegeto e, non finirà se non con la costruzione di nuovi “edifici morali e valoriali”.  A Scampia gli unici ad avere diritto ad esultare ed essere fieri d’avere vinto, sono gli abitanti organizzati negli storici comitati di lotta e liberazione. Comitati di liberazione dalla “bruttura e degrado” in cui sono stati costretti a vivere schiavi di miserie, droghe e camorra. La data del 20 febbraio 2020 andrebbe inserita nelle commemorazioni nazionali, al pari di altri eventi per fare ricordare a tutti, e non solo ai napoletani, mezzo secolo di sciagurate scelte politiche poste in essere ai danni degli ultimi dello “stato sociale”. Delle Vele di Scampia un poco di storia non guasta, storia utile alla comprensione di fatti posti alla base dei tristi e conosciuti accadimenti.  L’insediamento abitativo rientra nelle scelte praticate dalle Amministrazione Comunali di Napoli a partire dal 1962 e fino a tutto il ’75. Scelte effettuate per risollevare Napoli dalle distruzioni della guerra e, dagli abusi di ” mani sulla città. Scelte attuate per risolvere la cronica mancanza di abitazioni per le classi più disagiate. Al Comune di Napoli, archiviata l’esperienza laurina (Achille Lauro sindaco dal 1952/57 + il solo 1961-, parte l’avvento di sindaci democristiani prima -1961/70, e comunisti successivamente -Maurizio Valenzi 1975/83. Questi diedero il via ad un faraonico piano urbanistico -L.167- di Edilizia economica e popolare- per la realizzazione di centinaia di abitazioni. Decisero la edificazione di un nuovo quartiere, imponendone la localizzazione a nord di Napoli, in area attigua a Piscinola-Miano, a sud est di Secondigliano.  Zone già fortemente urbanizzate e con una densità abitativa da metropoli cinese, prive di servizi e di attività lavorative. La tipologia abitativa da realizzare, stile e modello architettonico, divenne scelta filosofico-essenziale, su cui la classe politica ed intellettuale dell’epoca si cimentò. Quelle scelte divennero l’elemento scatenante la nascita del DEGRADO SCAMPIA. Il progetto venne affidato all’architetto Franz Di Savio, sostenitore del modello di architettura “MOVIMENTO MODERNO”, seguace del famoso Le Corbusier. Principi fondamentale di questa corrente di pensiero sono la riduzione del consumo di suolo, l’uso del calcestruzzo-armato, l’abbattimento dei costi di produzione, l’uso di materiale alternativo e di recupero da conciliare tra spazi di vita privata con quella collettiva e sociale. Centinaia di nuclei familiari meno ambienti, con difficoltà economico-sociali, provenienti da differenti realtà socio-ambientali, vennero insediati in questo quartiere sperimentale nato dalla mente fertile di “sognatori di architettura e urbanistica” dibattuta ai tavolini di fumosi salotti. I deportati a Scampia, passarono dall’economia-solidale dei vicoli e dei “bassi”,da cui provenivano ed in cui erano nati, alla  forzata coesistenza in strutture “collettive” anonime, incolori , inodori e senza radici.  In quell’humus nacque e proliferò l’innesco esplosivo di “gomorra”. Nasceva la cosiddetta città verticale fatta di spazi ridotti, individuali ed inseriti in contesti comuni. Vita individuale e familiare senza intimità, obbligata alla collettiva ed indirizzata alla creazione di organismi polifunzionali. Questo il “modello” posto alla base del disagio sociale del degrado morale della dissociazione dalla vita civile, generatore di Gomorra. È bene non dimenticare le aberranti ideologie poste a base delle scelte di edificare quel tipo di “spazi utili all’uomo”. Ridurre, razionalizzare materiali, spazi e costi per un’edilizia economico-popolare, applicando le teorie di certi intellettuali convinti d’essere i depositari del verbo. Impegnati alla formulazione teorica-pratica degli spazi minimi utili alle esigenze, per così dire, biologiche dell’uomo. Niente di più abominevole, ed i risultati sono visibili da tutti: ” le sofferenze della “gente di Scampia”. Delle 7 Vele ne resterà in piedi solo una, da riqualificare per ospitarvi gli uffici della “Città metropolitana”. Esempio da lasciare a futura memoria di quanto l’uomo è stato capace di creare contro se stesso. Scampia avveniristica doveva ospitare 45.000 persone, ne arrivarono 60.000 dal bradisismo di Pozzuoli fino a raggiungere quota 100.000 con gli sfollati del sisma del 23 novembre 1980. Povera gente abbandonata a se stessa, senza lavoro, senza servizi, condannata all’arte d’arrangiarsi. In questo terreno fertile, con l’assenza dello Stato e delle sue Istituzioni, le bande di camorra elessero Scampia sede dei loro traffici.  Nacque la piazza di spaccio-droghe più grande d’Europa. Guerre, faide per il mantenimento del potere, per la conquista di nuovi spazi del malaffare con morti di cui s’è perso il conto.  Gli eredi di quella classe di intellettuali e di politici, concepitori dell’uomo dalle sole “necessità materiali”, oggi si presentano a Scampia nel tentativo di farne dimenticare le colpe. Continuano nella scialba politica della ricerca del consenso promettendo la soluzione ad uno dei desideri da sempre più ambiti dall’uomo: ” la casa”. Purtroppo la storia delle Vele non è finita, ed esse non si trovano solo a Napoli. Con altri nomi e forme, rimanendo simili nei contenuti, esistono in tutte le periferie delle grandi città d’Italia, d’Europa e del mondo. Sono il simbolo dell’urbanesimo e delle sue conseguenze. Sono l’esempio della sconfitta dell’uomo concepito per le sole “necessità biologiche”.  Dalle insule dell’antica Roma, al Nuovo Corviale, detto il serpentone, edificio a 9 piani lungo 1 kilometro con 4.500 abitanti posto a sud-ovest della capitale, costruito per essere alternativo al degrado dei quartieri dormitorio della periferia. (?)-Edilizia popolare -1971/76 sindaco democristiano Clelio Darida; 1976/79 sindaco comunista Giulio Carlo Argan-. Le “domus” trasformate in recinti dorati dei cosiddetti “parchi residenziali. Castrum dormitori privi di umanità, dove al massimo l’uomo s’è ritagliato spazi biologici più idonei alle nuove necessità materiali, ma privi di “socialità relazionale”. Recinti dorati di solitudine, fortilizi da deserto dei tartari, spazi circoscritti illusori di benessere. Scomparse le agorà, i fori e le piazze, l’uomo cerca rifugio nei centri commerciali, negli outlet e nei playground, convinto d’appagare le sole “necessità biologiche”. In questa continua forsennata ricerca l’uomo scorda la principale natura del suo essere, non solo materia, ma spirito ed intelletto. Elementi che non si cibano né vivono di spazi biologici comodi, abiti griffati, oggetti di culto e desiderio.  Chiediamoci, quindi, perché è in aumento la povertà morale, la ricerca dei paradisi artificiali -alcol e droghe-, la violenza, l’intolleranza…in un unico: ” i mali del mondo attuale”…

SCAMPIA PER NON DIMENTICARE…E DA INDICARE AI POSTERI.

vele 02 1 LE VELE DI SCAMPIA … PER NON DIMENTICARE
Il primo giorno di abbattimento della Vela A, detta anche Vela Verde, di Scampia, Napoli, 20 febbraio 2020
(ANSA/CESARE ABBATE)