– di Luigi Cobianchi – Non ci bastava un surreale, oscuro Presidente del Consiglio, sbandierato come punta di diamante per essere professore universitario – monoculus in terra caecorum – di quelli del ‘concorso interno’ (1995 – 2010), ignoto alla maggior parte dei suoi colleghi, soprattutto a coloro i quali all’Ordinariato erano arrivati ben prima, con selezione nazionale e commissione sorteggiata al Ministero, quando non c’era la farsa delle idoneità, bensì regolari bandi (nella migliore delle ipotesi uno ogni cinque anni) di cattedre (magari non più di una decina in tutta Italia), il che rendeva la valutazione realmente ardua, ma i risultati, in termini di qualità del Corpo Accademico, si vedevano, eccome!
Non ci bastava il tristo spettacolo di vedere questo premier che sale al Quirinale una settimana sì e l’altra pure, a volte coram populo, a volte dietro ‘segreto di pulcinella’, riproponendo una tradizione anglosassone, che, a quelle latitudini, si perde nella notte dei tempi, ma che a noi non appartiene, non avendo un monarca, a capo dello Stato (almeno così ci sembrava, fino alla svolta storica del ‘sì’ al secondo mandato presidenziale, nel silenzio assordante dei costituzionalisti, perché allorquando un soggetto può ricoprire potenzialmente la massima Magistratura dello Stato per quattordici anni di fila, con i poteri di nomina che ha, parlare di presidente – e non di re – diventa veramente un puro artificio linguistico).
Il perché di queste visite? Una palese ammissione di incapacità di governare che, tuttavia, crea un agghiacciante conflitto istituzionale, gettando alle ortiche la teoria del Montesquieu?
L’ultima volta, la cosa avrebbe assunto toni che non esiterei a definire farseschi, se non fossero preoccupanti, della serie: papà (o, forse, babbo, maestro; non so, fate voi, a piacere vostro!) Matteo (il Fiorentino, non il padano, ndr.) mi ha rubato la merenda; ora devi venire tu e gli devi dare tante botte (politiche, s’intende!).
Bene, quando pensavo di aver visto tutto, come nel peggior film horror, pur preparato da un altro ritorno tanto eccellente, quanto recente, quello dello ‘zombi di Palazzo della Signoria’, giocherellando con il telecomando della tv, in un rarissimo momento di quiete prandiale, rivedo spuntare, nella migliore tradizione della saga Nightmare, lui, il ‘capò-kaputt’. Arresto digestivo istantaneo! E menomale che non stavo bevendo, altrimenti avrei rischiato di combinare un disastro.
Mutatis mutandis, sembrava il remake di un filmato d’epoca, documentante una delle (rare) apparizioni che un Mussolini magrissimo, emaciato, spaurito, stranito fece da Salò.
In verità, più che incutere terrore, l’ ‘astrospoglia’ in me ha mosso sentimenti di mestizia: a vederla lì, così, «immemore orba di tanto spiro», senza più quel ghigno sprezzante, satanicamente orgoglioso che era divenuto la sua cifra, anche un cuore di pietra come il mio non poteva non provare compassione.
Tornato in me, mi sono chiesto: ma dove è che sta e, soprattutto, a far cosa?!
Cerco di mettere a fuoco, guardo bene il video, e dove me lo ritrovo?! Ad arringare (vabbè, almeno ci provava)/istigare la folla, in una piazza!
Per un attimo, allora, mi sono rasserenato. Lo vedi – mi sono detto – ora ti svegli e ti accorgi che era solo un brutto sogno. Perché cosa potrebbe mai farci, in piazza, uno che, fino all’altro giorno, giocava a fare il condottiero di un(a specie di) partito politico e che tutt’ora (lo so che sembra ancora uno scherzo, ma facciamocene una ragione) è (non riesco a scriverlo, aiutatemi!) ministro della Repubblica? (non mi si chieda l’uso della ‘m’ maiuscola: non ce la faccio!).
Tra i tanti dubbi amletici che regnano sovrani nell’iperuranio delle stelle cadute – con Fico che continua a domandarsi, pubblicamente, come possa essere arrivato a diventare la terza carica dello Stato (e come dargli torto, una volta tanto?!); ‘cuore (no, non di leone) di panna’ alla ricerca di un’identità/indennità perduta; il ‘capòpompato in serra’ che si è talmente immedesimato nella tragedia della misconoscenza delle lingue straniere, da vedere l’inglese dappertutto, in preda a un non ben noto «coronavAIrus» (ma non aveva fatto il liceo? Ah, già, grazie mamma!) – è possibile che non siano riusciti ancora a incamerare non dico qualche trattato di politica o politologia, ma, almeno, i fondamentali di un sistema democratico, ovvero la differenza tra Forze di Governo e, rispettivamente, di Opposizione; tra Maggioranza e Minoranza; tra Democrazia diretta e rappresentativa?
E’ così difficile comprendere quali siano i ruoli istituzionali, con i rispettivi compiti, funzioni e prerogative?
E anche in questo, il buon ‘capò’ non vuole essere secondo a nessuno: se il premier, convintamente, riteneva di essere il Capo dello Stato (i più miscredenti, seguaci di san Tommaso, vedano il video), il ministro degli Esteri in carica non poteva essergli da meno, lasciando che, al suo arrivo – non certo in una sede estera, bensì in territorio nazionale – si canti il nostro Inno (in maniera, peraltro, alquanto dissacratoria). (GUARDA)
Possibile che il ministro degli Esteri, a tanti mesi dalla sua (infausta) nomina, ancora non conosca le severe, stringenti, perentorie regole del Cerimoniale di Stato, anche quelle più basilari, come la disciplina dell’uso di bandiere, stendardi, gonfaloni e sull’esecuzione pubblica dell’inno nazionale?
A quanto pare no e, così, siamo costretti a udire, dalla sua diretta voce, parole sbiascicate (mica si può pretendere che ne abbia imparato almeno una strofa per intero? Ne andrebbe della sua proverbiale verginità intellettiva): “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta…”.
S’è deeesta?! Magari!! Altro che cingersi la testa dell’elmo di Scipio: qui, se si continua così, con una crescita economica allo 0,3%, la testa ce la dovremo fasciare!!
La scena di quei poveri nostri concittadini inebetiti, storditi, molti dei quali presenti lì come catapultati (dai soliti pullman che si organizzano, in fretta e furia, sotto minaccia di commissariamenti, nelle segreterie cittadine di Partiti politici, o assimilabili) nuovamente ha riportato la mia memoria a certi filmati dell’Istituto Luce, documentanti la triste rappresentazione delle adunanze esigue, spaurite, forzate di Salò, specie se paragonate alle folle oceaniche (che non molto dopo si sarebbero dichiarate in massa ‘anti-’; quando si dice ‘il miracolo italiano’!!), festanti, convinte (ahinoi!) di piazza Venezia.
In verità, nel vedere in piazza una forza di governo mi è sovvenuta un’altra immagine, quella delle processioni dei ‘battenti e flagellanti’.
Ma la domanda è: ad quid ?
Perché queste rappresentazioni, tradizionalmente, intenderebbero avere uno scopo catartico-espiatorio: pubblici rei confessi dei propri peccati, questi uomini, attraverso la disciplina, si riproporrebbero di emendarsi dai propri errori, per non ricadervi più.
E, invece, almeno una parte delle stelle spuntate persevera pervicacemente, perniciosamente, perversamente nel proprio fallo.
Se, pur continuando ad avere la maggioranza dei parlamentari, non riescono a fare NULLA – strumenti assistenziali da ‘voto di scambio’ e regalini natalizi, contenuti nel DEF di uno Stato, ai papà evasori di tasse e oneri previdenziali, in disparte – cosa aspettano a staccare la spina al Governo? In un sistema di vassalli, vasini, pardon, valvassini e valvassori, creato dalla Casaleggio-Grillo e Associati (ad ?) – cosa fa desistere il duca dal liberarsi del conte, anche alla luce dell’ultimo, ennesimo imbarazzo creato dai rapporti che la ‘contessa’ e il suocero gestiscono?
Non voglio, non posso credere che i paladini della lotta al vitalizio (no, non all’evasione fiscale. Troppi piedini di insospettabili, ?nobili’ amichetti verrebbero pestati!) stiano campicchiando (beh, mica poi tanto male, con quindicimila euro di entrate al mese) in attesa della fatidica data dei quattro anni, sei mesi e un giorno di Legislatura, per ottenere cosa?! ….
… Il VITALIZIO !!
Si consenta, a questo punto, dopo tanto ciarlare, spesso a vuoto, di dire qualcosa su questo argomento anche a qualcuno che, certamente, non essendone percettore, né direttamente, né indirettamente, non può essere parte in causa, né può avere interessi personali, a tanto.
Per puro amore di verità, ma soprattutto del Diritto – troppo spesso calpestato negli ultimi anni – non posso tacere, anche se so che, ancora una volta, quanto dirò mi attirerà ulteriori detrattori, non certo nuovi sostenitori.
Eh, sì, l’esimia Direttrice di questa Testata aveva pienamente ragione allorquando, in un pubblico dibattito, asserì che il sottoscritto, ogni volta che apre bocca, si fa milioni di nemici. Ma è la mia natura, che ci posso fare?
Cominciamo con il dire che il ‘vitalizio’ non è affatto un odioso privilegio, bensì un diritto, godente della più forte delle tutele, quella costituzionale.
Più in generale, l’indennità correlata a una qualsivoglia carica politica, ivi compreso il trattamento di mantenimento, al termine del mandato, rende sostanziale, non meramente formale, il diritto di ogni cittadino a esercitare una carica elettiva, sterilizzando qualsivoglia situazione pregressa e/o contemporanea di natura censuale, reddituale, patrimoniale.
Un impiegato/a, con quattro figli a carico, un introito di 1.200 euro mensili netti, non possidente, con il coniuge non lavoratore ha lo stesso diritto a svolgere il mandato parlamentare di un professionista, di un medico primario, di un professore universitario.
Finanche un disoccupato orgoglioso e incallito come qualche nostro attuale ministro in carica gode di questo diritto (purtroppo, direi, nella fattispecie…), che rende effettiva la libera scelta dell’eletto, da parte del Popolo Sovrano.
Che la politica non sia una professione (ma richieda professionismo e professionalità) è un dato di fatto – con buona pace sempre di certi ministri testé richiamati – tuttavia, sempre per Costituzione, NESSUNA attività può essere svolta a vantaggio di terzi, in forma istituzionalizzata, se non dietro corresponsione di un compenso adeguato (cfr. Cost., art. 36), ciò che rappresenta un diritto IRRINUNCIABILE. Stesso discorso vale per l’assegno di quiescenza, di pensione, vitalizio, comunque denominato (cfr. Cost., art. 38).
L’entità dell’importo dei vitalizi per i Senatori e i Deputati – argomentazione che non ho sentito mai opporre da NESSUNO, forse per misconoscenza degli Atti dei lavori parlamentari degli albori della Repubblica – fu commisurata a due parametri.
Il primo: quando gli Organi istituzionali erano una cosa seria, prima di arrivare a poter meritare uno scranno alla Camera o, addirittura, al Senato – età in disparte – bisognava aver fatto una dura gavetta politica, che prendeva l’abbrivo dal compimento di modesti lavori di portierato (o giù di lì) in una segreteria di Partito, per poi passare alla candidature (con eventuale elezione) a consigliere circoscrizionale, poi comunale, quindi provinciale, con possibili ruoli assessorili; e ancora, a Sindaco e/o Presidente della Provincia, fino ad approdare al Parlamento. Di talché, eccezioni a parte, il politico ‘tipo’ arrivava a una delle Camere dopo venti-trent’anni di attività, ma, soprattutto, dopo aver ricoperto cariche infruttifere di un trattamento di fine rapporto o di un assegno di quiescenza. Al sottoscritto, giusto a titolo di esempio, negli oltre quattro anni in cui ha avuto l’onore di essere Consigliere del nostro Capoluogo, l’Amministrazione Comunale di Caserta, anche in ragione dell’attività lavorativa svolta, non ha dovuto versare un centesimo, a titolo di oneri previdenziali/assistenziali. Eppure tutti sanno se (e quanto) ho dato!
E questa sì che appare, se non come un’ingiustizia (che lo scrivente scientemente accettò, di buon grado), certamente come una (grave) lesione di elementari diritti, costituzionalmente tutelati.
Tornando al vitalizio, in quest’ottica, il corretto calcolo del suo importo minimo era parametrato su questa base, a scopo, per così dire, ‘risarcitorio’, avuto riguardo a tutti gli anni in cui, pur avendo ricoperto una carica amministrativa/istituzionale, a vantaggio della collettività; pur avendo svolto una attività dall’elevata professionalità e dagli alti rischi (perché, tanto per dolo che per mera colpa, si risponde con il proprio patrimonio, per chi ne ha uno!) il parlamentare ‘tipo’ non aveva percepito alcun trattamento previdenziale, caso unico nell’Ordinamento della Repubblica!
Se, poi, ci si aggiunge che, nel novero dei Parlamentari, degni di questo nome, vi erano anche donne e uomini che avevano dimostrato, sul campo, di essere disposti a dare la vita per i valori in cui credevano, conoscendo iniquamente il carcere per motivi politico/ideologici, piuttosto che avendo fatto parte di coloro i quali, dall’interno, lottarono per liberare il nostro Paese dalla dittatura e da una vergognosa casa che di ‘reale’ non ha davvero nulla, consentendo a noi altri di vivere nella libertà, nella pace e nel progresso, beh, un trattamento premiale per questi meriti non mi sembra affatto un’ingiustizia. Che una Tina ANSELMI percepisse circa 9.000 euro mensili di vitalizio, avendo servito lo Stato in ogni forma e avendo dimostrato di avere più attributi di un uomo, da partigiana, a me, francamente, non scandalizza né punto, né poco!
Il secondo: il predetto trattamento era parametrato anche su un altro aspetto: ai bei tempi, la maggior parte dei politici erano professionisti di prim’ordine. L’abbandono della propria attività, dei propri studi professionali, determinava un danno, in termini economici, rilevantissimo, in alcuni casi insanabile (si pensi al commercialista, all’ingegnere, che si vede sottrarre, uno a uno, i propri clienti, magari dal più ‘fido’ dei propri collaboratori, mentre è a Roma a svolgere il proprio ruolo di eletto). Giusto per fare qualche esempio, LA PIRA, MORO, ma anche Giacinto BOSCO erano Professori Universitari Ordinari (di quelli veri, con concorso nazionale); il Presidente DE NICOLA un insigne Giurista, un brillantissimo avvocato. I quattro Deputati alla Costituente che il nostro collegio elesse, CASO, DE MICHELE, FUSCO e NUMEROSO, tutti professionisti, molti dei quali plurilaureati.
Certo, ai dì nostri, dove in certi ambienti si trovano persone mediamente di ben diversa caratura, tutto cambia.
All’epoca, inoltre, un Parlamentare si intratteneva a Roma dal lunedì al venerdì, per dedicarsi, poi, nel fine settimana, al proprio Collegio, tipicamente determinando il collasso della propria famiglia, problemi nei figli, ecc. Per non parlare dei rischi, vedi quelli correlati alle forze eversive.
E scorte ed auto blindate, allora, si centellinavano, sequestro MORO docet! Altro che concederle financo ai copisti!
Tornando alle (meschine) realtà odierne, lo so che, di fronte al ‘markeTTing’ politico, si è perso ogni pudore, ma è davvero squallido, soprattutto a certi livelli, prendersi meriti che non si hanno.
Fu Gianfranco FINI (mi costa dirlo, ma tant’è!), nel 2010, allora Presidente della Camera, non le stelle cadute (a quei tempi tutte dedite, nella migliore delle ipotesi, ad allestire «vaffa days») a eliminare i vitalizi, sostituendoli con la ‘pensione del parlamentare’ (pari a circa 980 euro mensili, netti, per una Legislatura). Fu sempre lui a innalzare l’età per il godimento di questo diritto a 65 anni, senza ‘sconti’, e a elevare a quattro anni, sei mesi e un giorno il limite minimo della durata di una Legislatura, affinché desse diritto alla pensione.
L’unica cosa che, sacrosantamente, FINI non fece, in quanto incostituzionale, è rendere retroattiva la nuova disciplina. Ma parliamo pur sempre di una persona attorniata da collaboratori di primordine, dotati di una spiccata cultura politica, di un’ottima conoscenza della Costituzione e dei pronunciamenti della Corte Costituzionale, la quale ha statuito l’INTANGIBILITA’ dei Diritti non meramente acquisiti, bensì effettivamente esercitati.
Toccare questo tipo di Diritti è cosa assai perniciosa, in quanto oggi a loro, domani… a noi!
La maggior parte dei nostri concittadini in quiescenza che ancora seguono l’astrologia nelle piazze, sanno che la loro pensione non è puramente contributiva, ma, o retributiva, oppure contributiva-retributiva?
In ragione di ciò, un giorno, sulla scia dell’abolizione stellare dei vitalizi, in un momento di particolare crisi economica, magari dettata dall’eccessiva e scandalosa spesa ‘scambistica’ (reddito di ‘nullafacenza’, quota ‘centRo l’elezione’, …) qualcuno potrebbe immaginare, grazie al precedente creato dagli ‘astroincompetenti’, di ridurre drasticamente tutti i trattamenti di quiescenza non puramente contributivi.
E, se proprio dobbiamo affrontare il tema degli assegni pensionistici iniqui, perché non parliamo delle cosiddette ‘baby-pensioni’ (diciannove anni, sei mesi e un giorno, comprensivi dell’eventuale riscatto della Laurea, salvo cause di servizio, che riducevano ulteriormente gli anni lavorativi)?
Peraltro, l’irretroattività di una norma, rappresenta uno dei capisaldi, dei principi generali del Diritto (salvo eccezioni ben definibili e definite), sia nel nostro Ordinamento, sia in quello di ogni democrazia degna di questo nome.
Ma con chi ne dovremmo parlare? Forse con quell’altro ministro (non ce la faccio, ma lo è…) che, in buona o malafede, confonde colpa e dolo, stuprando il concetto stesso di punibilità?