– di Ilaria Mastroianni –
(1° classificato Premio “Anna Castelli” – 2017)
12.03.2014
Il mio nome è Alessandro e alcuni pensano che io sia limitato.
La ragione? Si compendia in 42 parole: disturbo di personalità caratterizzato dalla presenza di idee, pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e da comportamenti ripetitivi, finalizzati e intenzionali, messi in atto in risposta ad una ossessione, secondo certe regole, allo scopo di neutralizzare o prevenire qualche disagio, qualche situazione temuti.
Ad esser sincero, non ho impiegato molto tempo a capire le mie stranezze, si sono impossessate di me così come gli spagnoli si impossessarono di parte dell’Italia. E a tratti ho creduto perfino di potermi identificare con esse perché è facile cadere nelle convinzioni più stupide e più dolorose quando non si sa in cosa credere. Eppure spesso ho rifiutato l’idea che questo potesse essere un limite, perché io sono stato in grado di non chiedere aiuto e di crearmi meccanismi di auto difesa che trovo difficile perfino spiegare. È affascinante e al contempo spaventoso quanto possa essere complicata l’anima di una persona. E seppur dovesse essere un limite, sono riuscito ad abbatterne altri. Mi sono spinto oltre, dove pensavo di non poter arrivare, ho capito come ascoltarmi e come riuscire ad ascoltare realmente l’altro, cose che ho sempre, sempre, sempre ritenuto scontate… Come se bastasse avere delle orecchie funzionanti…
Ma non do la colpa di queste convinzioni (erronee?) a me stesso e nemmeno agli altri, credo semplicemente nella forza delle idee; credo che esse siano lo strumento più forte, difatti un’idea inculcata è difficilmente removibile, oserei dire più di un proiettile, questa consapevolezza però mi ha permesso di capire un po’ di più così da tentare di rivoluzionarmi… Anche se, e mi duole ammetterlo, spesso sono arrivato alla conclusione che la mia reale malattia fosse non accontentarmi e pensare, pensare, pensare, andando sempre più oltre, spesso imbattendomi in spazi chiusi e bui, fino a soffocarci… Perché non sempre si può arrivare ad una risposta che ci soddisfi.
Ho ventitré anni e sono quattordici anni che i miei genitori sono finiti.
“I tuoi genitori si sono trasferiti su una stella”, dicevano, “ci hanno raccomandato di dirti che ti amano”, immagino che sia per questa bugia che ho sempre amato le stelle, tanto che a dieci anni volevo diventare un astronauta, come se così avessi potuto raggiungerli… E a questa bugia mi ci sono aggrappato spesso, ed è stato nelle notti senza stelle che ho avuto problemi…
15.05.2014
Oggi ho contato 459 passi dalla mia università alla stazione, ero con Filippo e temo che lui non sappia che sono felice di averlo incontrato… Filippo non ha bisogno di definizioni, è come respirare dopo aver tentato di rimanere più di trentatré secondi immerso in acqua. Gli ho chiesto quasi subito cosa pensasse e dopo il suo abituale “niente”, ha iniziato a vomitare parole. Dice di essersi innamorato ed io ho iniziato a credergli quando la sua sicurezza è stata sostituita da condizionali. “Vorrei essere la sua luna, quella che illumina le sue notti buie, vorrei essere il suo gelato preferito al non so che gusto perché in fondo, così a fondo non ci conosciamo, vorrei essere per lei la prima carezza dopo aver fatto l’amore, vorrei poter contemplare il suo sorriso e vorrei che a scatenare quel sorriso fossi io”.
16.03.2016
Ieri notte sono rimasto fino alle 05:21 a scrutare le stelle, per cercare quale di quella potesse somigliarmi di più… Complice forse anche la canna di troppo. Così ne ho scelta una, a tratti brillava intensamente e a tratti sembrava che stesse per spegnersi. Trovo sia meraviglioso riuscire a trovare metri di paragone, riuscire a farlo non vuol dire forse capire di più? E capire non può che voler dire essere più avvantaggiati.
Mi capita di sentirmi come se fossi due persone ed è da ciò che la dottoressa Elena, la mia psicologa, fa risalire il mio sconfinato odio per il due, che per gli altri appare semplicemente uno stupido numero, solo un numero in mezzo ad un’infinità di altri numeri e un po’ li invidio, lo ammetto. D’altra parte, e forse è solo quel che mi rimane, ammiro il mio diverso modo di vedere le cose e anche il due. Il due è nero, il nero è niente e il niente è la cosa più brutta che esista, ed è quello che quando mi fermo a pensare ritrovo nelle mie mani. È per questo che ho bisogno di tenere la mia mente sempre occupata e non mi riesce nemmeno difficile, perché quando si è come me, non esistono momenti tranquilli, perfino quando sei a letto. “Ho chiuso la porta?”, “Ho chiuso la macchina?”, “Ho lavato i denti tre volte e non due? Saranno abbastanza puliti?”, “Ho spento la luce in cucina?” “Ho messo le scarpe grigie prima di quelle nere e dopo quelle bianche?”
21.03.2016
E’ come se nell’arco di un battito, tutto si fosse fermato. Ogni pensiero di troppo capace, fino ad allora, di logorarti, ogni azione di troppo, ogni situazione evitata sostituiti da un unico nome… Il suo. L’ho capito quando le ho chiesto di uscire tre volte, come se una volta non bastasse ma a bastarmi è stata la sua unica risposta. Era una sensazione capace di farmi sentire così leggero… Che mi sono interrogato spesso sulla veridicità della sua causa scatenante e mi sono dato risposta nel momento in cui ho compreso che non erano le risposte ciò che desideravo… Che era il sollievo che provavo quando cedevo alle mie ossessioni a non essere reale; che ritagliarmi un pezzo di mondo non lo rendeva mio, né sicuro.
Il suo nome è Aurora, come il fenomeno luminoso che si verifica nell’atmosfera polare, quello che ci eravamo promessi di ammirare assieme non appena avrebbe compiuto ventuno anni ed è lo stesso che io riuscivo a vedere guardandola negli occhi. Ci siamo conosciuti su una spiaggia sotto un cielo, e l’ho vista alla dodicesima stella contata, ammirava il mare mentre io ammiravo lei. Una sensazione che avrei voluto dipingere per non dimenticarla più.
A lei piacevano le mie stranezze. Diceva che è ciò che ci rende unici ma forse l’errore è stato illudersi che l’amore potesse guarirmi, sopravvalutarci. Ma devo ammetterlo… Era così bello riuscire a dimenticarsi, a volte, di girare ventuno volte il caffè, di lavarsi tre volte i denti o di strofinare trentatré volte ogni stoviglia che risultava impossibile non illudersi.
Ho scoperto che questo genere di sentimento era in grado di generare in me dipendenza ed io, conoscendo un solo modo di agire che coincide nell’ossessionarsi, non ho fatto che sfinirla, portarla al limite, stremarla con le stranezze che lei aveva amato.
Aurora mi è capitata come capita ad una stella cadente di essere vista. Mi ha amato per un anno e le sono grato, in fondo è lei che mi ha permesso di capire quel genere di cose che si possono capire solamente in due, anche se il due proprio non lo sopporto ed ora lo odio ancor di più perché non posso non ricordare che due eravamo io e lei e ora che siamo divisi sono uno, così come due diviso due è uno.
Mi chiedo se è davvero questo ciò che resta… Dipinti astratti, ricordi, pensieri disconnessi…
Io vorrei sapere… Più che sapere, conoscere i suoi sogni e chi ci porta dentro ora che io sono distante. Mi manca il respiro pensando che chi la bacia, la bacia una volta sola, e non gli interessa che sia perfetto. Vorrei poterle dire tutte le cose che non sa, che è il mio alibi e che giorno non passa senza che io pensi agli angoli della sua bocca che si arricciano all’insù quando sorride.
Potrei osare dicendo che l’amore è in grado di salvarci tutti.
Ma non oso.
30.03.2016
Come si guarisce la propria mente dal buio più totale?
21.04.2016
Oggi ho deciso.
Esisto da ventitré anni e ne ho vissuti solo pochi. Sono certo che per le persone siano pochi ma gli altri non possono stabilire quali siano i limiti dell’insofferenza. Ho provato a darmi un senso, a legittimare la mia esistenza, e a fare delle mie stranezze un’opera d’arte. Ho perfino cercato di credere al fatto che la sensibilità sia una bellissima virtù ma non è affatto così perché se così fosse, tutti la ricercherebbero e non la opprimerebbero; ma non è così. Questa è una realtà cui non sento di appartenere, che denigra tutto ciò che non coincide con gli standard della normalità e sento di soffocare.
Mi trasferirò anch’io su una stella.
Questi sono frammenti della storia di Alessandro. E forse se Filippo o Aurora fossero davvero esistiti, non sarebbe finita così.
Aurora e Filippo non sono altro che proiezioni di ciò che lui ha sempre desiderato, di ciò che gli è sempre mancato: una figura maschile ed una femminile stabili.
Alessandro è un ragazzo che ha perso troppo, e le sue stranezze non sono riuscite da sole a colmare quell’immenso vuoto.
Filippo rappresenta la figura più stabile che Alessandro possiede nonché tutto ciò che vorrebbe essere, tanto da diventare spesso il suo alibi, è il suo sentirsi solo, il suo aver bisogno di qualcuno e la sua voglia di creare legami ed è anche il bene che in fondo prova per se stesso ma che è incapace di tirar fuori. Filippo l’ha salvato molte volte.
Aurora non può che voler rappresentare i suoi desideri più profondi, come la sua voglia di essere amato, intensamente, anche con le sue stranezze, proprio come farebbe una mamma. Il suo abbandono mi ha spiazzata, inizialmente, mi chiedevo come fosse possibile che quella grande costruzione generata da lui stesso inconsciamente al fine di placare tutte quelle insicurezze e necessità, potesse alla fine abbandonarlo, non facendo altro che intensificare tutte quelle cose per le quali, Alessandro aveva avuto bisogno di Aurora. La risposta me la sono data successivamente, durante una seduta con Alessandro e forse è stata lui a volermela dare, quando ha paragonato l’abbandono dei suoi genitori a quello di Aurora. Le cose mi sono state chiare, allora. Ho capito che Alessandro tentava di ripetere la situazione accaduta nella sua infanzia, quella in cui lui era impossibilitato dal reagire, vale a dire la morte dei suoi genitori, in questo caso però Alessandro avrebbe voluto dimostrarsi che era capace di impedire che questo abbandono potesse verificarsi, ma le cose non potevano andare diversamente, si è trovato in una situazione che nemmeno adesso era in grado di controllare, in cui il pensare di meritare di essere abbandonato, le sue insicurezze hanno preso il sopravvento, ripetendo gli stessi schemi, gli unici che aveva davvero vissuto.
Essendo la sua psicologa avrei dovuto mettere in conto la sua scelta ed io l’ho fatto, ma eravamo riusciti a rimettere insieme alcuni dei suoi frammenti, illudendomi che a poco a poco avrebbe potuto raggiungere una tranquillità tale da permettergli di iniziare davvero la sua vita. Non posso non sentirmi in colpa, non posso non sentire di aver potuto fare di più.
Alessandro era una mente così complessa, che sentiva di essere schiacciato in questo mondo. Ma ora, qui, è tutto ciò che rimane: frammenti.