– di Chiara Santoro –
(2° classificato Premio “Anna Castelli” – 2017)
Ilse sospirò di nuovo, seduta sul bordo del letto a fissare assente il pavimento. Anche quel giorno non aveva la forza per fare alcunché, nemmeno per pensare: la sua mente era troppo sconvolta per compiere qualsiasi tipo di azione. È stata mia, la colpa?
Continuava a domandarsi. No, era stata della perfidia umana, che aveva imposto tutte quelle regole antidiluviane e, soprattutto, quella barriera che aveva infranto i sogni di tutti gli abitanti della grande città tedesca. Ilse alzò poi il viso, posando gli occhi sulla finestra, dalla quale nulla traspariva, se non quel filo di luce che produceva il cielo opaco berlinese. Sentì il bisogno di raggiungerla, perciò si mise ad attraversare lentamente la stanza, trascinando i piedi. Ebbe una morsa allo stomaco quando vide quel muro angosciante, che divideva la città in due parti e che aveva anche spezzato il cuore di Ilse. Le veniva da ridere se considerava che, per un momento, aveva davvero creduto di poter vincere l’imponenza di quel Muro, il quale gli aveva portato via la persona più cara nella sua vita. No, Erich, non potrò mai essere un eroe. Nemmeno per un giorno, disse, lasciando che lacrime le rigassero il volto sconvolto. Lo immaginava lì accanto a lei; in quel momento egli avrebbe solamente riso alla sua affermazione, baciandola dolcemente sulla tempia e stringendola a sé. Ilse scoppiò in un pianto disperato. Lanciò il mozzicone di sigaretta fuori dalla finestra e si accasciò per terra, coprendo il viso nelle gambe. Iniziò a ricordare quando tutto ebbe inizio: uno di quei giorni trascorsi nella Berlino dell’est, forse il migliore. Pensò a quanto fosse contenta di poter visitare tutto quello che il muro non le permetteva di vedere. E questo solamente grazie alle sue abilità di musicista.
A quel tempo le sue dita pizzicavano le corde con tremenda maestria; le sfioravano con la stessa leggiadria di un cigno che si posava sul pelo dell’acqua di uno stagno, producendo una melodia dolce ma allo stesso tempo definita. Il suo modo di suonare andava in contrasto con quelli dei suoi contemporanei: non era affatto intenzionata al cambiamento, ma al risalto di tutto ciò che era classico. La musica di un tempo era l’unica che lei considerava vera. Erich quella sera si trovava a pochi metri davanti a lei mentre suonava quella musica soave,
che pochi avevano la fortuna di comprendere. Ma lui la capì eccome, lasciandosi persuadere da quella dolce e malinconica melodia dalla vena spagnola. Ilse iniziò poi un brano con un’inclinazione più coinvolgente e allegra; quando tutti cominciarono ad applaudire a ritmo, lei stessa si fece trascinare dalla sua stessa musica. E quando alzò la testa per guardare il pubblico che finalmente l’acclamava, i suoi occhi si posarono su Erich. Quest’ultimo era rimasto affascinato non solo da come Ilse suonasse magnificamente, ma anche dai suoi occhi verdi, più tendenti al blu sotto la luce dei riflettori.
A Ilse mancava essere osservata in quel modo da lui: trovava lo sguardo di Erich del tutto indecifrabile e fosco, ma per lei risultava una droga, e anche quando si trovò ad ammirarlo sul piccolo palco di quel locale della Berlino Est non riusciva a staccare gli occhi di dosso da quel giovane dagli occhi neri come la pece interessato alla sua musica. Ilse si sentì fortunata per aver avuto l’opportunità, anche se per un brevissimo periodo della sua esistenza, di conoscere quell’uomo dolce e stupendo, che, disinteressandosi delle occhiate che chissà quante donne meravigliose, incantate dal suo splendore, gli avevano rivolto, era rimasto ammaliato da una semplice ragazza della Berlino Ovest intenta a suonare un comune flamenco. Erich però aveva capito che Ilse non era affatto banale, bensì una ragazza sempre sorridente, piena di pregi e incredibilmente dotata. —Sei speciale — rivelò alla musicista quella sera, al termine dell’esibizione. Ilse era al settimo cielo, non le era mai capitato di sentirsi definita tale. Il presentimento che egli le stesse mentendo non tardò a farsi strada nella mente della giovane, la quale era comunque certa di una cosa: quel ragazzo così diverso e misterioso la incuriosiva parecchio. Erich, invece, era rimasto colpito dall’eleganza e la grazia della giovane: sembrava tanto piccola e fragile quanto fine e delicata. Da quella sera i due si videro ogni giorno per tutta la durata della permanenza di Ilse nella zona est, e il ragazzo le fece da guida per tutti i luoghi a lei ignoti. Erich le rivelò di essere uno scrittore, e si presentò ad ogni restante spettacolo della giovane in quell’area della città. Poi Ilse dovette ripartire per continuare la sua tournée nel resto della Germania, ed entrambi furono pervasi da una forte nostalgia. Erich sentiva profondamente la mancanza di quella graziosa musicista, e, avvertendo un grande senso di solitudine, finì con il fissare ogni giorno la macchina da scrivere, aspettando inutilmente l’ispirazione per buttare su carta qualsiasi concetto o idea; Ilse, nonostante fosse apprezzata da tutti per le sue doti, aveva finalmente trovato qualcuno realmente interessato alla sua musica, che però non avrebbe mai più rivisto per ragioni politiche: le sue performance risentirono di questa tristezza, e si dimostravano ogni volta forzate e, spesso, deprimenti. Diversi mesi passarono. Ilse era ritornata a Berlino, mentre Erich, che faticava ancora a trovare uno spunto per il suo prossimo racconto, era sempre più convinto di abbandonare la carriera di scrittore e dedicarsi ad un altro impiego. La città si era fatta sempre più fredda, come lo stato d’animo dei due giovani, entrambi desiderosi di avere notizie riguardanti l’altro. Un giorno, mentre era seduto sul suo divano di pelle, con la macchina da scrivere poggiata sulle gambe, Erich decise di mandare una lettera alla musicista. “Mi manchi, Ilse, questa è la verità. Sembra che insieme a te se ne sia andata anche quella che una volta era la mia incessante creatività”, recitava l’epistola. Le raccontò del blocco che aveva avuto da quando la giovane aveva lasciato quella parte di città e di quanto gli avrebbe fatto piacere rincontrarla, se non fosse stato per il Muro. Quel giorno stesso inviò la lettera, sperando che essa fosse riuscita a raggiungere la destinataria. E fu quello che accadde: in un giorno di pura noia Ilse la trovò nella buca delle lettere di casa sua. Una volta letto il nome di Erich sulla busta la aprì con fervore, e incominciò a leggere ogni singola riga emozionata. Il suo cuore le batteva a mille, ancora non le pareva possibile che lui non si fosse dimenticato di lei! Rimase incantata dalle crude parole di Erich riguardo quel Muro che li divideva. Avrebbero potuto vedersi ogni volta che desideravano se quella barriera non fosse mai esistita. Ilse pensò che se la lettera era riuscita ad arrivare a lei, dall’altra parte della città, magari avrebbe potuto tranquillamente rispondere. Perciò scrisse una nuova corrispondenza; parlò di quanto ella fosse rimasta incantata dalla personalità spensierata e un po’ bohémien dello scrittore, rivelandogli che le pareva inconcepibile di essere impedita da poterlo vedere per qualcosa che non dipendeva da lei. “Non sono stata certamente io a erigere un Muro altissimo che ci divide”, scrisse lei, “solo fisicamente, tuttavia. Sono sicura che i nostri spiriti, in qualche modo, non si siano separati; un’amicizia non termina con la distanza”. La sua lettera giunse molto presto a Erich, il quale non poteva capacitarsi di aver ricevuto notizie della sua amica. E quella sera si dedicò pienamente a quell’arte che aveva abbandonato tempo prima. Quella lettera di risposta aveva in qualche modo sbloccato nuovamente la sua vena artistica.
Altri giorni ancora passarono. Erich, nonostante lavorasse incessantemente sui suoi racconti, non cessava di pensare a Ilse. Un pomeriggio, desideroso di abbandonare per un momento la macchina da scrivere, decise di fare una passeggiata a piedi per la città; pochi minuti dopo essere uscito di casa era ormai giunto lungo il Muro, dal quale teneva sempre una certa distanza. Il pensiero che quel cumulo di mattoni lo tenesse lontano da Ilse finiva con l’affliggerlo sempre di più. Mentre tentava di dimenticare l’esistenza di quella barriera, si imbatté in quella che a lui parve una breccia. Eppure era impossibile: il Muro di Berlino era dotato di tutti i sistemi più all’avanguardia dell’epoca per evitare che qualcuno come lui potesse oltrepassare la frontiera. Quello che però Erich continuava a osservare era proprio un passaggio che avrebbe potuto tranquillamente condurlo nella Berlino Ovest. Inizialmente egli reagì con indifferenza: continuò a camminare, abbandonando l’assurda idea di varcare quel passaggio. Ma di colpo pensò a Ilse; lei si trovava proprio nella zona opposta, e superare quella breccia equivaleva ad avere una possibilità per poter vedere di nuovo quella musicista che – egli lo ammise proprio in quell’istante – gli aveva rubato il cuore. Si fermò e osservò intorno a lui. Nessuno era nei paraggi, perciò approfittò di quel momento per infilarsi velocemente nella breccia e sbucare nella parte opposta. Non si guardò indietro, ma iniziò a correre a perdifiato davanti a lui, con l’intento di allontanarsi il più possibile dal Muro. Era stato un gesto completamente folle, non gli pareva possibile che nessuno si fosse accorto dell’infrazione che aveva appena commesso. Eppure si trovava ormai nella Berlino Ovest. Cessò di correre, fermandosi per prendere fiato, ripensando nuovamente alla musicista. Aveva con sé la sua lettera, sulla quale era trascritto il suo indirizzo, perciò poteva benissimo raggiungerla in quello stesso momento. Ilse, nel frattempo, era seduta sul letto con la sua amata “sei corde” poggiata sulle gambe magre; cercava di comporre, di farsi venire in mente una nuova melodia, eppure, quel giorno, quell’atto le sembrava troppo complicato. Balzò non appena sentì suonare il campanello. Lasciò cadere il foglio colmo di cancellature per terra e corse ad aprire la porta. Non avrebbe mai immaginato di poter trovare davanti a lei colui che era presenza fissa nei suoi pensieri. Il fiato le si mozzò, e osservò Erich meravigliata e confusa. E, come se non avessero aspettato altro in tutti quei mesi, si scambiarono quasi involontariamente quel bacio dolce e impetuoso che tanto avevano atteso.
Ilse pensò quanto fosse meraviglioso provare quella dolcissima sensazione ogni volta che le labbra di Erich si trovavano sulle sue. Non aveva dimenticato tutti i baci che lei e Erich si erano scambiati, e nemmeno tutte quelle volte che il giovane aveva rischiato di essere scoperto ogni volta che oltrepassava il muro tramite quel valico che lui stesso le aveva mostrato.
Pensò a loro due che si tenevano per mano dinanzi al Muro. Erich lo osservava con sfrontatezza. Ilse, invece, era addirittura disgustata da come quello che non era altro che un ammasso di calcestruzzo potesse dividere un Paese in due. —L’umanità dovrebbe vergognarsi così tanto. — giudicò lei, riferendosi alla parete davanti a loro, —Come possono gli essere umani incitare la separazione e non l’unione? Erich le prese delicatamente la mano, sorridendole. —Una separazione solo carnale. L’hai detto tu. Ilse ricambiò il sorriso, ancora in preda all’afflizione; lui poggiò entrambe le mani sulle sue spalle. —So che pensi che stiamo sbagliando a vederci, e che tutto ti sembra una follia. Ma siamo innamorati, Ilse. Non possiamo cambiare niente, ormai. E tutto questo… — indicò il Muro, —possiamo sconfiggerlo. Ilse, colpita dalle sue parole, iniziò a piangere. Erich, commosso, la abbracciò. —Magari il nostro amore ci renderà eroi. Anche solo per un giorno. Accadrà, ne sono sicuro. Entrambi sapevano che la loro relazione era destinata a morire, ma insieme sarebbero riusciti a battere qualunque ostacolo o legge che vietasse loro di vedersi. Finché arrivò quel giorno crudele. Apparentemente normale, all’inizio: Erich per l’ennesima volta oltrepassava la breccia, andandole incontro e stringendola a sé, come aveva sempre fatto. Si scambiarono l’ennesimo bacio pieno di sentimento, poi si guardarono negli occhi con dolcezza. Erano ancora intenti a osservarsi con i sorrisi dipinti sui loro volti quando un proiettile proveniente dalla “striscia della morte” colpì di spalle Erich, facendolo accasciare per terra, davanti gli occhi sconvolti di Ilse.
La giovane era tornata a piangere, completamente stesa sul pavimento freddo a tormentarsi su quanto fosse stato cinico il suo destino, che le aveva portato via la persona più amata senza avere nessuna colpa. Allora era proprio come diceva Erich: loro erano divenuti eroi alla fine, seppure con un prezzo altissimo da pagare. Ilse, ancora con il volto stanco e stravolto, si alzò lentamente da terra. “Dove sei, Erich? In quale oceano stai navigando, lontano da me e dai tuoi racconti? Che senso ha la mia vita senza di te?” Ilse non esitò a salire sul bordo della finestra e a lanciarsi nel vuoto, verso l’oceano dove il suo amato Erich la stava aspettando.