– di Alfredo Grado –
In questi giorni si fa un gran parlare di Coronavirus (virus 2019-nCov), in verità non molto diversamente da quanto si sia fatto con la SARS (sindrome respiratoria acuta grave), apparsa per la prima volta nel novembre 2002 nella provincia del Guangdong (Canton) in Cina, o con la MERS (sindrome respiratoria del Medio Oriente), il cui primo caso fu segnalato per la prima volta il 24 settembre 2012 dal virologo egiziano Dr. Ali Mohamed Zaki a Jeddah in Arabia Saudita.
Tutto questo è perfettamente comprensibile, soprattutto se si considera che l’argomento, insieme ad altri migliaia di argomenti, e al di là della effettiva contagiosità, dà il senso del pericolo connaturato nell’individuo che alimenta l’immagine di un disastro imminente, dando così vita ad un sistema di ansia umana dovuta all’insieme dei messaggi che legittimamente percorrono la macchina dell’informazione, che oggi molto più di ieri serpeggia, prodotta con velocità impressionante.
Qualcuno dirà che la “velocità” del messaggio è un prodotto necessario della nostra epoca, ma come ebbe a dire Marshall McLuhan ” i mass media non sono neutrali, la loro stessa struttura produce un’influenza sui destinatari del messaggio, che va ben al di là del contenuto specifico che veicolano”. L’uomo non è adatto a questo turbine, la sua psicologia non regge facilmente la consapevolezza dell’ignoto se essa è fin troppo assidua. Accade così che ci troviamo a sostenere un inevitabile impatto, che produce un effetto potenzialmente devastante con l’aumento della soglia di incertezza che pervade ogni angolo dell’esistenza in ognuno di noi, senza che chiunque ne sappia conoscere la vera origine. Questa condizione, che troppo semplicemente siamo soliti definire “psicosi” di massa, in realtà rischia di diventare qualcosa di ben diverso.
Nella storia si sono registrati molti casi di psicosi spontanee di massa, ma in questo periodo sono molto più interessanti le psicosi indotte e organizzate. I cambiamenti collettivi, infatti, sono possibili solo manipolando la coscienza collettiva, e per manipolarla è necessario controllare i mezzi di informazione, che sostituiscono completamente il giudizio e la percezione individuali del mondo.
Leonardo Da Vinci diceva che le persone si dividono in tre categorie: quelli che vedono, quelli che vedono solo se gli si indica, quelli che non vedono nemmeno se gli si indica. E per tornare a noi, onde evitare facili, se pur utili digressioni, penso che in questi casi non convenga vedere solo ciò che ci viene indicato. Così facendo, rischieremmo di azzerare le capacità di discernimento, analisi, valutazione ed inferenza. In poche parole, rischieremmo di non capire che il vero mostro che si vuole abbattere non è tanto il Coronavirus – il cui tasso di diffusione è simile a quello di altre epidemie – quanto la stessa Cina.
Riflettiamoci su: la Cina detiene circa 1.000 miliardi di dollari pari al 5% del debito complessivo americano ed al 20% del debito internazionale. Non è un caso che fino a qualche mese fa si pensava che la Cina avrebbe utilizzato le quote di debito pubblico americano, che detiene sotto varie forme, come un’arma per danneggiarne l’economia. In sostanza, giusto per ridurre all’osso la questione, vi sarebbe la possibilità che la Cina svenda titoli di debito americano come un’arma contro gli USA. Ora, ferma restando l’ipotesi che anche questa potrebbe rivelarsi una guerra informativa, magari fredda, se questa fosse la verità perché non inventarsi qualcosa per annientare la Cina, magari isolandola?
E veniamo alla seconda proposta di riflessione: la guerra del 5G. È qui che si scontrano le due superpotenze Cina e Usa, mentre sullo sfondo un ruolo non marginale occupano l’Unione europea e la Gran Bretagna, che è appena uscita dallo scacchiere del Vecchio continente e si avvicina al presidente americano Donald Trump.
Gli appassionati del genere sanno bene che l’industria americana è assente o quantomeno in ritardo nella rivoluzionaria sfida tecnologica. Cosa che invece non può dirsi della Cina. Pensate che secondo le ipotesi allo studio dei parlamentari statunitensi, potrebbe essere stanziato fino ad un miliardo il finanziamento dei piccoli operatori. Manovra che smantellerebbe le antenne 5g cinesi già installate. Un altro miliardo abbondante potrebbe essere destinato addirittura – per far capire quanto gli Usa ci tengano – per sostenere i partner occidentali nella loro attività di ricerca e sviluppo sul 5G. Insomma, circa 750 milioni sarebbero già pronti per spingere la concorrenza dei vari Nokia, Ericsson e soprattutto Samsung. Circa mezzo miliardo infine sarebbe erogato ai Paesi in via di sviluppo per costruire le nuove infrastrutture e renderle per così dire sicure e “amiche”. Non sarebbe anche questo un altro motivo per annientare la Cina? E per certi colossi “il come” sarebbe una quisquiglia.
Una terza riflessione, ancora più acuta e vivace, se non altro perché ci coinvolge direttamente, proviene dal fronte «Belt and Road», le Nuove Via della Seta tracciata da Xi Jinping per costruire un corridoio terrestre lungo l’Asia Centrale e uno marittimo attraverso l’Oceano Indiano e l’Africa. Un reticolo di strade, collegamenti terrestri e marittimi che permetterebbero alla grande potenza commerciale asiatica di rafforzare gli scambi con i suoi vicini e con nuovi e vecchi partner economici. Come l’Italia, che con il suo affaccio sul Mediterraneo rappresenta (storicamente) il punto di arrivo e di partenza ideale per gli scambi da e verso l’oriente. Badate bene, parliamo di circa 900 miliardi di dollari in investimenti per costruire linee ferroviarie, porti, strade, telecomunicazioni, griglie energetiche tra Est e Ovest. Punto di partenza, centro di tutto, la Cina. Ma è l’Italia questa volta ad essere messa sotto accusa dal Consiglio della Sicurezza Nazionale statunitense, secondo il quale «l’Italia è un’economia globale di prima grandezza e un grande destinatario degli investimenti. Il suo appoggio al Belt and Road legittima l’approccio predatorio degli investimenti cinesi, e non conferirà nessun vantaggio agli italiani».
Appare evidente che gli americani temono prima di tutto l’arrivo dei cinesi nei due porti italiani, oltre che i possibili ostacoli che potrebbero trovare nelle acque finora amiche.
La conclusione di questa rapida disamina la lascio alle riflessioni del lettore il quale, a sua volta, non deve pensare di essere stato “manipolato” da un visionario, né tantomeno da un filo complottista. Tutt’altro. Deve essere un piacere ragionare. Riflettere, congetturare, supporre, scevro da facili fascinazioni e suggestioni poiché, come disse Giordano Bruno, “la libertà di pensiero è più forte della tracotanza del potere“.