La pellicola diretta da Ron Howard racconta (romanzando alcuni aspetti) la storia di John Nash, matematico ed economista statunitense, vincitore del premio Nobel per l’economia nel 1994. L’azione ha inizio all’Università di Princeton, quando Nash era uno studente introverso ma intellettualmente brillante. Il suo acume venne messo a dura prova quando si manifestarono i primi sintomi della sua patologia: una schizofrenia con delirio paranoide, cioè un disturbo che porta chi ne è affetto ad avere pensieri non aderenti alla realtà ed allucinazioni. Russell Crowe interpreta magistralmente un ruolo particolarmente complesso (Crowe si è misurato con un ruolo simile anche in “Padri e figlie”, diretto da Gabriele Muccino): Nash tentava di ribellarsi alla sua malattia, di contrastarla, pensava persino di poterla controllare. Lo spettatore empatizza facilmente, al punto tale da confondere inizialmente la realtà dalla finzione, dando credito a cose che poi si paleseranno come inesistenti. Non appena la malattia lo lasciava libero, la mente geniale di Nash tornava ad avere delle intuizioni acute, forse paradossalmente convivere con un disturbo psichico che lo portava ad avere manie di grandezze, ha permesso al matematico di spingersi oltre, di sviluppare qualsiasi suo pensiero folle. Però, talvolta la follia può portare a risultati inaspettati e brillanti, in altri casi è capace solo di spaventare, ossessionare e distruggere.
“A beautiful mind” (che ricorda per certi aspetti “π – Il teorema del delirio”, pellicola criptica e conturbante) è, infatti, anche e soprattutto una storia di sofferenza e di rabbia. Nash era molte volte impotente di fronte al manifestarsi dei sintomi, non gli era possibile smettere di vedere e ascoltare quello che le persone (che credeva fossero reali) gli comandavano di fare. Ed inoltre, fuori dallo schermo, il vero John Nash ha patito sofferenze e dolori incredibili: durante i molteplici ricoveri in istituti specializzati è stato sottoposto a dure sedute di elettroshock, shock insulinico, docce ghiacciate, e innumerevoli quantitativi di farmaci; i deliri che lo hanno realmente perseguitato gli hanno strappato via quasi tutta la sua lucidità.
L’opera di Ron Howard è una pellicola vera, che emoziona e commuove. Quello che ha salvato Nash, oltre all’“equazioni dell’amore”, sono state quelle puramente economiche: “La matematica, il calcolo e i computer sono stati la medicina che mi ha riportato ad un’idea più razionale e logica, aiutandomi a rifiutare il pensiero e l’orientamento allucinatori”.
Non si può pensare di combattere un disturbo del genere, di avere la forza tale per annientarlo, ci si può convivere, ci si può affidare a delle certezze. Per Nash una di queste era sicuramente l’amore (“Tu sei tutte le mie ragioni”, dice alla sua compagna nel discorso alla consegna del premio Nobel); e poi sicuramente la matematica che, essendo così precisa e razionale, gli infondeva sicurezza.
Mariantonietta Losanno