“[…] Mentre giravo le scene, mi sono sentito davvero fortunato. Ogni sera io tornavo ad essere “normale”, mentre per queste persone la vita, come me l’hanno descritta, è come una prigione che si rimpicciolisce sempre di più”, ha detto il premio Oscar Eddie Redmayne su “La teoria del tutto”, il film in cui ha interpretato Stephen Hawking. La pellicola è l’adattamento cinematografico della biografia “Travelling to Infinity: my life with Stephen”, scritta da Jane Wildee Hawking, ex moglie del fisico. Sulla scia di tante biografie che hanno affollato le sale cinematografiche negli ultimi anni e non solo, quella di James Marsh si distingue: nel film si affronta la malattia (l’atrofia muscolare progressiva) in ogni sua fase, ma non c’è spettacolarizzazione; ci si sofferma molto sui sentimenti, ci si concentra sulla speranza e sull’amore. Prima di tutto l’amore verso la scienza, quello che spinge Hawking ad elaborare le sue teorie; poi l’amore verso Jane, sua “eroina”, conosciuta in tempi di spensieratezza ed ingenuità ed amata anche in quelli più distruttivi.
Eddie Redmayne incarna, con immensa dignità, il senso del limite: Stephen Hawking è un uomo dilaniato dal dolore e dalla paura del futuro, che trova la forza rivolgendo lo sguardo verso i suoi punti di riferimento, la passione per la scienza e l’incredibile forza della sua Jane. È Felicity Jones ad interpretare Jane, una ragazza semplice e fragile che ha trovato il coraggio, poco più che ventenne, di dire “Affronteremo tutto insieme, e se sarà poco il tempo faremo in modo di farcelo bastare”. Una donna che si immola, senza però perdere se stessa: quello che la spinge ad andare avanti è l’amore, ma allo stesso modo rispetta se stessa quando si accorge che quest’amore non è abbastanza. La sua è una scelta consapevole, non un sacrificio: Jane si rivolge a Stephen sempre allo stesso modo, non provando mai pietà. Se è necessario si arrabbia (naturalmente nei limiti), quando ne ha motivo ride, si confronta con il suo compagno rispettando la sua malattia ma anche il suo lato umano. Stephen resta sempre agli occhi di Jane una mente geniale e un uomo straordinario: la malattia non si sovrappone mai alla sua essenza. Jane è capace, inoltre, di riconoscere il momento in cui non è più grado di parlare la stessa lingua del marito, e di accorgersi anche di chi riesce a farlo al suo posto.
Un aspetto fondamentale su cui soffermarsi è sicuramente il tempo. Hawking si domanda cosa sia, cosa lo riempie, dove si trovi. Lo spettatore è stimolato a riflettere, dunque, su quello che conta realmente: amare, lottare, sopportare. Il regista evita patetismi o banalità, il che rende la riflessione più spontanea, mai condizionata. Stephen Hawking è l’esempio di un uomo la cui potenza interiore, sorretta dalla tenacia di una donna incredibilmente coraggiosa, gli ha regalato una vita piena di soddisfazioni e successi, al di là di ogni possibile previsione. Hawking è stato molto di più di un semplice astrofisico: è stato un uomo, un padre, un marito, un simbolo di speranza. Basti solo pensare a come
sia stato capace di sprigionare emozioni con un minuscolo battito di palpebra. Il messaggio che deve passare non è però eccessivamente ottimista e dunque poco concreto: non si tratta, quindi, di affermare “ogni cosa è possibile, con impegno e passione”, quanto piuttosto “ci si deve impegnare con ogni mezzo per poter superare i propri limiti ed affrontare anche le situazioni più drammatiche, affidandosi alla forza dei sentimenti e alle passioni salvifiche”.
Mariantonietta Losanno