Yorgos Lanthimos ha una predilezione per le pellicole inusuali e imprevedibili. “The Lobster” (2015) ad esempio (che abbiamo già affrontato), è un film complesso e drammaticamente attuale, che parla di amore, di solitudine, di costrizione, di violenza fisica e psicologica, in un’ambientazione distopica. Potremmo definirlo una satira sociale gelida ed esasperata, un’opera che spinge alla riflessione e permette al pubblico di immedesimarsi. Non si può dire altrettanto de “Il sacrificio del cervo sacro” (il titolo è un riferimento esplicito alla tragedia di Euripide “Ifigenia in Aulide”, una delle pagine più crudeli della cultura greca). Ritroviamo Colin Farrell (protagonista in “The Lobster”) nelle vesti di un cardiologo, con una bella moglie e due figli. All’insaputa della famiglia incontra frequentemente un ragazzo di nome Martin, come se tra i due ci fosse un legame, di natura ignota a chiunque. Il regista ci porta in maniera brusca all’interno della storia, che da subito presenta elementi disturbanti, come la musica, le inquadrature, le immagini, i dialoghi. Tutto è estremamente paradossale e surreale, si aspetta costantemente un colpo di scena che possa fornire una chiave di lettura, un filo conduttore da seguire per non perdersi totalmente.
Se tante volte potersi abbandonare alla visione di un film non cogliendo ogni aspetto, liberandosi dalla pretesa di dare un senso ad ogni cosa, è una sensazione catartica, in questo caso si sente la necessità di cogliere qualche aspetto concreto, perché di per sé la pellicola presenta troppi aspetti irrisolti e poco equilibrati. L’angoscia e l’inquietudine sono costanti ma in maniera troppo forzata ed eccessiva: non si tratta di suspense o di tensione tipica da thriller, quanto piuttosto di una ricerca disperata da parte del pubblico di una via d’uscita.
Non è solo lo spettatore a sembrare perso, ma anche Lanthimos stesso. Una volta scoperte le carte, il film si presenta come un classico home invasion, ma i meccanismi sono inspiegabili, sadici, irritanti. È un’irrazionalità sfrenata che non trova partecipazione e consenso dal pubblico. Sappiamo solo, sin dalla prima scena, di doverci preparare a qualcosa di ansiogeno e terribile. Le premesse potevano essere interessanti, ma il punto di arrivo non è sufficientemente convincente. Lanthimos lascia lo spettatore da solo, lo pone di fronte ai propri limiti solo per il sadico bisogno di ricordargli l’impossibilità di superarli. Nessun aiuto, nessun sostegno: “Il sacrificio del cervo sacro” è un’opera ipnotica, eccessivamente disturbante al punto tale da suscitare nel pubblico una sensazione di disagio. Lo stesso sguardo del regista è una presenza minacciosa. Come si sopravvive e come si reagisce, dunque, ad uno spettacolo del genere?
Mariantonietta Losanno