Chi non hai mai desiderato essere qualcun altro? Il film di Anthony Minghella, tratto dall’omonimo romanzo della famosa giallista Patricia Highsmith (una delle più influenti del Novecento, naturalmente dopo Agatha Christie), pone sin dall’inizio allo spettatore questo grande interrogativo. A chi non è mai successo di identificarsi nella vita di qualcuno, di invidiarla al punto tale di desiderare che fosse la propria? Un personaggio famoso, un uomo o una donna di potere, un qualunque modello o icona: quale che sia il campo di questo fantomatico “idolo”, è sicuramente capitato di pensare “magari potessi vivere anch’io la sua stessa vita”, o “magari possedessi anche io i suoi stessi agi, le sue stesse fortune”. Sono pensieri che normalmente si manifestano con superficialità, senza concretezza, e che forse sono anche sinonimo di poca maturità o autostima. Ma torniamo al punto: Minghella suggerisce una domanda che si sono posti tutti almeno una volta nella vita.
Tom Ripley (Matt Damon) è un ladro di identità, un bugiardo di professione. È in missione per conto del ricco Mr. Greenleaf, per convincere il figlio Dickie a fare ritorno in America. L’incontro con Dickie, però, fa nascere in Tom una malsana idea: non sarebbe bello godere del suo stesso stile di vita, della sua fidanzata, dei suoi amici? In questo modo, avrebbe senz’altro una vita migliore. È solo l’inizio di una spirale di violenza e follia. Il regista è rimasto fedele alla fonte letteraria e ha ricostruito in modo molto accurato l’Italia degli anni Cinquanta, con location distribuite tra Napoli, Roma, Venezia.
Mr. Ripley è talentuoso, è capace di mentire e di restare lucido e impassibile anche di fronte alle situazioni più disastrose. Agisce in modo consapevolmente folle, non commettendo mai errori. Il punto è che proprio colui che ruba le identità altrui ne è poi evidentemente sprovvisto: Tom è un ragazzo insicuro, timido, schiavo dei suoi complessi di inferiorità. Cova dentro di sé una rabbia repressa, scaturita dalla sua solitudine, e appena ha l’occasione di sentirsi qualcuno (ma mai se stesso), tutta la sua furia prende il sopravvento. La pellicola alterna momenti da tipico thriller psicologico scandito dalle azioni criminose di Ripley, a quelli più drammatici in cui si approfondisce l’aspetto più intimo di Tom, la sua omosessualità e il suo bisogno di sentirsi accettato e parte di qualcosa. Gli eventi procedono progressivamente rispetto al processo di distorsione della realtà di Ripley: la sua patologia emerge gradualmente. Tom dissimula, è sveglio e sempre pronto a reagire in qualsiasi circostanza, quando poi è messo alle strette è costretto a diventare uno spietato omicida. La sua è una sorta di giustificazione: non vorrebbe compiere determinate azioni, ma se crolla il suo personaggio, la sua lucidità vacilla e per sopravvivere agisce senza alcuno scrupolo compiendo atti efferati. Piuttosto che essere il “Signor Nessuno” meglio essere un truffatore, un assassino, un criminale. Il prezzo da pagare, però, prima o poi arriva per tutti. “Il talento di Mr. Ripley” suggerisce importanti riflessioni sulla natura di questo “talento”, ossia quello di deformare la propria persona e dilettarsi in performance teatrali, a seconda della situazione, per perseguire il proprio obiettivo.
Mariantonietta Losanno