– di Florindo Di Monaco –
Perché ho deciso di realizzare una storia dell’architettura tutta ed esclusivamente al femminile? Per sottrarre le architette a un grande cono d’ombra che le ha a lungo oscurate e portarle, come meritano, alla luce del sole.
Il mio video documentario è diviso in due dvd della durata, rispettivamente, di 32 e 34 minuti, poco più di un’ora, quanto basta per un primo, ma significativo e interessante approccio con le donne che hanno lasciano un segno importantissimo in questa nobile arte, anzi spesso ne hanno cambiato il volto.
Per secoli, l’arte, come molte altre discipline, è stata appannaggio degli uomini.
Ancor più nell’architettura, “il grande libro dell’umanità”, come la battezza Victor Hugo, il maschilismo ha dominato fino a gran parte del Novecento. Per lunghissimo tempo la professione dell’architetto è stata considerata una delle più maschili di tutte.
Negli anni Venti ci sono già non poche donne architetto, ma per la stragrande maggioranza della società l’architettura rimane ancora un mestiere per uomini.
“La donna è analitica, non sintetica. Ha forse mai fatto l’architettura in tutti questi secoli? Le dica di costruirmi una capanna, non dico un tempio! Non può. Essa è estranea all’architettura, che è la sintesi di tutte le arti”. Così scriveva Benito Mussolini nel 1927 a proposito delle prime ‘architettrici’, facendosi portavoce della disistima generale nei confronti delle audaci, talentuose pioniere.
Nel Novecento le donne si affacciano realmente nel mondo dell’architettura. Ma almeno fino a cinquanta anni fa, le donne architetto sono state sottovalutate o del tutto ignorate.
Eppure le personalità geniali non sono certo mancate. Un nome per tutte, tra i più illustri al mondo: l’irachena Zaha Hadid, che pure negava di essere un simbolo del progresso femminile in architettura, e tuttavia resta un esempio da seguire, un modello da imitare. Zaha Hadid peraltro è stata la prima donna a vincere nel 2004 il premio Pritzker, il più importante riconoscimento mondiale, una sorta di Premio Nobel per l’architettura, seguita dalla giapponese Kazuyo Sejima nel 2010.
E tra le italiane che hanno fatto storia non si possono passare sotto silenzio Lina Bo Bardi e Gae Aulenti. Oggi sono molte, e già da anni vedono finalmente riconosciuto il loro lavoro meritando numerosi e importanti premi.
Il numero delle lauree femminili in Architettura è in costante aumento, poche però sono le architette alla guida di grandi studi. Quasi ovunque, anche in Asia e in Africa, le donne architetto si riuniscono in associazioni fedeli al motto “l’unione fa la forza”. L’architettura mondiale si va progressivamente femminilizzando. Soltanto l’urbanistica resta ancora un territorio da espugnare, un feudo maschile o, per meglio dire, maschilista.
Nel 2013 la giovane madrilena Izaskun Chinchilla dalle idee quanto mai innovative e sorprendenti si guadagna una menzione d’onore. La giuria ammira il suo coraggio nell’aprire “percorsi non convenzionali, combinando impegno sociale, sostenibilità ambientale e influenzando una generazione di giovani architetti”. Eppure la stessa Chinchilla nel 2016 indirizza una lettera al presidente del Consiglio degli architetti spagnoli per protestare contro la radicale esclusione delle donne dal più importante premio d’architettura nazionale: mai nessuna donna fra i finalisti né tantomeno fra i vincitori, perfino nessuna donna in giuria. Un segno che il gender gap, la discriminazione, in parte continua ai giorni nostri.
Continuando con successo la loro scalata alla roccaforte maschile dell’architettura, le donne hanno molto da offrire al mondo della progettazione. Quest’arte ha l’aspetto poliedrico del temperamento femminile, esuberante, fantasioso, mutevole, ma nello stesso tempo ordinato, rigoroso, preciso. L’architettura, “musica nello spazio”, secondo Schelling, è armonia, e l’armonia è prima di tutto donna.