Più di settemila pagine di rapporto, studiate e analizzate nel corso degli anni, pronte per essere note al pubblico per metterlo a conoscenza degli abusi e delle vergogne della CIA. Quella di Daniel Jones (interpretato da Adam Driver, definito da Martin Scorsese “uno degli migliori, forse il migliore attore della sua generazione”, e che abbiamo visto anche nel drammatico ed intenso “Storia di un matrimonio”) è un’indagine accurata ed ostinata, che deve scontrarsi contro l’omertà, il Potere, l’indifferenza nei confronti di una violenza sconcertante che lo spettatore avverte in maniera tangibile. Jones agisce consapevolmente, spinto dal desiderio viscerale di mettere in luce l’agghiacciante Verità. Esamina meticolosamente tutti i dati, i fascicoli, i dossier legati alle pratiche di interrogatorio e detenzione della CIA e comprende a fondo la disumanità di certe prassi: proibizione del sonno, percosse, isolamento, umiliazioni. È quella della tortura la soluzione che sembrano preferire gli uomini della CIA, successivamente alla caduta delle Torri Gemelle, affermando di agire secondo giustizia, giustificandosi dicendo di avere un unico intento: sventare successivi attentati terroristici e venire a conoscenza di informazioni fondamentali per la sicurezza della nazione. A quale prezzo si è disposti ad ottenere un’informazione? Ed è giusto sacrificare la vita di una persona (in alcuni casi si tratta di soggetti plausibilmente colpevoli, non si ha la piena certezza) per salvare quella di altri? Come se si potesse affermare senza contraddizioni che la vita di un criminale -o presunto tale- possa valere meno di quella di un comune cittadino.
Quella di Daniel Jones è la lotta di un unico uomo contro un intero sistema che non può essere intaccato così facilmente e che prende le dovute precauzioni per coprire l’efferatezza di certe modalità di carcerazione. Nonostante questo, Jones reagisce alla coercizione e all’abuso di Potere, riuscendo a far pubblicare il rapporto, facendo in modo che lo Stato guardasse in faccia l’orrore dei propri errori. C’è un bisogno di giustizia che traspare da questa pellicola, che si presenta come un quadro pericolosamente nitido, onesto e scrupoloso di ciò che è avvenuto e che resta inevitabilmente impresso nella mente e nella coscienza di chi assiste inerme.
“The Report” è un importante film d’inchiesta, che ricorda “Tutti gli uomini del presidente”, “L’ultima minaccia”, o pellicole più recenti come “The Post” e “Il caso Spotlight” e che mette in luce una grande e inconfutabile Verità: la tortura è solo puro sadismo. Inoltre, è un documento storico che ha un’importanza attuale ed incontrovertibile, che mostra come e quanto si è disposti a sporcarsi le mani con azioni lontane da ogni forma di etica e dirispetto della dignità umana. “The Report” è, dunque, un’opera lucida che evita il pathos ad effetto e risparmia al pubblico l’eccessiva ed inutile drammatizzazione: è un racconto rigoroso che non scende a compromessi, diverso da tanti altri dedicati agli attentati dell’11 settembre, che sceglie di adottare un punto di vista asettico ed oggettivo, perché di per sé le immagini hanno sufficiente forza ed eloquenza.
Mariantonietta Losanno