– di Elvio Accardo –
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LA SCOGLIERA
Il sorriso si spense quasi subito sulla bocca di Amedeo. Le parole di padre Leonardo lo turbavano adesso più di prima e, per tutta la risalita di Via Maggio, precedette di qualche passo Rosanna, così lei non avrebbe potuto leggergli sul viso ciò che esprimeva.
Era quindi proprio lui che poteva ricreare la serenità di Rosanna, con il suo conforto, con la sua amicizia, avvicinandola a Gaetano; il suo intervento amorevole avrebbe potuto rinsaldare il nuovo rapporto d’amore tra loro – ma quale rapporto d’amore! Ma quali parole sincere! Ma quali bugie, piuttosto, avrebbe dovuto raccontare a Rosanna, quali tormenti avrebbe potuto mascherare l’altruismo?
Questi pensieri gli martellavano le tempie mentre risaliva quella via, seguito da Rosanna che, di tanto in tanto, commentava quella imprevista mattinata. A quei commenti Amedeo rispondeva con brevi grugniti d’assenso. Ritornavano invece nella mente le parole che avrebbe voluto rispondere a padre Leonardo: come gli si poteva chiedere di addolcire il loro rapporto e aiutare Rosanna e suo marito a ritrovare il loro amore? Ma dove starebbe lui, Amedeo, in questo perverso gioco delle parti? Quale posto occuperebbe? Quello del buon fratello maggiore? Del caro e affettuoso amico, per sempre pronto a fare da spalla a chiunque pur di avere un ruolo, anche se grottesco, in una storia mai sua.
Alla svolta sulla piazza del Vescovado, interrompendo la foga di quei pensieri di Amedeo, Rosanna chiese: “Ma cos’è questo mistero con Ernesto? Comincio ad incuriosirmi”. Amedeo si fermò e guardò Rosanna che lo raggiunse, fece uno sforzo per cancellare dal suo volto quei ragionamenti e disse: “chi?” “Ernesto Faraone, quello che ti aspetta al Bar della Marina”, “Ah si, Ernesto, te ne parlo mentre ci sediamo a prendere un caffè qua al Bar di Feliciello”. “No” disse Rosanna, “il caffè lo prendo a casa, tanto sono solo 100 metri, ho bisogno di cambiarmi e non vedo l’ora di andare al mare … me ne parli con calma dopo, per te va bene?” Amedeo approvò con un cenno del capo, e Rosanna passò speditamente avanti, attraversò la piazza seguita da Amedeo.
Gli ultimi pensieri di Amedeo, seguendo Rosanna, furono per Padre Leonardo, e pensò che il buon monaco non conosceva tutto della vita di Rosanna, e zia Tatella aveva taciuto sulla loro relazione forse perché era più interessata a tentare una riconciliazione per salvare la limonaia e il palazzo e mettersi finalmente a riposo. In quel breve tratto fino al palazzo Spada, passarono nella mente di Amedeo pensieri dolorosi e contrastanti, ma fu il sordo dolore alla gamba che non lo lasciò neppure un attimo. Zia Tatella li accolse sul vialetto della limonaia mentre innaffiava i vasi di gerani del muretto che circondava la terrazza. “Avete fatto il bagno?” “Non ancora” rispose Rosanna, “siamo stati ospiti di Padre Leonardo e abbiamo pranzato al convento”. “Porta fortuna pranzare al convento coi i monaci, lo sapete? Allora preparo il caffè. Ha telefonato Gaetano, dice che arriva a Sorrento alle nove, e siccome si fa tardi per la pesca, ha detto di non aspettarlo e che Amedeo si può avviare. Giù al porto ci sta Jennarone che ti porta alla cala di Mitigliano, poi vi vedete là, prendi le totanare che ti servono da Feliciello e avvisalo del ritardo … vado a fare il caffè”. Posò l’annaffiatoio di latta e si avviò.
La seguirono nel fresco della cucina, Rosanna si avviò al piano di sopra. Rimasti soli, Amedeo accese una sigaretta e si sedette al gran tavolo di marmo seguendo i movimenti di zia Tatella. In quel silenzio, Amedeo, prese il sacchetto con i torroni che aveva portato dalla festa e li posò sul tavolo, e quando zia Tatella mise la moka sul fornello disse: “Questi sono per te, o per i nipotini, penso che siano buoni”, zia Tatella si voltò e con un sorriso entusiasta svuotò il sacchetto. La fragranza delle nocciole caramellate e del miele dei torroni riempì l’aria. Zia Tatella, con impeto, abbracciò Amedeo, ringraziandolo del regalo, riponendo nel sacchetto i torroni disse: “questa casa finisce qua, con noi. Signori Spada non ce ne stanno più, Rosanna non tiene figli. Amedeo, perché te ne sei andato? Rosanna ti voleva bene, si poteva avere un futuro diverso, migliore, coi bambini che giocavano qua fuori, con le gioie e l’allegria che tutti i bambini portano … Amedeo, io sono vecchia, e questa è stata la mia famiglia, Rosanna non ha figli e io non tengo nipoti, questi torroni non li posso mangiare e non li posso neanche regalare, finiranno ai poverelli del vescovado, come questa casa e la limonaia, se tutto va bene.
La tristezza s’impadronì di Amedeo, ma qualcosa nel fondo della sua mente, gli diceva che forse i bambini di Rosanna non avrebbero mai rallegrato villa Spada, perché non ne avrebbe mai potuti avere, una sirena è sterile, non si riproduce.
Zia Tatella accese il fornello sotto la moka, e Amedeo ruppe quel silenzio così amaro dicendo:” Chi è Jennarone … è quel pescatore che ricordo io già vecchio, che teneva la mellonara? Quello che trasportava tutta l’estate i meloni e i cocomeri al mercato di Capri? È lui, è ancora vivo?” “Si, è proprio lui, tiene più di ottanta anni e niente lo ferma. A bordo sempre di quella vecchia barca trasporta turisti a Capri, e d’inverno fa il guardiano ai gozzi dei villeggianti”. Jennarone non è di Massa, è di Capri, si, proprio nativo di Capri. Da giovane era famoso a Capri perché faceva “l’attrazione”; “L’attrazione?… Cioè” “Sì, l’attrazione, l’attrazione turistica”- rispose zia Tatella -“prima della guerra, Jennarone inventò la “posa” del marinaio caprese, con i capelli lunghi e sporchi, la barba rossiccia e la pipa di creta in bocca, inventò la moda, vestito coi pantaloni arrotolati, la camicia e il gilet.
Facevano proprio i quadri col suo ritratto di pescatore tipico caprese, e c’erano le cartoline in tutti i negozi di Capri. Prima della guerra i turisti trovavano i suoi ritratti ovunque, fecero anche Jennarone in maiolica, e ne vendevano di fotografie con lui in posa. Tutti i turisti facevano la fila per fotografarsi con lui e pagavano. Insomma, Jennarone era conosciuto in tutto il mondo come tipico pescatore caprese, quando a Capri non c’è stato mai un pescatore come lui, era il più falso pescatore caprese mai esistito. Dico io, ma la gente si ammocca proprio tutto, anzi le storie quanto più fasulle sono più si vogliono credere”. Il caffè ribolliva nella moka, e zia Tatella preparò le tazzine; Rosanna comparve sulla porta della cucina seguita da “Pupa” e “Musetto” che guaivano scodinzolando. Bevvero il caffè e salutarono zia Tatella. Rosanna indossava un pareo rosso sul costume verde a fiori e sandali bassi in cuoio nero, la borsa da mare appesa alla spalla.
Amedeo ammutolì, non era capace di emettere suoni rapito com’era da quella figura così elegante e sensuale.
Per tutto il viale della limonaia non parlarono, sul cancello Rosanna si fermò e sorrise a lungo, come in attesa; Amedeo la guardò e disse: “Speriamo che Feliciello stia ancora al bar, così poi siamo liberi di andare al mare”. “Già, speriamo” rispose Rosanna con lo stesso sorriso. Amedeo cedette il passo a Rosanna e ricominciò ad appoggiarsi faticosamente al bastone, il dolore era ricominciato.
Perché aveva dato una risposta tanto idiota a quel sorriso invitante di Rosanna? Avrebbe dovuto invece cogliere l’occasione per dirle quanto era bella, quanto era forte il suo desiderio, invece se ne era uscito con “speriamo che Feliciello…” che stupido, che enorme idiota, e che delusione aveva letto negli occhi di Rosanna. Voleva nascondersi, sprofondare, e quei cento metri fino al bar, gli parvero cento chilometri d’inferno da attraversare.
Feliciello venne loro incontro tra i tavoli, invitandoli ad entrare e bere un caffè. Rosanna declinò l’invito spiegando di voler raggiungere la scogliera: “se volete, vi do’ un passaggio fino al porto, sto andando a prendere le nasse per preparare le esche alle totanare per la pesca di stasera, e poi don Gaetano mi ha telefonato dicendo che faceva più tardi, e mi ha chiesto di dare a Don Amedeo un po’ di lenze apparecchiate, così si può avviare a Mitigliano con Jennarone, che avviso appena scendo al mare”.
“Grazie, il passaggio ci fa comodo, ed eravamo venuti proprio per dirti del ritardo di mio marito, ma visto che già sai tutto, noi approfittiamo per fare altri quattro passi. Ti aspettiamo più avanti, di fronte al santuario”. “Arrivo subito, vado a prendere la macchina. “Rosanna si avviò seguita da Amedeo muto e affaticato.
La piazzetta davanti al santuario della Lobra non era deserta come si aspettava Amedeo. Ogni punto d’ombra tra gli oleandri, ospitava uno o più bandisti, che sonnecchiavano o fumavano o parlavano sotto voce.
I torronari, spenti i fuochi sotto i grossi pentoloni di rame, riposavano, qualcuno dormiva su una sdraio, all’ombra dei colorati tendoni. “Non mi aspettavo questo silenzio, sono sorpresa, praticamente siamo gli unici che hanno da fare. Tu ed io non ci fermiamo da stamattina e ci inventiamo tutto minuto per minuto, così come viene, ma qui sanno tutti insieme cosa fare, quando e dove. Devono scendere a mare? Lo fanno tutti insieme, devono risalire? Risalgono tutti insieme? Devono fare questo? Quello? Sempre tutti insieme, come una recita, su il sipario e si balla, e si canta, giù il sipario, il silenzio. Su il sipario, si ricomincia, giù il sipario, tutto scompare, questa è l’ora in cui cala il sipario”. “Sì; ma è solo il primo atto, tra poco tutti riprenderanno il proprio posto e la banda suonerà, i torronari riavvieranno i pentoloni, i monaci organizzeranno la folla, e la processione partirà. Questa è la controra, sono cioè quelle ore che vanno al contrario di quelle che precedono l’alba, che vanno verso la luce … voglio dire la vita; queste, invece, vanno verso la sera, la notte, e la gente a volte preferisce affrontare la notte ben sveglia, pronta a qualunque possibilità.
“Vuoi dire che la vita o la morte bisognerebbe affrontarli sempre da svegli, dopo aver mangiato e riposato? Saggia metafora, chissà cosa ne pensano i popoli che vedono la luce per sei mesi e la notte per altri sei mesi”; risero insieme, ma Amedeo rise amaro, non avrebbe voluto dare una risposta dotta, ma alleggerire la riflessione di Rosanna con dell’ironia. Il suo disagio non l’abbandonava, cominciava a sentirsi fuori posto, non all’altezza della situazione, altre volte aveva provato questa sensazione destabilizzante, a volte stentava ad essere spontaneo, scivolava invece in crisi nelle quali si sentiva ridicolo, mai a suo agio, ogni cosa risultava come sfocata, o sdoppiata, come se ci fosse un altro che indossava il suo corpo.
La Fiat 128 di Feliciello, a dispetto di quel silenzio caldo, profumato dai succhi dei fiori d’oleandro, arrivò strombazzando, liberando così Amedeo da quella sensazione fastidiosa e dal dolore sordo della gamba. Arrivarono al porto, Rosanna e Amedeo lo ringraziarono, e Feliciello disse: “Io tra due ore risalgo, vi posso riportare su, se volete”. “Grazie” – rispose Rosanna, “così arrivo in tempo per la processione; noi andiamo sugli scogli”. “Non vi preoccupate, vi vengo a cercare, Don Amedeo, io adesso parlo con Jennarone e lascio a bordo della mellonara le lenze per voi.” “A proposito” – disse Amedeo – “lasciami la lenza con l’esca finta, non l’ho mai provata prima, è quella di plastica con la batteria”. “La so, Don Amedeo, l’ho usata pure io, quella che avete portato voi. La tengo qua con altre, ci metto pure la batteria nuova e ve la lascio con altre due a Jennarone, preferite la perchia come esca? O…” – “Va bene la perchia, grazie a più tardi”. Raggiunsero la scogliera e discesero fino a quasi sull’acqua, dove una piccola piattaforma creata casualmente tra i grossi blocchi di roccia che serviva da frangiflutti, consentiva di stendersi ed essere invisibili da ogni lato. Solo dal mare che frangeva lungo e pigro a un metro da loro, si poteva scorgere quel luogo ora deserto, ma in ore diverse sempre occupato da bagnanti.
La schiuma entrava tra gli scogli fino a lambire l’asciugamano che Rosanna distese appena giunta sulla piattaforma. Si tolse il rosso pareo e si distese al sole, tirò sulla punta del naso gli occhiali da sole e disse ad Amedeo che la osservava in silenzio: “non ti spogli? Mi devi dire tutto di Ernesto, ricordi? Sdraiati qui, vicino a me, puoi poggiare la testa sulla borsa; a me non serve”. Amedeo si spogliò e posò il pantalone, la camicia e i sandali sul bordo di uno scoglio che si affacciava vicino come una mensola, “non ricordo questa piattaforma, sembra fatta apposta per una coppia di bagnanti che vogliono stare in pace.” “Si, è vero, il frangiflutti lo hanno rifatto l’anno scorso da capo, qui le mareggiate, lo sai, d’inverno distruggono il porto e le barche. Il frangiflutti scompare, e poi lo rifanno di nuovo. Qua ci vorrebbe qualcosa di diverso, un vero braccio di porto, chiuso alle mareggiate. I danni sono sempre molti per le barche dei pescatori e quelle dei turisti che le lasciano qui anche d’inverno. Stavolta siamo fortunati, abbiamo un posticino tutto per noi in piano, che ci consente di isolarci … parlami di Ernesto, se vuoi, perché lo devi vedere? Lo rincorri da stamattina.” “Io non lo so perché lo devo incontrare, non so la ragione, ha mostrato di conoscere molte cose della mia vita qui a Massa, ha parlato del” S. Filippo”, lo ricordi il mio gozzo? Me ne ha parlato in dettaglio, anche la mia campana di bronzo che stava a bordo ricordava. Ha parlato poi di un amico comune che ora non c’è più, che mi stimava molto. La mia curiosità si è trasformata in sorpresa, in un forte interesse, ma proprio mentre stava svelandomi il nome dell’amico scomparso, sono sopraggiunti Gaetano e Ornella, che hanno prelevato Ernesto, invitandolo a spostarsi per cantare e suonare. Ieri la festa nella limonaia è stata carica di vicende vissute a metà: la storia con Ernesto, il mio libro dimenticato, Gaetano ed Ornella, la tua mancata esibizione canora e altro … ecco, è tutto qui tranne il fatto che, salutandomi, Ernesto mi ha dato l’appuntamento al convento a mezzogiorno, e poi il resto lo sai. In questo curioso puzzle siamo solo all’inizio, mancano molti tasselli, e anche i più importanti”.
“Capisco cosa vuoi dire delle storie vissute a metà, ma credo che alcune di queste non abbiano un’altra metà a cui unirsi o da cercare chissà dove, credo che comincino e finiscano in quel tassello che si è mostrato; altri, invece, già si sono svelati e tu magari non li hai ancora notati, altri ancora necessitano di una ricerca più approfondita. Forse molto dipende dal saper riconoscere il tassello giusto da unire a tutti gli altri. I tasselli ci sono sempre tutti, ma si confondono tra loro per il colore, la forma, piccoli dettagli, lievi sfumature; è molto difficile individuare subito quello giusto, ma credo pure che, oltre a cercare, cercare, cercare, bisogna a volte necessariamente prenderne decisamente uno qualsiasi e provare ad inserirlo, provare ad accostarlo agli altri. Si può sbagliare, ma a volte è necessario, per capire e superare l’incertezza, la paura di non riuscire ad agire e poter cosi anche solo immaginare l’insieme del puzzle, non credi?”. Qualche gabbiano era posato sulle onde poco lontano, altri nel cielo volavano apparentemente senza meta. Il sole del pomeriggio si abbassava sull’orizzonte e le ombre della scogliera si allungavano verso la ininterrotta fila di barche ormeggiate all’interno del frangiflutti.
Le ultime parole di Rosanna suonarono roche e morbide, mentre il suo corpo si rilassava al caldo sole in un’abbacinante luce rotta infinite volte e infinite volte riflessa sull’acqua e sulla bianca scogliera. Amedeo rispose un silenzioso “Già!” Accese una sigaretta, seduto sulla piattaforma con la schiena appoggiata ad una roccia, guardando quel corpo forse già assopito di Rosanna. Amedeo non parlò più; la controra, pensò, non lasciava scampo a nessuno. Il leggero e dolcissimo sonno di quell’ora esaltava le forme e il profilo di quella donna, e la sua mente non riuscì a pensare ad altro che alla voluttà di quel momento. Il desiderio di toccarla, di accarezzarla era prepotente, ma ancor di più era la frustrazione che bloccava la sua mano. Con rabbia scagliò lontano nel mare la sigaretta, l’ombra della sua mano attraversò con un guizzo scuro il corpo di Rosanna, fu come una rivelazione, allontanò silenziosamente il bastone ai suoi piedi e spostò la schiena dalla roccia, per aumentare l’angolo con il sole, e lentamente allungò il braccio. L’ombra della sua mano giunse sui polpacci morbidi di Rosanna, abbassò velocemente il braccio e l’ombra raggiunse la sua mano. Il suo cuore cominciò a battere forte, l’emozione lo colse come un’onda calda, attese qualche attimo e ricominciò il gioco, s’accorse che non era necessario alzare tutto il braccio, bastava la mano e l’avambraccio, e così, l’ombra cominciò a salire sulle cosce, e lentamente le accarezzò. Il piacere che ne scaturì fu violento, il cuore gli batteva in gola. Quando l’ombra raggiunse il delicato ventre, la sua mano d’antracite sul costume di smeraldo gli sembrò reale, vera, poteva addirittura sentire il suo calore, le sue lievi forme sensibili. Fu un’eccitazione inconsueta, magica, carica di sensazioni a cui non sapeva e non voleva sottrarsi, la sua mano-ombra non avrebbe mai potuto raggiungere i dolcissimi rilievi del costume che formavano i seni, poiché l’arco che avrebbe coperto il suo braccio era corto, avrebbe dovuto spostarsi più avanti, e ci provò. “Mi prendi le sigarette nella borsa?” – disse Rosanna spostandosi sul fianco. Amedeo rimase pietrificato. S’era accorta Rosanna di quello che aveva fatto? Il gelo lo attanagliava e il dolore alla gamba gli ritornò bloccandogli il respiro”; la borsa sta proprio dietro di te.” A fatica Amedeo si girò e prese la borsa, ma per la goffaggine derivata da quella situazione, afferrò la borsa all’incontrario, e nel sollevarla, si rovesciò, facendo cadere il contenuto sulla piattaforma. “Scusami” – disse Amedeo al culmine dell’imbarazzo, raccogliendo tutto quello che era sparso dietro la sua schiena e porgendo le sigarette a Rosanna sentì dire:”mi sono fatta prendere dal sonno, anche tu hai dormito?”. Cos’era questo, un modo per dire che s’era accorta di tutto e che era meglio non parlarne? Oppure non s’era accorta di nulla perché dormiva veramente? Negli attimi che seguirono, Amedeo s’accorse che dalla borsa era caduto il libro che le aveva regalato senza più l’incarto, ma con la copertina rossa e bianca in evidenza.
Prese il libro e lo porse a Rosanna: “adesso so a che pensare, l’ho aperto a casa mentre mi cambiavo, un libro sui canti antichi napoletani, non l’avrei mai immaginato, non l’ho sfogliato ancora”. Amedeo si avvicinò e accettò qualunque alibi gli fosse stato offerto pur di uscire da quella brutta crisi. “È un libro che raccoglie villanelle, arie e canti dal millequattrocento fino al millesettecento. Ci sono testi, versi, anche partiture originali e qualche intabulazione tra le illustrazioni, c’è anche analisi, critica e aneddoti legati a queste canzoni. Forse è interessante, io non l’ho letto, l’ho preso pensando alla tua passione per il canto”. Rosanna fece posto ad Amedeo a fianco a sé, accese la sigaretta e cominciò a sfogliare le prime pagine, si fermò con la sigaretta tra le dita con le unghie perfette coperte di smalto trasparente, che, con i raggi del sole sembravano specchietti riflettenti “Tu m’aje prommiso quatto moccatora … è il “canto delle lavandaie del Vomero”, la conosco questa”. E in quella atmosfera solare, dove il mare penetrava tra gli scogli fino a bagnare i piedi di Rosanna, in quel pomeriggio stanco e silenzioso, dove le ombre erano diventate più vive delle luci, su quella roccia piatta invisibile dal porto, dove le paranze riccamente addobbate in attesa della sacra immagine della Madonna della Lobra, si allineavano aspettando la gente in processione, Rosanna cantò.
Le note, i suoni, se ancora potevano essere chiamati tali, erano più simili a onde che attraversavano il corpo rendendolo schiavo di quella melodia. Così Amedeo ricordava il canto di Rosanna, così il suo essere rispose all’incanto. Non si accorse del sorriso luminoso di Rosanna alla fine del canto, non sentì Rosanna dire: “è una gioia dell’anima vedere in te inalterato il candore di una volta, mi aspettavo proprio di rivederti così”. Non vide Rosanna che si alzò e con un solo elegante movimento entrò in acqua tuffandosi, senza schiumare l’onda.
Quando riemerse Rosanna colpì Amedeo con una spruzzata d’acqua e disse: “Non fai il bagno? Su, tuffati, andiamo giù”. Amedeo, come un automa, si tuffò e l’acqua fresca sul suo corpo accaldato gli provocò un brivido che gli risalì la schiena fino alla nuca. Rosanna si immerse e Amedeo la seguì. Il fondo roccioso pieno di alghe e di riflessi gli apparve splendido, pur percependolo sfocato, e nuotò sul fondo da cui Rosanna già risaliva. In superficie Rosanna mostrò una stella di mare, rosso fuoco, con peduncoli che si incollavano alla sua mano. Quando Amedeo si avvicinò disse;” quali stelle sono più belle, quelle in cielo? Che puoi solo immaginare o quelle in fondo al mare? Che puoi anche toccare?”. Amedeo si avvicinò e toccò la stella marina afferrando anche la mano di Rosanna, il profumo di mare intenso e profondo di quella creatura rossa e viva, penetrò nelle sue narici “ è questa la stella più bella” indicando col viso l’intrico rosso con le dita ambrate di Rosanna – fu un attimo fuori dal tempo, e fuori dal mare, fuori da ogni cielo stellato o da ogni fondale marino, Rosanna baciò Amedeo sulla bocca mentre le mani ancora stringevano la stella – fu un bacio prima salato dall’acqua, poi le bocche si sigillarono, ma fu un momento, Rosanna lanciò lontano la stella, che rapidamente affondò, e con veloci bracciate salì sulla piattaforma.
Il cuore di Amedeo recuperò il battito normale dopo un po’, e dopo aver visto Rosanna salire, nuotò fino alla scogliera, poi affondò la testa nell’acqua riversandola all’indietro e chiudendo le narici con le dita – i capelli gli si incollarono alla nuca – “lo sapevo che vi avrei trovato qua”. Era Feliciello, che, affacciato sulla piattaforma, salutava con la mano: “Questo è il posto migliore per fare il bagno e prendere il sole veloce veloce. Bella l’acqua vero? A quest’ora la risacca non dà più fastidio, qua sotto però è pieno di cozze, bisogna fare attenzione quando si risale”. Mai, come in quel momento, Amedeo aveva provato odio verso qualcuno, avrebbe voluto dire a Feliciello di andarsene, di non tornare mai più, perché quello era il suo momento magico, era quello l’attimo che avrebbe colto sdraiandosi accanto a Rosanna per baciarla, parlarle di tutto quello che tumultuava nel suo cuore e nella sua mente.
Rosanna ai saluti di Feliciello si alzò dicendo: “Non m’ero accorta che il tempo era passato così velocemente”. “Signora Rosanna “- disse Feliciello accovacciato sulla scogliera – “se volete stare ancora magari io vado al bar e torno più tardi”. “No, no veniamo subito, il tempo di asciugarci un po’ e raccogliere le cose sparse qua sotto”. “Professore, ho parlato con Jennarone, vi aspetta quando volete, lui sta sempre a bordo, la mellonara è ormeggiata di fronte al bar del porto, le lenze già stanno là”. Amedeo rispose con un cenno della testa mentre infilava i pantaloni seduto su una roccia.
Via Maggio, la Piazza Vescovado, la Piazzetta del Santuario e altre vie, già brulicavano di gente che convergeva per la processione.
L’auto di Feliciello li incrociò, salutarono rallentando, mentre Rosanna, con i capelli ancora umidi e lucenti, si guardava intorno galvanizzata da quella folla che andava sistemandosi in una ordinata logica, come se ciascuno conoscesse il suo preciso posto, all’interno della processione un posto che magari era sempre stato il medesimo. Arrivati a palazzo Spada salutarono Feliciello. Rosanna andò a cambiarsi e Amedeo aspettò Rosanna fuori, in terrazza, seduto ad un tavolino tra gli ibiscus. Il sole molto basso sul mare arrossava i contorni e dalla strada, dall’altro lato del palazzo, le auto circolavano già molto lentamente, prevedendo ingorghi. Non aveva altro nella mente: quel bacio. Rosanna giunse con passo veloce al tavolo e Amedeo si alzò, “Andiamo? E’tardi, la processione è pronta a partire”.
Si avviarono, ma lungo il viale della limonia Rosanna disse: “hai dimenticato il bastone al tavolo, vado io a prenderlo.” “No, no vado io”; tornò appoggiandosi al bastone, “ero sovrappensiero, andiamo”. Raggiunsero la Piazzetta del Santuario dove la folla, come in un coro parlato, pregava. Tutte le luminarie accese avevano messo in movimento le scene e le decorazioni che al mattino apparivano ferme, ma adesso quelle stesse barche immobili sembravano saltare con audacia le onde, e i pesci guizzare tra coralli e gorghi.
Le migliaia di lampadine che si accendevano e si spegnevano appese alle luminarie di Via Maggio, descrivevano adesso cascatelle e rivoli tra cavallucci marini azzurri, rossi e conchiglie che scendevano lungo i pali blu.
La processione era già pronta a partire, e la voce di padre Saverio conduceva la preghiera da un megafono. “So che è inutile chiederti di venire con me a pesca di totani, ma io ti aspetto giù alla marina per l’imbarco della processione, magari parlo con Ernesto e poi passiamo insieme la serata.” “Questo non è possibile, io non posso mancare a questa processione, non sono mai mancata e non mancherò mai, è la mia processione, e il mio posto è qui, da sempre e per sempre; tu va a pesca, divertiti, questo mare è anche tuo, ti porta fortuna, e poi devi cercare ancora tanti tasselli per il tuo puzzle. Si, ci vediamo giù alla marina per l’imbarco, se non sei ancora partito.”
Rosanna salutò Amedeo ed entrò nella processione, e in quel momento, l’immagine della Vergine S.S. della Lobra, uscì dal santuario, quindi il terzo ordine francescano, ed il terzo ordine di S. Francesco di Paola.
Padre Leonardo, nei suoi abiti splendidi, cantava in un coro solenne condiviso da tutti. Il clero regolare seguiva, dopo si accodarono le associazioni e in ultimo il popolo, tutti muniti di ceri che avrebbero acceso solo quando la processione giungeva al porto per salire sulle barche.
Rosanna scomparve in quella lunga fila di persone che si incamminava risalendo Via Maggio, fino al convento dell’ordine di S. Francesco di Paola, per scale, scalette e vie della città. Poi, arrivava a Via Fontanella, e poi giù per la lunga scalinata di pietra che cominciava dietro al ristorante “La sosta del pescatore” fino alla marina e alla spiaggetta dove si sarebbe imbarcata sui navigli e imbarcazioni addobbati e inghirlandati di fiori, nastri e festoni. Amedeo provò una strana sensazione di abbandono, ma si avviò per la scala di pietra pensando che, fino a quando la processione non giungeva alla spiaggetta, avrebbe avuto il tempo di parlare con Ernesto e poi rivedere Rosanna.