Meg e sua figlia Sarah trascorrono la prima notte nella loro nuova casa. Il marito e padre le ha lasciate per un’altra donna, ma in compenso hanno avuto la possibilità di comprarsi una sontuosa palazzina ai confini di Central Park. Il precedente proprietario fece costruire un bunker, ossia una camera blindata inespugnabile, dove Meg e Sarah saranno costrette a rifugiarsi quando, nel cuore della notte, tre rapinatori faranno irruzione in casa.
David Fincher (regista di cult come “Gone Girl”, “Seven”, “Fight Club”, “Zodiac”) si conferma -ancora una volta- un maestro del thriller, capace di costruire trame intricate e ansiogene, mantenere suspense e non risultare mai banale o prevedibile. Perché, in effetti, il rischio che “Panic Room” potesse rivelarsi un film già visto c’era: quante pellicole sono state realizzate utilizzando come unica ambientazione una casa? Il senso di claustrofobia è immediato, la sensazione di sentirsi in trappola e di non avere nessuna chance di salvarsi è naturale. Un esempio potrebbe essere “Funny Games”, film diretto da Michael Hanek (di cui poi è stato realizzato anche un remake nel 2007), che presenta una sinossi simile: dei delinquenti entrano in casa e torturano una famiglia. Quello che per David Fincher riesce a creare in ogni suo film è una tensione controllata, intelligente, mai forzata: il regista non ha bisogno di ricorrere ad una violenza ingiustificata e disturbante per tenere lo spettatore attento e coinvolto dalla narrazione. “Panic Room” è girato con estrema perizia: Fincher si serve di una storia contorta e angosciante per mostrare l’immagine di una società egocentrica e diffidente, in cui una donna sola e abbandonata (questo non vuole dire che si debba provare pietà, anzi, Meg è l’emblema di una donna che combatte e che mostra una grande resistenza) deve tirare fuori tutta la sua forza per mettere in salvo se stessa e sua figlia.La sensazione che si avverte per tutto il film è soffocante, ma non solo per gli spazi angusti e l’atmosfera cupa: Fincher sa gestire la psicologia dei personaggi. Nel senso che riesce a mostrare ogni disturbo psichico senza dover mai eccedere o risultare poco credibile, o provando a suscitare paura per il solo bisogno sadico di spaventare: c’è uno studio più profondo e dettagliato nel voler mostrare le ossessioni e le nevrosi dei suoi personaggi. Esempi di questo calibro sono “Shining” o “Psyco”, in cui per quanto si possa provare un senso di smarrimento e anche di paura, si resta folgorati dall’abilità dei registi (rispettivamente Kubrick e Hitchcock) di riuscire a penetrare con il loro sguardo la complessità della mente umana, mostrandone ogni aspetto. “Panic Room” può essere definito allora un thriller sofisticato, in cui niente è lasciato al caso.
Mariantonietta Losanno