LA FESTA
Amedeo e Rosanna sbucarono in piazza del Vescovado vestita a festa, attraversando il vecchio cancello. Alla facciata dell’antica cattedrale era appesa una ragnatela di assi di legno che sostenevano un’intricata luminaria, che, anche se spenta, lasciava immaginare una splendida fontana con altissimi zampilli colorati e sicuramente con effetti luminosi realistici. Così i lunghi pali blu ai bordi della piazza e delle strade che da questa si dipartivano, sostenevano altre illuminazioni con lo stesso tema.
La gente che si muoveva nella piazza, sembrava avere due sole direzioni, la prima era quella di Via Vincenzo Maggio, che terminava più giù, proprio nella piazzetta della Madonna della Lobra antistante il santuario, la seconda andava dritta verso il bar di Feliciello. La gente che scendeva al santuario era fatta di turisti, di fedeli, famiglie con bambini e tante altre persone che, a ridosso dei palazzi, scendevano facendo attenzione a rimanere sullo stretto marciapiede. Le auto, già in fila lenta, anch’esse scendevano, avendo esaurito il parcheggio antistante al vescovado, ma queste scendevano tutte proseguendo per la marina, visto che la maggior parte dei passeggeri erano villeggianti.
I vigili si dividevano tra le auto che vagavano incerte sulla direzione da prendere e le auto che cercavano un parcheggio. Il risultato era una rumorosa folla che produceva una vista nel suo insieme allegra e variopinta. Il bar di Feliciello occupava, con grandi ombrelloni bianchi aperti sui tavoli verdi, il lato della piazza che dà sul panorama della marina di Massa, con il Vervece e il faro. Il grande scoglio del Vervece, su cui è posto il faro, appare come una barca inalberata, pietrificata da un incantesimo, e più a sinistra, ad appena sei miglia dalla piazzetta, Capri, che vista da lì appare come una sfinge o un anfiteatro aperto sul mare. La suggestione è forte e vengono subito in mente le parole di Edwin Cerio: “Capri, un quadro d’autore firmato da Dio”.
La limonaia del Palazzo Spada prosegue ordinata, dalla strada seguendo il limite del muretto, circondando il giardino e il palazzo, e, vista dai tavolini del bar, appare come un manto verde cupo con intrecci ordinati di piccoli segmenti grigi che in realtà sono travetti di legno a sostegno delle “pagliarelle”.
Il Palazzo Spada appariva scrostato e l’intonaco lungo tutto il piano terra mancava in più parti; i balconi, una volta pieni di fiori, ora erano arrugginiti e vuoti.
Rosanna notò l’attenzione con cui Amedeo osservava il palazzo, ma non disse nulla. Quando raggiunsero i primi tavolini del bar, fu difficile individuarne uno libero, i tavoli erano occupati, e gruppi di persone anche in piedi chiacchieravano con amici che invece erano seduti. Ognuno consumava granite al limone o caffè. Una siepe di ragazzi seduti su motorini chiudeva il lato che dava sul Vescovado. Il risultato era che la gente, essendo seduta, poco riusciva a vedere del resto della piazza, riducendo la visuale del panorama e non era poco. Appena entrati nello spazio dei tavolini, andò loro incontro Feliciello, che riconobbe Rosanna: “Signora Rosanna, buongiorno accomodatevi dentro, ci sta posto e ci sta l’aria condizionata… voi siete il professore Serra, io mi ricordo di voi, voi forse non vi ricordate di me, ma conoscevate bene la buonanima di mio padre”. Da ragazzo venivo a vedere la barca vostra perché era la più bella. Ma vi prego, accomodatevi, permesso, permesso, fate passare, grazie”, aprì la porta a vetri ed entrarono.
L’aria fresca li raggiunse come una folata di vento, l’effetto fu istantaneo; contemporaneamente i due emisero sonori sospiri mentre Feliciello chiedeva al barista, che lavorava dietro un grosso bancone di legno marrone e lucidissimo, due sorbetti alla fragola per il tavolo con separé in fondo al locale, che per Amedeo era una novità.
Nulla gli ricordava il vecchio bar; anche il bancone con la macchina per il caffè era diverso, solo una gran foto del padre di Feliciello posto in alto sopra l’arcata centrale, testimoniava che c’erano stati altri tempi, altre atmosfere, altre abitudini. Si sedettero sulle panche che circondavano il tavolo di legno del separé, Amedeo e Rosanna di fronte e Feliciello affianco ad Amedeo, sul lato che dava sul corridoio. Subito dopo arrivò il cameriere, e raggiante Feliciello offri la granita di fragole porgendola lui stesso. Tre ragazzi seduti in uno degli altri quattro separè erano gli altri avventori all’interno del locale. Amedeo, porgendo la sacca delle lenze a Feliciello, disse: “Queste sono le totanare che devi portare a bordo, le ha preparate Giovannino il meccanico di Sorrento, controlla che tutto sta a posto. Vedi che c’è anche un filaccione, quello bisogna prepararlo più in là, quando te lo dirà il signor Gaetano. Tieni un pò di esche?”- “Si, si di esche ne tengo quante ne volete, tengo ancora due nasse da tirare su. Le ho messe sotto agli scogli a Sammontano. Prima di partire le vado a prendere”.
“Io ti aspetto giù alla marina”- disse – “dillo al signor Gaetano”. Feliciello assentì col capo.
Rosanna aveva cominciato ad assaggiare la granita di fragole, e dal suo sguardo si capiva che era buona ed anche Amedeo cominciò a prenderne. Lei aveva poggiato la sua borsa da mare sulla panca, la aprì e ne tirò fuori il libro regalatole, ancora impacchettato. Feliciello disse: “E’ buona, è fatta con fragole di bosco, è riservata agli amici. E’ troppo dolce?”- “No” si affrettò a rispondere lui, “è giusta, profumatissima”. “Io ho una vostra foto insieme a mio padre, la volete vedere? La tengo là, dietro al banco, sopra la mensola”.
Amedeo non ebbe il tempo di dire niente che Feliciello già era dietro il bancone e prendeva alcune foto da un pannello incorniciato pieno di fotografie, poggiato su una mensola. Rosanna sorrise e disse: “La granita è veramente buona, lo perdoniamo ancora per cinque minuti”- “ ma non di più” disse Amedeo bevendo dalla gelida coppa gli ultimi sorsi di granita. Feliciello ritornò, sedette vicino ad Amedeo e gli mostrò due foto: la prima ritraeva Amedeo stesso e il padre sulla porta del bar, la seconda un gruppo di giovani tra cui suo padre, Amedeo, Rosanna e altri di cui ricordava solo qualcuno.
“Ricordo bene tuo padre … e anche l’occasione di queste foto; abbiamo festeggiato qui il mio compleanno”. Rosanna le prese e le guardò in silenzio. Lui aggiunse: “Lo sai che avevamo messo un soprannome a tuo padre, lo chiamavamo Gesualdo, per i suoi baffoni ottocenteschi; avevamo immaginato così il personaggio del romanzo di Verga… “Mastro don Gesualdo,” tuo padre era molto generoso e simpatico con noi, ne conservo un bel ricordo”. “Anch’io”- aggiunse Rosanna- “era così gentile, è venuto a casa tante volte, e ha curato tutte le feste che si facevano da noi durante l’estate. E’ vero, era molto simpatico. Conservatele queste foto, magari in un album, così esposte si rovinano col tempo”. “Avete ragione, le devo conservare meglio”.
La porta si aprì e due persone si avvicinarono al banco. “Scusate”- disse Feliciello alzandosi e prendendo le foto, “ci vediamo stasera giù alla marina, ora devo uscire, arrivederci”. Strinse loro la mano e uscì con quei due che erano appena entrati.
“Non l’hai ancora aperto?”- disse Amedeo. Rosanna prese il libro dal tavolo: “ voglio farlo con calma, senza fretta; non ricevo un libro in regalo da anni e mi sto divertendo a immaginare che cos’è. Forse un romanzo, oppure poesie, un libro d’arte, un libro che parla dei sogni. Vedi fino a quando non lo apro, può essere ogni cosa, una volta aperto dovrò immaginarne solo una. Per questo lo terrò così ancora un pò, ci sarà un momento in cui non mi basterà più toccarlo, odorarlo, fissarlo, soppesarlo, e allora aprirò il pacchetto e leggerò il titolo e il nome dell’autore, ma fino a quel momento, qui dentro ci stanno tutti i libri che non ho ancora letto e i nomi di tutti gli autori che li hanno scritti. Tu pensi a questo punto che è meglio un libro letto o un libro da leggere? Rispondi senza ridere”.
Sul volto di Rosanna erano passate espressioni ed emozioni diverse. Aveva raccontato questi suoi pensieri con gli occhi, con la fronte, con le labbra, con le mani che continuavano a stringere il libro. “No, non rido anzi, mi sembra piuttosto difficile risponderti. Però, se ci penso bene, un libro da leggere è come un libro da scrivere, un libro letto è come un libro finito di scrivere. Voglio dire che la certezza che ho è quella che ogni volta che termino un racconto è come se avessi lanciato semi che già fanno crescere idee per altri racconti, così finisci per pensare al prossimo libro da scrivere dimenticando quello già scritto. Penso così anche per un libro letto, che, appena finito, già invita a leggere il successivo”. “Sono anni che non leggo libri, vuoi dire quindi che ne ho anche persa la voglia. Mi contento quindi di fantasticare sopra perché avrei paura di rimanere delusa dopo averlo letto. A volte si leggono libri pessimi sai, è molto difficile sentirsi invogliati a leggerne altri, si diventa scettici, e scopri piano piano che leggere qualche rivista è già soddisfacente”.
Quale interpretazione Amedeo doveva dare alle sue parole, gli stava forse metaforicamente parlando della sua vita, dove i libri da non leggere più avevano il volto di Gaetano, e le riviste poi? Chi erano? Erano messaggi diretti a lui, oppure non erano neppure messaggi, ma chiare opinioni sulla lettura di libri? Possibile che Rosanna avesse voluto solo chiarire a se stessa la sua attuale posizione con la vita? Oppure neanche per se stessa quelle parole avevano un senso nascosto, ma piuttosto erano segnali che il suo inconscio lanciava all’esterno mascherati da metafore? Cominciava a vacillare. La sua insicurezza gli faceva desiderare di stare in un altro luogo, lontano da quel bar, magari fuori, al sole, dove la luce accecante, il caldo di quelle giornate, regalava infiniti alibi come quelli trovati poco prima nella limonaia.
Aveva diritto di entrare nel suo privato dopo quelle parole, oppure doveva continuare a tener in piedi il paravento dietro cui lei voleva stare?
Il fresco del bar sembrò aumentare d’intensità ed estrasse dal taschino della camicia le sigarette, ne offrì a Rosanna che ne prese una. Amedeo accese la sigaretta lentamente e disse: “Chi è Ornella?”
Rosanna aspirò il fumo della sigaretta, guardò nel vuoto, poi rivolse la sua attenzione al piano del tavolo da dove pulì immaginari residui di cenere.
“Un’amica di Gaetano, credo che voglia conoscere Procida e i luoghi dove La Martine ambientò la storia del suo romanzo “Graziella”. Credo stia preparando la tesi di laurea all’università a Milano. O vuoi sapere se è l’amante di Gaetano? Se è questo, non so che dirti, e neanche m’interessa. Forse “la rossa” interessa te, se è così, non posso aiutarti perchè credo che domani sera parta per le sue vacanze in Sicilia, questo è quello che so, punto”.
“No” -rispose -“ Ornella non m’interessa. E’ molto bella, l’ho guardata bene; ieri Gaetano invece non nascondeva il suo interesse per lei. Ma vedo che non ti turba tutto questo, posso chiederti perché? O sono troppo indiscreto?”- “Tu mi sei molto caro, Amedeo”- disse Rosanna- poggiando la sigaretta sul posacenere di vetro su cui spiccava in rosso la scritta “Martini”. Non temere di essere, come dici tu, indiscreto, posso parlare della mia vita con te senza nessun problema; hai conservato intatto il tuo stile, la tua discrezione, ma per quello che riguarda la mia vita, discrezione è una parola che non ha più senso. Non ha più senso se Gaetano mi tradisce con un’ Ornella di turno, portandola qui a casa mia, alla mia festa, poi partendo per Procida insieme con lei. Non ha senso se Ornella è solo l’ultima di una lunga fila di giocattoli con i quali intende ancora giocare. Perchè dovrebbe turbarmi la tua domanda se Gaetano è forse la sola persona che conosco e che riesce a vivere l’indifferenza con interesse?” Rosanna aveva risposto alla domanda con uno strano sorriso, che a mano a mano appariva grottesco. Nella mente di Amedeo quelle sue parole, dette in quell’atmosfera che sentiva ancora più fredda, gli sembravano ironiche e forse dolorose; ma la conclusione gli sembrò quasi di ammirazione verso Gaetano, che, nonostante tutto, continuava ad affascinarla. “L’indifferenza verso te?”. Lo disse spegnendo la sigaretta nel posacenere. “No, verso se stesso” rispose Rosanna. Gaetano ha avuto tutto dalla vita e sistematicamente la vita gli ha tolto ogni cosa. Tu sai che è stato sposato e divorziato, e quando ha conosciuto me, aveva un figlio di quindici anni, Manuel, che viveva a Milano con la madre. Gaetano, in pratica, non diede tempo a nessuno, neanche ai miei genitori, di rendersi conto di quello che stava succedendo; lo sposai poco tempo dopo. Un uomo bello, ricco, intelligente. Sono andata a vivere a Milano nonostante sapessi che avrei spezzato il cuore ai miei. Ero innamorata di lui, credo, la sua energia mi aveva travolto. Tutto quello che per me era stata la vita fino a quel momento a paragone con quella che sognavo con lui, e che in realtà ho vissuto per circa un anno, non significava nulla; c’era un prima e un dopo, Gaetano era la svolta, era la porta aperta della mia prigione”.
Una cappa di ghiaccio copriva Amedeo, il suo cuore pulsava disordinatamente, il cervello smarrito nella nebbia dello choc, la gamba aveva cominciato a pulsare dolorosamente. Queste erano alcune delle sensazioni che Amedeo provava quando Rosanna s’interruppe dicendo: “ prendiamo un caffè?” Lui alzò la mano aprendo l’indice e il medio al barman, che capì subito il segnale e con un colpo di manovella fece uscire un rumoroso sbuffo di vapore dalla macchina del caffè. I camerieri continuavano a entrare facendo ad alta voce le ordinazioni per i tavolini all’ombra, fuori nella piazza, altri uscivano con vassoi colmi di bevande.
Dove era finito il suo amore per Rosanna, i baci appassionati, gli incantamenti. L’aveva amata Gaetano l’aveva strappata a lui in poche ore. Rosanna aveva fatto del loro amore un ricordo. Si era lasciata affascinare da Gaetano subito.
La sofferenza di quei giorni penetrò nella sua mente come un cuneo entra in un tronco spinto da un martello. Era stata un’esperienza tragica nella quale aveva tentato di salvarsi rifugiandosi dietro l’orgoglio offeso. Per molti giorni aveva atteso un segno di pentimento da parte di Rosanna, ma non era mai arrivato. Aveva avuto il sostegno degli amici che avevano condiviso con lui l’attesa di un rinsavimento e quindi un ritorno del colpevole con l’eventuale perdono. Nulla di tutto questo era avvenuto: Rosanna aveva sposato troppo presto Gaetano e, forse, abbagliata dagli eventi e dal suo fascino, non aveva più avuto possibilità di tornare sui suoi passi.
Amedeo aveva concluso così questa storia d’amore, chiudendola e soffocandola in una cassaforte blindata, da cui non avrebbe più voluto che uscisse. Il caffè arrivò subito e Rosanna, dopo averlo lentamente zuccherato, continuò: “ho vissuto un anno straordinario con Gaetano, non saprei immaginare nulla di più perfetto, ma poi la sua ex moglie è partita, dovendo seguire il suo compagno, e Manuel suo figlio, venne a vivere con noi. Cambiò tutto, il ragazzo già faceva uso di stupefacenti, ed io non l’avevo mai saputo. Il suo calvario divenne il mio, perchè Gaetano era impegnato con la sua azienda. All’inizio amavo quel ragazzo così fragile e lo aiutai come potevo, ma il lavoro di Gaetano cominciò ad andare male e non ci fu più solo il problema di Manuel, ma anche quello di Gaetano e dell’economia della casa. Manuel continuava a drogarsi ed io a sostenerlo, Gaetano sempre più assente, beveva molto. L’azienda fallì, e noi ci trovammo dopo sei anni dal matrimonio a dover vivere con le rendite della limonaia e pagare i debiti dell’azienda.
Manuel è morto insieme con un suo amico tornando da una discoteca quattro anni fa. Gaetano continua a bere e a vivere con le mie risorse. Adesso vorrebbe che io vendessi la limonaia e il palazzo, per rimettersi su”. Rosanna accese un’altra sigaretta tentando di placare la sua angoscia con una profonda boccata di fumo, poi lo soffiò via lentamente e fissando il libro stretto tra le mani, disse: “Se vendessi la limonaia, non salverei Gaetano, e ucciderei me. La mia indifferenza non è interessante.”
Amedeo rimase muto. Le parole non arrivavano a tradurre i suoi pensieri perchè i pensieri non arrivavano alla mente. Un vuoto stabile s’impadronì dei suoi sensi. Rosanna parve non accorgersene perché continuò dicendo: “Sono già due anni che mi vedo con l’ex socio di Gaetano; non è un gran segreto che ti svelo, anche Gaetano sa, vado avanti, però, fino a quando non m’innamorerò un’altra volta di Gaetano. Capita spesso che una vittima ami, il suo carnefice”. Allungò la mano e prese quella di Amedeo che a quel contatto inaspettato uscì dal suo stato catatonico, con un respiro repentino che gli arrivò gelido, in fondo ai polmoni.
“Grazie per avermi ascoltato, non ti ho nemmeno dato il tempo di farmi le domande. Grazie, avevo bisogno di parlarne, forse ho insistito per farti venire qua a Massa proprio per questo. Da quando i miei mi hanno lasciato, non ho più parlato con nessuno, ma, bada, non è uno sfogo, ma tu sei veramente come un fratello per me, il mio più caro amico, ti ho sempre pensato così in tutti questi anni, in qualche modo mi sei stato di conforto”.
Amedeo dovette sorridere e lasciarsi stringere la mano; furono pochi attimi ma gli sembravano lunghissimi. Tutti quegli anni, tormentati dal ricordo della voce suadente di Rosanna, dai suoi occhi profondi e intensi, dalla passione della sua bocca sottile e delicata, i suoi capelli nerissimi e lucenti e della sua figura guizzante, scopriva adesso che era stato amato come un fratello, da cui si chiede protezione, conforto, non passione e non amore.
Avrebbe voluto gridare di dolore, avrebbe voluto spiegare il suo sgomento. L’abisso buio in cui era precipitato spinto dalle parole di Rosanna, era vasto, senza speranza. Adesso scopriva che non aveva contato nulla per lei, era stato solo un caro amico.
Non era riuscito, dopo Rosanna, ad amare nessun’altra donna. Aveva soffocato il suo dolore insieme con quello che gli sembrò un tradimento, aveva voluto dimenticare con tutte le sue forze quell’incantesimo nel quale aveva vissuto amandola. Dopo non aveva avuto più la voglia di amare, aveva estirpato dall’ anima la capacità di dare amore a un’altra.
Aveva soffocato l’ansia di dare, deviando accuratamente l’istinto di avere. I vuoti li aveva riempiti d’altro. Il suo lavoro, l’università, i suoi libri, i suoi viaggi. Poi è arrivato quel dolore alla gamba, quel continuo, sottile e tormentoso spasmo. Gli occupava la mente lasciandolo prostrato a lungo. Ma era un dolore che non proveniva dalla gamba, piuttosto dalla sua mente, che, disperata, senz’altre vie di fuga, ne aveva creata una tutta sua, nella quale scaricare quei piccoli orrendi mostri che lentamente la erodevano.
Ebbe la forza di sorridere, gli venne meno il coraggio di parlare, di dire tutto quello che aveva nel cuore e nella mente; non si era sentito di deludere Rosanna, e poi, per lei, quello che avrebbe voluto dire, non aveva senso. Aveva vissuto convinto che la sua era stata una sofferta storia d’amore. Rosanna invece non se ne era proprio accorta.
“Ho parlato sempre io, e ti ho annoiato certamente. Ma adesso voglio sapere tutto di te, della vita che fai, i tuoi successi editoriali”. Amedeo rispose ritirando la mano dalle sue, prendendo il bastone che era rimasto poggiato al tavolo, con una sorta d’imbarazzo: “Sì, certo, ma non qui, usciamo, devo incontrare una persona, giù al santuario”.
IL SANTUARIO
Uscirono nel bagliore della mattina di mezz’Agosto, la cui luminosità era moltiplicata per gli infiniti specchi posti tra le increspature della superficie del mare, obbligò Rosanna e Amedeo a rimettere gli occhiali da sole; e chi dei molti passanti nella piazza non aveva lenti scure, stringeva le palpebre fino a farle diventare due sottili fessure.
C’erano poi quelli che con il palmo della mano distesa, appoggiata con l’indice alla fronte, come fosse un saluto militare, cercavano di scampare al riverbero. Superarono i tavoli all’ombra, qualcuno accennava un saluto col capo al loro passaggio cui rispondevano con sorrisi pur senza riconoscerli. Svoltarono per Via Vincenzo Maggio e si avviarono giù per il santuario, seguendo quelli che facevano il loro percorso ed evitando altri che, invece, venivano in senso contrario, avendo forse già concluso per il momento la loro partecipazione ai riti religiosi. Rosanna precedeva di un passo Amedeo e il suo profumo, che nella frescura del bar stentava a propagarsi, adesso liberava afrori muschiosi e lievi nell’aria calda, creando una sottile scia che Amedeo respirava voluttuosamente malgrado la bocca e l’anima fossero ancora amare.
I villeggianti ormai avevano raggiunto la marina da tempo. Giunsero nella piazzetta del santuario percorrendo un tunnel di onde sospese in alto sulle loro teste. Luminarie di effetto se viste di sera, con il loro rapido spegnersi e riaccendersi in sequenza creavano un apparente movimento che terminava in vortici o gorghi rossi, blu e gialli. Tutta la piazza “apparata” con motivi marini, ben leggibili anche di giorno, mostrava barche sollevate da onde maestose, cavallucci marini e meduse, coralli e decorazioni astratte.
Il campanile e la facciata della basilica, bianca con cornici e decorazioni grigie, facevano da sfondo ad un paesaggio sottomarino che riprendeva i temi delle altre luminarie, in più aggiungeva conchiglie, pesci e sirene appoggiate su scogli tra onde vorticose. Sul tetto della basilica, da tre stelle concentriche partivano due gran pavese, che si allungavano per i due lati della piazza come si usa fare sulle navi quando si vuole significare una festa o una ricorrenza, con un gran numero di bandiere, fiamme e stendardi. Al centro della piazza, pendeva un grosso stendardo raffigurante la Vergine, innalzato tra due lunghi pali. Questo è il culmine della novena, ma già nove giorni prima del quattordici, l’apparato dell’ordine dei frati minimi di San Francesco inizia i festeggiamenti delle funzioni.
Una folla era distribuita in tutta la piazza, i Massesi si distinguevano dai turisti e dai villeggianti perché indossavano giacca e cravatta, le donne invece con veli sul capo. La messa era appena finita e tutta la gente era ferma nella piazza. I vigili in divisa bianca con relativo berretto fregiato, disposti in riga davanti all’ingresso del santuario. Uno strano momento sospeso, inaspettato, si presentò alla loro vista. Rosanna spostò la borsa dalla spalla alla mano, tenendola appesa quasi a toccare il suolo, si fermarono senza capire cosa succedesse. Gli unici, a muoversi veloci tra la gente, erano le frotte di bambini che si agitavano come folletti tra le persone e tra i molti banchi di torrone e altre infinite leccornie che profumavano di festa l’aria densa dell’estate. La banda esplose con tromboni e grancassa al segnale del maestro in divisa nera. Il caldo non aveva minimamente disperso l’energia di quei musicanti. Attaccarono un noto pezzo bandistico che tutti ricordavano da sempre ma che nessuno era in grado di ricordare come s’ intitolava; era il saluto, molto mosso e allegro che il cerimoniale previsto dagli organizzatori della festa dava alla gente all’uscita della messa principale di quella giornata.
La gente era attenta, in attesa dell’inizio; quindi Rosanna e Amedeo, dal loro punto di vista non videro la banda allineata. Rimasero scossi da quell’inaspettato roboante saluto. Rosanna, trovando una posizione da cui riusciva a vedere la banda schierata davanti al convento, che era la continuazione dell’antico fabbricato, esclamò: “hai capito il saluto? Appena ci hanno visto è partita la banda… sorridi, dopo salutiamo”. La musica andò avanti per qualche minuto, ma la folla già risaliva su per via Maggio.
I vigili deviavano le auto che strombazzavano impedite dalla gente, che, pur di uscire dalla calca, attraversava la strada più volte a zig zag.
Amedeo conquistò un posto all’ombra di una tenda bianca e blu di un ricchissimo banco di torroni. Fece segno a Rosanna di avvicinarsi, così da lasciar passare la gente e aspettare qualche minuto. Il banco era completamente coperto da piramidi di torrone con le mandorle o con nocciole a pezzi anche molto grandi che venivano tagliate con un coltellaccio. Sacchi di nocciole, mandorle e arachidi, torreggiavano da un lato, dall’altro un grosso pentolone di rame stagnato girava continuamente per mezzo di un ingranaggio, sul fuoco di un bruciatore a gas. Dentro il pentolone mandorle, zucchero e miele giravano senza attaccarsi mai sul fondo, fino a quando il “torronaro” decideva che le mandorle erano tostate a puntino e ben amalgamate col resto e, tra densi e dolciastri profumi, versava l’impasto su di una lastra di marmo. Con delle spatole ne ricavava pezzi più o meno grossi, che, raffreddandosi, diventavano colore d’ambra, o un po’ più scuri.
Chiese di comprarne un po’. L’uomo dei torroni, con un gran grembiule bianco che gli partiva dall’altezza dello sterno coprendo fin quasi sulle scarpe il suo grosso corpo, con un sorriso consegnò ad Amedeo un sacchetto che, senza neppure aspettare la richiesta, aveva riempito di torrone di varie specie, corone di nocciole e mandorle caramellate. Pagò e salutò quel faccione rubizzo e sudato che sorrideva continuamente, pensando che sarebbe stato meglio chiedere dettagliatamente quanti e quali torroni voleva acquistare.
Attraversarono la piazza e si avvicinarono alla Chiesa: “Devi forse parlare con padre Leonardo, il priore del convento? Io ci sto in ottimi rapporti” disse Rosanna. “No, non è lui che cerco. Io dovrei parlare con Ernesto Faraone, il cantante cieco che è venuto ieri sera a casa tua. Credo che viva qui, mi ha detto che sta in una stanza dietro il convento e di chiamare padre Saverio per poterlo trovare”. “Padre Saverio non so chi sia, forse è un monaco nuovo, qua ce ne sono più di 50, ma se cerchi Ernesto dovrebbe stare là in fondo, al primo piano, dove sta quel balconcino. So che vive qui da sempre, possiamo bussare al portoncino più avanti”. Seguirono la facciata della basilica. Il convento adiacente alla Chiesa non aveva un aspetto austero, bianco con cornici grigie, somigliava nella facciata a qualsiasi palazzotto cinquecentesco. Undici finestre in fila di quattro sui due livelli superiori e, al piano terra, dopo l’ingresso, che è aggettante un paio di metri rispetto alla facciata, le altre quattro, provviste di grate.
La casa di Ernesto era subito dopo il convento, ed era come l’ingresso: un volume spostato in avanti, sulla cui facciata c’era un portoncino di legno e al primo piano un balconcino chiuso. Arrivarono al portoncino spostando uno striscione sul quale stava scritto con caratteri dorati su fondo azzurro: “Seguendola non ti puoi smarrire”. Era uno striscione appoggiato al muro che doveva essere di completamento all’immagine della Madonna della Lobra che, dallo stendardo tirato su al centro della piazza, proteggeva i fedeli.
Bussò il campanello della porta sotto cui c’erano stampigliate le lettere P. Sav.. Non rispose nessuno. Rosanna spinse ancora il pulsante del campanello per più tempo. Nessuno aprì o si affacciò. Un autobus era parcheggiato dietro la casa, sul fianco si leggeva “Complesso bandistico città di Pescara”. I suonatori riponevano nel bagagliaio gli strumenti ingombranti, mentre i pifferi, le trombe e altri strumenti di piccole dimensioni li tenevano in mano già mezzo smontati, cercando di pulirli con salviettine che servivano contemporaneamente a detergere il sudore. Il gruppo aveva già perduto l’austerità della divisa nera, poiché ognuno, libero dall’impegno, s’era tolto cravatta e giacca e, in attesa di raggiungere un ristorante, cercava frescura all’ombra dell’autobus o tra i radi cespugli di oleandro che, pieni di fiori rossi e bianchi richiamavano con il loro intenso profumo miriadi di insetti. “Non ci resta che chiamare padre Saverio” disse Amedeo ritornando verso la chiesa. Entrarono nella basilica e si trovarono nel fresco della navata centrale, la quale, attraverso le quattro arcate di ciascuna navata laterale, riceveva una luce molto soffusa, morbida, che smorzava i toni acuti della festa, e accentuava la suggestione dei chiaroscuri che si rincorrevano sulle cornici dorate dei quadri raffiguranti Sant’Antonio col bambino che gli porge un giglio tra gli angeli, e l’ultimo, San Francesco D’Assisi, mentre consegna la regola a Santa Chiara. Sull’altare maggiore, un monaco di piccola statura, spense le ultime luci, lasciando solo quella dell’altare. Il soffitto a cassettoni ottagonali ritornò nel colore cupo della penombra.
Rosanna e Amedeo s’incamminarono nel corridoio centrale. Il piccolo monaco li vide e andò loro incontro, mentre veloce s’ inginocchiava, prima di dare le spalle al tempietto sovrastante l’altare in marmi policromi su cui era affrescata la Madonna della Lobra appartenente alla Chiesa antica. Il monaco spostò uno scranno che probabilmente non era allineato, questo produsse un orribile stridio che rimbombò per le navate vuote.
“La processione comincia alle 19:00 e parte da fuori la piazza”. “Grazie dell’informazione”, disse Amedeo- “ma eravamo venuti per parlare con padre Saverio, ci può annunciare per favore?” – “Padre Saverio è in riunione con padre Leonardo e le delegazioni, non so se …….” – “Senta, padre, gli dica solo che è arrivata la signora Rosanna Spada e il professore Amedeo Serra; lo impegneremo solo qualche minuto, va bene?” – “Seguitemi, da questa parte”.
Attraversò in diagonale la navata e aprì una porticina, attese che loro lo raggiungessero e disse: “Accomodatevi qui, io torno subito”. Uscì dal lato opposto del locale, lasciandoli in un atrio chiuso, illuminato da una luce rosata che veniva dal chiostro del convento adiacente, luce che accarezzava un affresco sul soffitto raffigurante San Francesco che predica ai pesci. Il Santo in primo piano, davanti ad una folla di persone, si sporge sulla riva del mare e parla ai pesci, i quali, attenti a recepire il messaggio, stanno tutti con la testa ed il corpo fuori dall’acqua.
Rosanna si sedette su uno scranno di legno scurissimo, poggiando la sua borsa per terra, incrociò le braccia e, con il viso rivolto al soffitto, disse piano: “Questo è il miracolo di Rimini, è della metà del ‘700, ci sono venuta infinite volte, questa è la prima volta che mi fermo a guardarlo”. “È un affresco di Cangiano” disse Amedeo leggendo di lato all’opera, “mai visto, non ero mai venuto. Però, questo affresco, a guardarlo bene, mi ricorda i pittori naif, quella della scuola di Hlebine a Zagabria. Ce ne sono alcuni che dipingono pesci tra fiori e prati, o tra nuvole e uccelli, ma non hanno l’attenzione e l’intelligenza di questi, bravo Cangiano! Il primo naif d’Europa”. – “E tu”, riprese Rosanna- “con quel sacchetto pieno di torrone, quale tipo di pesce credi di apparire in questo mare caotico della festa?” – “Io sono certamente uno di quelli fuor d’acqua, e mi piacerebbe ascoltare adesso qualcuno predicare, almeno così non penserei; voglio dire che questa atmosfera invita alla leggerezza dell’essere e non alla fatica dell’apparire”.
La porta si aprì alle loro spalle e un monaco alto, forse quarantenne, snello e molto bruno di pelle, entrò:” Io sono padre Saverio, molto lieto di ricevervi, ancor di più oggi, in questa santa festa della Madonna. Vi aspettavo, voi siete la signora Spada, molto onorato” -allungò la mano a Rosanna, la quale la prese e accennò un inchino sorridendo. “Io sono Amedeo Serra” – tese la mano stringendogliela, di risposta ricevette un’altrettanto energica stretta affettuosa dal padre che, a guardarlo bene adesso da vicino, mostrava la sua origine latino-americana.
“Professore Serra, quale onore! So perché siete venuto, voi cercate Ernesto, ma purtroppo sono venuti quelli della confraternita di Sant’Antonio, sapete, ogni anno nel giorno della Madonna preparano il pranzo per i poveri della città. Ernesto è un pò, l’organizzatore e l’animatore di questo momento di carità, quindi l’hanno portato con loro. Mi ha lasciato però un’imbasciata per voi: ha detto di cercare alle 19:30 Jennarone giù alla marina, lui vi aspetta là”. “Grazie dell’informazione avevamo anche provato a bussare a quella che credo sia la sua abitazione, mi dispiace avervi disturbato”. “Ma per carità, non lo dite. È vero, Ernesto abita in una stanzetta nella torretta qui fuori, è nostro ospite da non so quanto tempo; io sono solo otto anni che sto qui al convento di Massa, Ernesto è un pò, il nostro beniamino, gli vogliamo molto bene, amiamo la sua bella voce e la sua saggezza, che talvolta stupisce per la sua profondità. Nostro Signore ha donato la luce della mente e la voce del cuore a questo figlio sfortunato. Noi qui in convento ci riteniamo fortunati ad averlo come compagno di preghiera; adesso però seguitemi, non vi posso lasciar andar via, padre Leonardo, il priore, vi aspetta” – “Veramente eravamo diretti alla marina, ma è una gioia salutarlo, veniamo volentieri”, disse Rosanna. Amedeo uscì nel chiostro seguendo padre Saverio e Rosanna. Le arcate del chiostro si susseguivano fresche d’ombra e silenziose; solo il cortile era assolato e verde di piante, che circondava la cisterna d’acqua posta al centro. Padre Saverio si fermò un attimo indicando un gruppo d’alberi con foglie enormi che già avevano riconosciuto, erano banani. “Vedete quegli alberi? Sono banani; anche al mio paese ce ne sono in quantità, credo che questo sia l’unico posto d’Italia in cui queste piante portano a maturazione i loro frutti … Miracoloso no?” E proseguì contento.
“Adesso entriamo nella saletta delle riunioni, oggi si decide quale sarà la paranza che porterà la Madonna in processione sull’acqua del mare”. Questa frase padre Saverio la disse con la mano sulla maniglia di una grossa porta, dietro cui si sentivano voci animate. La frase fu detta specificando la qualità dell’acqua, questo diede molta consistenza alla figura snella di padre Saverio agli occhi dei suoi accompagnatori ai quali piacque questa specificazione così desueta.
La porta si aprì su una piccola sala piena di sole che si rifletteva sul tavolo coperto da una lastra di vetro posta al centro, intorno al quale erano sedute varie persone, altre in piedi. “Pace e prosperità a questi miei fratelli che da tanto non vedo” – disse padre Leonardo che si alzò dalla sua sedia posta a capo del tavolo, alzando le mani al cielo e scostandosi di lato. Rosanna entrò subito andando ad abbracciare il priore mentre padre Saverio invitava Amedeo a entrare trattenendo la grossa porta dall’esterno. Qualcuna delle persone sedute si alzò spostandosi con quelli che erano in piedi verso la finestra aperta. Rosanna, dopo l’abbraccio, si voltò verso Amedeo e lo presentò: “Amedeo Serra, un mio caro amico.” – “Molto lieto” – disse accennando un inchino verso il priore, che gli afferrò le spalle ed esclamò: “Amedeo Serra, è un grande onore avervi oggi con noi insieme a Rosanna, figlia di uno dei grandi benefattori del nostro convento. Sedetevi con noi, forse già conoscete gli amici presenti; padre Saverio portate altre sedie”.
Rosanna e Amedeo strinsero la mano a tutti. Alcune delle signore l’abbracciarono mentre Amedeo riconobbe la maggior parte degli uomini presenti: erano i pescatori di Massa, persone vissute tutta la vita su barche a tirare su reti, a navigare su pescherecci, paranze. Qualcuno di loro poggiava i piedi a terra solo d’estate, per gestire piccole porzioni di mare per l’ancoraggio e la manutenzione di imbarcazioni dei villeggianti. Magre vite passate sull’acqua di mare, come diceva padre Saverio.
Mentre salutava anche le signore, ricordò di avere lasciato il sacchetto dei torroni accanto alla panca nell’atrio, sotto l’affresco del miracolo dei pesci, e, contento di essersene liberato, strinse ancora più calorosamente la mano di una attempata signora avvolta in un grande scialle di merletto nero, che le copriva anche le braccia nude che uscivano da un vestito rosso senza maniche. Piano si accomodarono al tavolo, chi sulla sedia che occupava prima, chi sulle sedie che padre Saverio aveva portato, il quale dopo andò alla finestra e ne chiuse le persiane di legno, donando alla stanza un’ombra da molto attesa. Appena ci fu attenzione padre Leonardo disse: “queste gentili signore sono le presidentesse delle varie associazioni che accompagnano tutto l’anno l’attività liturgica del santuario; oggi sono qui riunite, come gli altri anni, insieme ai pescatori e proprietari massesi, per decidere quale paranza quest’anno porterà la Madonna e quale ordine seguiranno nella processione. Dateci una mano pure voi”, rivolto a Rosanna e Amedeo, “perché qua le paranze sono state “apparate” come mai prima, una più bella dell’altra”. Allora, guardando l’elenco di nomi di paranza che aveva davanti: “Tocca a don Ciccio Persico: come è apparecchiata la ” Costanza P.” don Ciccio?” Un vecchietto secco con un chiodo, con un’aureola di capelli bianchissimi e la pelle arsa dal sole e dalla salsedine, uscì dal gruppo di quelli rimasti in piedi e con un passo si fece avanti. Le signore al tavolo che erano di spalle fecero strane contorsioni per girarsi e seguire quello che disse Don Ciccio quasi declamando: “reverendissimo padre superiore, questa giornata non può finire senza che la Madonna Maria Santissima miracolosa, protettrice dei marinai, pescatori, gente di mare e le famiglie della città di Massa, non sale sulla mia “Costanza P”. Sono tre giorni che i miei figli, i marinai e io stesso mettiamo le ghirlande di fiori, il gran pavese… l’abbiamo pitturata da capo poco tempo fa, è la paranza bianca con la coperta blu. Abbiamo messo a prora una campana grossa così. Il signor Rafele Di Somma- che ha parlato prima di me e che ha vinto l’anno passato con il “Santa Maria di Puolo”- tengo a dirvi- tiene la barca un metro più corta della mia, e quindi non è giusto che vince un’altra volta”. “Con tutto il rispetto padre guardiano, ma il “Costanza P” è tre volte più veloce e poi, è apparecchiato meglio, ho messo due alberi per mantenere il gran pavese”
“E tu caro Ciccillo, non tieni parapetto, il padre superiore può andare a finire a mare. Con tutto il rispetto”. Disse Don Rafaele Di Somma a voce alta.
“Calma, calma ” intervenne padre Saverio “ci stanno ancora due paranze da sentire. Tocca al padrone del: “Rosa mia” -disse, – “don Salvatore Falanga, prego”. Un uomo sulla quarantina, di aspetto forte e aperto, con capelli biondi scoloriti dal sole, avanzò. La sua camicia bianca era appiccicata alla schiena sudata. Si schiarì la voce e come gli altri declamò le qualità del suo gozzo. In conclusione aggiunse: “io mi sento già emozionato perché è la prima volta che presento il mio gozzo. Io sto qui a Massa solo da due anni, ho sposato Rosa Di Somma, la figlia di Rafele, io sono di Sorrento e ho fatto il cameriere a bordo, sui traghetti della Sardegna, ma prima, da ragazzo, stavo con mio padre al cantiere di Luigi Mollo, a Marina grande a Sorrento. È da quel cantiere che è uscito “il duca degli Abruzzi”, ve lo ricordate? Il gozzo più bello che don Luigino si è fidato di disegnare e di fare. Qua i vecchi se lo ricordano tutti e sono sicuro che ve lo ricordate anche voi, visto che è stato preferito spesso per portare la Madonna in processione a mare. “Rosa mia”, il mio gozzo, è lungo quasi otto metri, proprio come il duca degli Abruzzi, ed è anche verniciato bianco e poi è stato costruito da mio padre nello stesso cantiere. È bello assai, padre Leonardo, ce ne vogliono dieci dei loro per fare il “Rosa mia”, indicando gli altri proprietari. Questo gesto scatenò il vecchietto di prima che disse forte: “padre superiore, il duca degli Abruzzi era un gozzo superbo, raffinato, vinse il secondo posto nella regata del Tevere nel ‘38 – ‘39 del partito fascista, vinse il palio del Golfo del 1952, ma si può sapere”- rivolto a Salvatore- “il “Rosa mia” che ha vinto? Qua l’unica cosa che ha vinto, è Rosetta, la figlia di Raffaele, e adesso vi siete messi d’accordo, così o l’una o l’altra deve vincere, tanto resta in famiglia. Qua, la Madonna quest’anno la porto io e se si tratta del parapetto, per stasera ci mettiamo pure quello”.
“Ciccillo, Ciccillo, via non mi sembra il caso di prendersela tanto”, disse padre Leonardo nascondendo un divertimento a cui nessuno voleva rinunciare. “Dopo tutto non ci sta solamente il “Rosa mia”, la vostra e quella di Raffaele. Qui ci stanno altre belle paranze che sono già state presentate prima, e non mi sembrano peggiori delle vostre, calmatevi. È rimasto solo Aniello Piombino proprietario de “La mia barca”, sentiamo”. “Padre Leonardo”, s’ intromise ancora il vecchietto pelato e segaligno. “Don Aniello Chiummino é compare di matrimonio di Taturiello, Salvatore Falanga, questi la Madonna non la mollano, e vi vogliono impapocchiare di chiacchiere”. Don Aniello, “rivolto al Falanga, “avete preparato la poesia?” Aniello Piombino, con un abito blu scuro di flanella che metteva estate e inverno, e in qualsiasi occasione che lui riteneva adatta, aveva la sagoma di un barile, un corpo tondeggiante al centro e un po’ rastremato verso il collo e le caviglie, basso e con i capelli impomatati su una faccia color ruggine dove intricate linee, sulla fronte e all’angolo degli occhi, contrastavano col suo viso paffuto, lucido e tondo che escludeva il collo, attaccandosi direttamente alle spalle.
Quando il combattivo vecchietto disse la parola “poesia”, molti dei presenti sorrisero. Infatti Aniello era conosciuto per la passione del vino e della poesia. La signora con lo scialle di merletto nero si alzò dalla sedia e mostrò tutta la sua imponenza di matriarca Massese, presidentessa delle associazioni “figlie di Maria”, delegata al catechismo delle giovani associate, coordinatrice delle altre associazioni e congreghe, rivolta a don Ciccio disse: “ma non avete sentito, padre Leonardo! Adesso calmatevi, non va bene che vi intromettete sempre, state al posto vostro, fate parlare Aniello, anche lui tiene il diritto di dire quello che vuole come vuole, va bene?”. Il donnone si risedette e sorrise ad Aniello, il quale emozionato da quell’intervento, aprì il foglio che aveva in mano ripiegato, fece per leggere, ma si accorse che lo teneva sotto sopra e, imbarazzato, lo girò. Questo comico gesto provocò una risata dei presenti, e nemmeno padre Leonardo restò impassibile. Levò le mani al cielo e sussurrò verso Aniello: “Incominciate, coraggio!”
“La mia barca è piena di fiori/ sempre, e col sole e la tempesta/ va! Va lontano, non si arresta/ tiene in alto i nostri cuori/ sopra all’onde e sotto all’onde,/ taglia il mare e va sicura com’avesse quattro sponde./ perciò, padre guardiano/ la Madonna, io son sicuro/ a Punta Lagno e a Marciano/ specialmente quando è scuro/ o al Vervece o a Fontanelle/ ci vuole andare in sicurezza/ mentre in cielo tante stelle/ vanno a mare dint’ a rezza./ la barca mia si chiama “la mia barca”/ esattamente voglio dire/ che non è come una marca/ ma un bel sogno per finire/.”
Tutti applaudirono, anche don Ciccio. Rosanna e Amedeo si guardarono sorridendo. Padre Saverio si avvicinò ad Aniello e gli fece i complimenti, anche la signora presidentessa delle “figlie di Maria”. Ma qualcuno degli intervenuti, un giovanotto che aveva una sagoma taurina, con gli occhi neri che scomparivano in due fessure sotto una fronte prominente con folte sopracciglia nere, disse: “padre guardiano, visto che Aniello Chiummino ha detto la poesia, posso cantare una canzone? Se no mi sento svantaggiato”. Una risata riempì la stanza, e le signore sedute al tavolo cominciarono ad agitare i ventagli a una velocità molto sostenuta tanto da smuovere anche le ciocche di capelli irrigidite dalla lacca del parrucchiere che le aveva preparate per la festa e per quella occasione. “Va bene, va bene siete stati tutti molto bravi a presentare le vostre barche, e devo dire che sicuramente sono anche” apparate” ancora meglio dell’anno scorso, però la Madonna deve andare su una sola barca, che sarà anche la prima ad aprire la processione a mare. Le altre, però, verranno appresso e porteranno la congrega di Sant’Antonio, i padri francescani, il clero regolare e francescano, le associazioni, e la banda musicale, e tanta altra gente. L’immagine miracolosa di Maria santissima della Lobra avrà un seguito a bordo delle più belle barche di Massa Lubrense. C’è onore per tutti, però, adesso, accomodatevi un po’ nel cortile, mentre qui insieme alle signore decideremo quale sarà la più bella. Credo che questa volta però sarà molto difficile pronunciarsi: le barche presentate, sono tutte al massimo; andate, pochi minuti e vi comunicherò il vincitore, grazie”. Tutti uscirono mentre le signore si accomodavano meglio intorno al tavolo dando moto ai ventagli, assentendo alle parole di padre Leonardo. Qualcuna sussurrò: “e si, io non so proprio pronunciarmi”; padre Saverio chiuse la porta e si accomodò al tavolo. Amedeo e Rosanna fecero per alzarsi, pensando che anche a loro toccava uscire. Padre Leonardo, con un cenno della mano li fece sedere e disse: “voi siete i nostri consiglieri nel giudizio, quindi pronunciatevi insieme a noi, anzi facciamo presto, si sta facendo tardi, qui le regole conventuali sono un po’ rigide… Allora cosa pensano questi saggi giudici, quale sarà la paranza che porterà la Madonna?” Tutti si scambiarono sguardi, interrogandosi a vicenda con lievi movimenti delle labbra o delle spalle. “Credo che siano tutte belle e proprio non saprei pronunciarmi,” disse una signora anziana con i capelli bianchi, “so che quest’anno hanno speso molto per gli addobbi delle paranze e mi dispiace deludere qualcuno”.
Tutte le altre assentivano convinte e arrestarono per un momento il movimento perpetuo dei ventagli. La signora in rosso con lo scialle di merletto nero, alzò il dito rivolta al priore e mise in mostra tutta la peluria di cui era fornito il labbro superiore. La sua bocca già allungata in avanti per parlare, ma Rosanna, non avendola vista poiché scambiava qualche parola sottovoce con Amedeo, esclamò: “ma perché non facciamo un bel sorteggio, così nessuno di noi avrà dubbi, affidiamo al caso la soluzione, visto che le barche sono tutte apparecchiate al meglio e quindi stanno tutte sullo stesso livello?” La signora in rosso, rimase per tutto il tempo in cui Rosanna parlò, con un dito alzato e la bocca allungata, mentre la fronte si corrucciava sotto i capelli argentati ad arte dal parrucchiere di Massa. Voleva proporre la stessa cosa che Rosanna aveva detto un attimo prima, ma che l’era stata bruciata dalla stessa, soffiandogliela di bocca. Padre Leonardo disse: “è molto giusta, questa proposta di Rosanna, la approvo immediatamente. Signora Scarfogliero, volevate dire qualcosa?” Chiese il priore alla signora in rosso, che, delusa, rispose solamente: “sono d’accordo con Rosanna, allora preparo i foglietti per il sorteggio” .”Va bene” -disse il priore. “Vi detto i nomi delle paranze”; la signora Scarfogliero prese dalla borsa un quadernetto nero, ne staccò delle pagine al centro, e si preparò a scrivere. “La numero uno è la “Buona Speranza”, la seconda “Stella Maris”, la terza ” Aguglia”, la quarta é la “Santa Maria di Puolo”, poi c’è don Ciccio con la “Costanza P.”. La sesta è “Rosa mia” e l’ultima, quella del poeta, “la mia barca”. Signora Scarfogliero, fatene dei foglietti ripiegati più volte, padre Saverio è già pronto col cestino”. “Professore Serra, questa estrazione la facciamo quasi ogni anno perché viene dopo un rito a cui avete assistito per la prima volta, ma che si ripete dalla notte dei tempi; una tradizione antica a cui non sappiamo rinunciare e, a volte, mi dispiace un po’ ricorrere al sorteggio, perché mi piace la generosa competizione che c’è tra i pescatori per la processione a mare. Il sorteggio non contenta mai nessuno, ma certamente è il sistema migliore per arrivare a una decisione”. “La poesia mi è piaciuta molto, anche a Rosanna, ma chissà se il giovanotto che voleva cantare non avesse fatto ancora meglio. Pensateci per la prossima volta”. Padre Leonardo sorrise e disse: “Un festival dell’arte verbale che ha per tema la Madonna, la barca e il mare, è un’idea da sviluppare”. “Padre Leonardo siamo pronti, usciamo?” chiese padre Saverio. “Sì, sì aprite pure”. Si alzarono tutti e uscirono in cortile, dove i pescatori si aprirono a ventaglio intorno ai giudici.
Quando videro padre Saverio col cestino, capirono subito che ci sarebbe stata un’estrazione, e chi pensava di essere stato scartato rinnovò il suo entusiasmo cominciando ad applaudire, rompendo con schiocchi secchi il silenzio del chiostro. Il priore avanzò con padre Saverio e disse: “siamo tutti d’accordo che le vostre barche sono tutte belle, e non vogliamo decidere rischiando di sbagliare, perciò la sorte ci verrà incontro con questa estrazione. Questa volta la dea bendata sarà Rosanna Spada, figlia di don Raimondo Spada, che tutti avete conosciuto, è stato tra i più grandi benefattori di questa città e del nostro convento. Perciò affido a lei l’estrazione del biglietto con il nome della barca che porterà stasera la sacra immagine di Maria Santissima della Lobra in processione”. Gli applausi coprirono i grazie che Rosanna, presa alla sprovvista, sussurrava mentre raggiungeva il cestino che padre Saverio manteneva col braccio teso davanti al priore in mezzo al semicerchio composto dai pescatori e dalle dame che si erano unite al gruppo. Rosanna nel silenzio che si creò allungò la mano nel cestino, tirò fuori un foglietto ripiegato, sembrava mezza sigaretta tra il pollice e l’indice.
La cisterna, era circondata dai rigogliosi banani, e contrastava violentemente con la sobria e austera architettura delle arcate del chiostro, rendendo la scena veramente surreale. L’ardore di agosto in quel cortile tropicale, l’ombra scura e fresca del corridoio tra gli archi sullo sfondo, il gruppo di persone sospese nei loro vestiti della festa, i due monaci con i sai color mogano e lo splendore di Rosanna al centro, che con austero ed elegante gesto, consegnava al padre Leonardo quella che sembrava mezza sigaretta. Questi furono i primi pensieri di Amedeo, che in quell’atmosfera così imprevedibile e improbabile, aveva cominciato a sopire lo sgomento prodotto dai discorsi di Rosanna al bar di Feliciello. Gli parve come se fosse scoppiato un foruncolo fino a poco prima teso e doloroso. No, la sensazione era diversa. Non si trattava di esplosione, ma d’ implosione, qualcosa che non era proiettato verso la liberazione, come fa il vulcano con i lapilli e la lava, ma più similmente una voragine, un buco nero in cui tutti i tormenti, le illusioni, le cose mai dette, o le cose dette al posto di quelle non dette, venivano risucchiate e ingoiate lentamente, senza sofferenza, senza dolore. Scomparivano piano perdendo forma e significato, senza la volontà di fermarle o di riconoscerle. Era come aver scoperchiato una di quelle tombe senz’aria, all’interno della quale il cadavere conserva forma e colori, ma una volta entrata l’aria, l’effetto della decomposizione é veloce e irreversibile rendendo polvere ciò che per anni, o per secoli era rimasto intatto.
Amedeo guardava quella scena dal corridoio del chiostro, poggiato alla colonna che sosteneva un arco, un po’ di spalle al padre Leonardo, che era insieme con gli altri, investito da una luce che aveva le trasparenze mobili dell’ambra. “La mia barca” -disse il priore consegnando il biglietto ad Aniello Piombino, sudato e rosso, ma con un sorriso che gli veniva dal cuore. Non se lo aspettava. Ammutolì mantenendo però intatta la sua espressione giuliva. La signora Scarfogliero gli strinse la mano e disse:”avete visto? La fortuna questa volta ha aiutato i poeti, e tra i due litiganti…” lasciò la frase a metà, rivolta a don Ciccio, il quale chiamato in causa per quello sguardo, disse: “Vuol dire che io vengo per secondo, e poi Rafele Di Somma e gli altri con la banda musicale, io almeno voglio portare l’autorità.” “Va bene, don Ciccio, mettetevi d’accordo con gli altri e anche con tutte le altre paranze della marina, ma voi non scordate di montare il parapetto. Pace e prosperità a tutti, raggiungete le vostre famiglie e fate loro i miei migliori auguri e portate pure la mia benedizione. Ci vediamo alle sette stasera, buon pranzo a tutti”.
La piccola assemblea si sciolse, le signore baciarono la mano al priore e salutarono Rosanna e Amedeo. Padre Saverio li accompagnò fuori.
La campana della Basilica cominciò a battere le ore. Padre Leonardo, rivolto a Rosanna e Amedeo, raggiunse la fresca ombra del corridoio e disse: “che belle persone! Sto qui da ventidue anni ed è come se fossero tutti appartenenti alla famiglia conventuale.” Rosanna dopo uno sguardo d’intesa con Amedeo, disse: “abbiamo assistito ad un rito di cui avevo sempre sentito parlare, ma a cui non avevo mai avuto occasione di partecipare, per questo vi ringraziamo di cuore. Ci siamo divertiti e credo che siamo entrati per la prima volta nello spirito di questa festa, che io conosco da sempre, che però somigliava a tante altre. Capisco ora che questa è la festa dei massesi e per questo è unica. Padre, noi ci vogliamo congedare. Voi, credo che andiate a pranzo, quindi vi salutiamo e credo che Amedeo ed io, seguiremo anche la processione”. “Ma che dici Rosanna, voi siete nostri ospiti, alla nostra povera mensa oggi non può mancare il pellegrino, e poi devo avere anch’io il tempo di parlare con voi, di avere consolazione dalle vostre persone. Il nostro cibo ci onoreremo di dividerlo con voi in nome della Madonna, su non fatemi questo torto”. Rosanna, rivolta ad Amedeo, disse: “ma come facciamo adesso a rifiutare un invito tanto gentile e accorato?” “Non faremo proprio niente, lo accettiamo e basta. Padre Leonardo ci offre un posto alla sua mensa, per noi è un onore e un piacere”. Disse Amedeo. “Bene mi rendete felice: sapete che domani compio 70 anni?” Non potevate rifiutare in alcun modo”, sorrise e prese le mani di Rosanna.” Auguri di cuore” -disse Rosanna, baciandolo. Amedeo, dopo Rosanna, gli diede la mano e lo baciò, passando il bastone nella mano sinistra. Il priore notò il gesto e, dopo aver ringraziato, disse: “Un incidente?” “Cosa da nulla” rispose. “Padre Saverio… Rosanna e Amedeo restano con noi a pranzo, facciamoli sedere a fianco a me”. Padre Saverio, che li aveva raggiunti poco prima, rispose: “allora mi avvio, gli altri fratelli già sono pronti fuori al refettorio”.
FINE TERZA PUNTATA