a cura di Dalia Coronato
Antonio Vitale, laureato in Lettere Moderne indirizzo Musica e Spettacolo presso l’Università “Federico II di Napoli”, vive di teatro. Attore dal 1998, cura la regia e la drammaturgia di alcuni testi teatrali, in particolare si dedica allo studio dei due mastri del teatro più importanti: Eduardo De Filippo e Luigi Pirandello. Durante la seconda edizione della rassegna “Venerdì … fra storia e letteratura” porta in scena al Teatro Ricciardi diverse novelle pirandelliane, racconti che rappresentano una parte sconosciuta e fantastica dell’autore siciliano.
D: Antonio cos’è Pirandello Fantastico…? Sembra quasi il nome di una fiaba.
R: E’ una scoperta fantastica! Un giorno sfogliando tra i libri mi è balzato all’occhio il titolo “Racconti Fantastici” di Pirandello. Ho voluto subito trasformare le strambe visioni Pirandelliane in scene teatrali. Ho puntato sulla trasformazione teatrale dei diversi racconti narrati in prosa: “Acqua e lì”, “ Ave Maria di Bobbio, “La buon anima”, “Effetti di un sogno interrotto” e “Sala d’attesa”. “Pirandello fantastico” è diventato così un progetto diretto da me con la determinazione della mia compagnia, Gruppo teatro Studio. I cinque attori (Francesca Ciardiello, Michele Capone, Federica Coppola, Roberta Frascati ed io) si alternano su un palco scarno di scenografia ma con musica live, tra canti tradizionali e suoni beatbox.
D: Avvicinandosi al decadentismo troviamo l’inizio della seconda fase pirandelliana: il teatro umoristico. Puoi raccontare, secondo la tua esperienza teatrale, cosa vuole rappresentare il teatro umoristico e grottesco?
R: Pirandello autore del teatro di parola tiene fede al suo principio cardine: la ricerca personale della verità. L’umorismo o meglio “il sentimento del contrario” contraddistingue l’autore e ricalca la vera maschera dei personaggi nati dalla sua scrittura. Il mistero, la curiosità, l’inganno, non si nascondono più dietro un’immagine, ma è tutta sui volti, sulle espressioni degli attori in cerca dell’autore che li ha descritti. Pirandello riesce a mettere a servizio dell’attore la potenza della drammaturgia e per me è diventato un riferimento vivo quanto disarmante. Non è stata facile la trasposizione dei racconti, ma il bello dell’esperienza teatrale è che riesce sempre a sorprenderti.
D: Meglio essere o apparire? La dimensione autentica della vita contro la maschera.
R: Pirandello ha scritto “Maschere nude” e ha affrontato spesso il concetto dell’essere e dell’apparire. Penso di affrontare il mestiere dell’attore prediligendo l’essere e non essere costretto a leccare il potente di turno, ma salvaguardare la propria dignità i propri valori. L’essere porta avanti la libertà di pensiero. Ho scelto il teatro per indossare la maschera di me stesso.
D: Perchè scegliere di fare l’attore?
R: Per studiare, per migliorarsi, per crescere ogni giorno. Ogni punto di arrivo si tramuta in un punto di partenza, diceva Eduardo. Recitare è libertà di pensare all’esser uomo, ma come in ogni lavoro, ci vuole anche passione e sacrificio per superare gli ostacoli lungo il cammino. Mi chiamano “operaio del teatro” – e ne sono fiero – dirigo laboratori ma divento bracciante quando c’è bisogno. Ma la cosa a cui tengo di più è traferire la mia esperienza ai più giovani.
Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, i quali si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così che ne risulti una nuova personalità. (Luigi Pirandello)