di Mariantonietta Losanno
Diretto da Don Siegel durante la sua quinta e ultima collaborazione artistica con Clint Eastwood, “Fuga da Alcatraz” racconta la vera storia dei detenuti Frank Morris, John Anglin e Clarence Anglin, evasi la notte dell’11 giugno 1962 dalla prigione di Alcatraz, conosciuta come la più temuta d’America, chiusa nel 1963 e disponibile oggi per visite turistiche guidate.
“Fuga da Alcatraz” è un fondamentale documento storico e al tempo stesso la pietra miliare per tutti i successivi prison movies. La pellicola si avvale di alcuni punti di forza: la regia rigorosa e realistica; la performance di Clint Eastwood, che interpreta un uomo cocciuto ed ostinato, determinato nel dimostrare che ogni cosa è potenzialmente possibile o può diventarlo. Evadere da Alcatraz è una di quelle cose categoricamente impossibili; eppure l’intelligenza, la tenacia e anche un po’ di fortuna hanno permesso a tre detenuti di scappare, superando gli ostacoli logistici e ogni tipo di barriera, umana e materiale. La regia è attenta nel tracciare un’analisi psicologica di ogni personaggio; l’atmosfera è cupa, è tangibile il desiderio di libertà e il senso di oppressione nei confronti di un sistema fortemente violento e repressivo.
“Fuga da Alcatraz” è l’esempio di un cinema di altri tempi: la crudezza del crime movie anni Settanta si lega alla perfezione con il genere carcerario. Ogni esperimento successivo di prison movie non ha raggiunto lo stesso risultato (l’unico esempio degno di essere citato è sicuramente l’opera di Frank Darabont, “Le ali della libertà”, tratto dal romanzo di Stephen King). La pellicola di Don Siegel è reale (il film fu girato per davvero ad Alcatraz, e dal momento in cui il carcere era stato chiuso un anno dopo l’evasione, sono stati impiegati circa cinquecento mila dollari per ristrutturare gli edifici); lo spettatore viene a conoscenza delle condizioni di detenzione, delle dinamiche tra i carcerati: il regista, dunque, non fa sconti e tutti i maltrattamenti, i meccanismi di coercizione e le angherie si percepiscono sulla propria pelle. Non c’è nessun intento di abbellire la storia o gli ambienti; la regia è volutamente severa. La pellicola di Don Siegel è studiata nei minimi particolari, ha una valenza storica ed è anche tristemente attuale per quanto riguarda l’aggressività (fisica e verbale) ancora presente negli istituti di pena.