Rubrica a cura di Silvana Narducci
Oggi voglio parlare dello strano “incidente” che decimò una spedizione di 9 giovani ed esperti escursionisti …tutti misteriosamente morti sui monti Urali. I lettori di questa rubrica, amanti del mistero e curiosi per natura, si appassioneranno a questa storia tanto vera quanto oscura, che ispirò libri e filmNel 1959 alcuni ragazzi formarono un gruppo di otto uomini e due donne per un’escursione con gli sci di fondo attraverso gli Urali settentrionali, L’obiettivo della spedizione era raggiungere il monte Otorten. Il percorso scelto, in quella stagione, era valutato di terza categoria, quindi di difficoltà alta, ma tutti i membri della spedizione, guidato da Igor Djatlov (nella foto), possedevano un’ampia esperienza in fatto di escursioni estreme.
Il gruppo arrivò il 25 gennaio 1959 in treno in una cittadina ai piedi degli Urali, da cui raggiunsero Vižaj a bordo di un camion, l’ultimo insediamento abitato prima delle zone che intendevano esplorare. Il 27 gennaio si misero in marcia verso l’Otorten. Il giorno seguente uno di loro, Jurij Judin, fu costretto a tornare indietro a causa di un malore che gli provocò la febbre…Il giovane ne fu amareggiato e deluso, ma non sapeva che quell’indisposizione avrebbe fatto di lui l’unico superstite del gruppo.
Il 31 gennaio i nove della spedazione arrivarono sul bordo di un altopiano e iniziarono a prepararsi per la salita. In una valle boscosa depositarono il cibo e l’equipaggiamento che sarebbe dovuto servire per il viaggio di ritorno. Il giorno dopo, il 1º febbraio, gli escursionisti cominciarono la marcia attraverso il passo montano sul versante orientale del Cholatčachl’, che in lingua mansi significa “montagna dei morti”. (Fu poi rinominato “passo di Djatlov dal nome del capo della spedizione, Igor Djatlov). I diari e le foto ritrovate nelle macchine fotografiche sparse attorno al loro ultimo campo consentono di “seguire” i movimenti dei giovani fino al giorno in cui si consumò la tragedia…e alcune di quelle foto, oltre a quelle dei soccorritori, sono quelle che vi mostro qui di seguito.
Secondo quanto si può ricostruire, sembrerebbe che il gruppo avesse progettato di valicare il passo e accamparsi per la notte successiva dall’altro lato della montagna, ma a causa del peggioramento delle condizioni climatiche, dovute ad una tempesta di neve, la visibilità calò di molto e persero l’orientamento, deviando verso ovest …vale a dire verso la cima del Cholatčachl’.
Presto compresero l’errore commesso e decisero di fermarsi per accamparsi lì, sul pendio della montagna, in attesa del miglioramento delle condizioni climatiche che avrebbe consentito di proseguire la salita correggendo la rotta….ma morirono misteriosamente quella notte stessa: era il 2 febbraio 1959.
Il 26 febbraio i soccorritori ritrovarono la tenda abbandonata sul Cholatčachl’.
La tenda era stata strappata dall’interno. Da essa partivano una lunga serie di impronte che si dirigevano sul lato opposto del passo, circa 1,5 km a nord-est, verso dei boschi. Dopo 500 metri le impronte sparivano nella neve. Sul limitare della foresta, sotto un albero di cedro, la squadra di ricerca trovò i resti di un fuoco, insieme ai primi due corpi, quelli di Jurii Krivoniščenko e Jurij Dorošenko, entrambi scalzi e vestiti solo della biancheria intima.
Tra i corpi e il campo furono ritrovati altri tre cadaveri, Djatlov, Zina Kolmogorova e Rustem Slobodin, in una posizione che sembrava suggerire stessero tentando di ritornare alla tenda. I corpi erano lontani l’uno dall’altro, rispettivamente alla distanza di 300, 480 e 630 metri dal cedro.Gli ultimi quattro escursionisti furono cercati a lungo. Alla fine li ritrovarono più di due mesi dopo, il 4 maggio, sepolti sotto un metro e mezzo di neve in una gola scavata da un torrente all’interno del bosco, a mezzo chilometro di distanza dai compagni.Le autopsie dei quattro corpi trovati nel mese di maggio non contribuirono a far luce sull’accaduto…anzi complicarono il quadro generale. Tutti i corpi non mostravano segni di colluttazione e nulla faceva pensare all’aggressione di un animale. La loro pelle presentava una strana sfumatura brunita e violacea, i capelli erano diventati grigi e le facce erano delle maschere di orrore. Il corpo di Thibeaux-Brignolle aveva una grave frattura cranica e sia la Dubinina che Zolotarev avevano la cassa toracica gravemente fratturata. Secondo gli esperti la forza richiesta per provocare fratture simili era estremamente elevata e fu paragonata alla forza sviluppata da un incidente stradale. Da notare che i corpi non mostravano ferite esterne, come se fossero stati schiacciati da una elevatissima pressione e la donna era inoltre priva della lingua, di parte della mascella e degli occhi. In realtà sia i traumi che il macabro dettaglio della lingua possono essere spiegati, in quanto la gola dove vennero trovati era sufficientemente profonda da provocare danni simili in caso di caduta e l’inizio della decomposizione, come si nota dalle foto scattate dai soccorritori al momento dei ritrovamenti.
Una prima ipotesi fu che gli indigeni Mansi avessero attaccato e ucciso gli escursionisti per aver invaso il loro territorio, ma le indagini mostravano che le ferite e la scena dell’accaduto non erano compatibili con tale tesi: le impronte degli escursionisti erano ben visibili e non mostravano altre presenze umane, e inoltre i corpi non mostravano alcun segno di colluttazione corpo a corpo. “La potenza dei colpi era stata troppo forte – si legge nella relazione dell’autopsia – e al contempo non aveva danneggiato alcun tessuto molle”
C’è inoltre da dire che nonostrante la temperatura si aggirasse tra i −25° e i −30° e con una tempesta di neve che infuriava, i corpi furono ritrovati solo parzialmente vestiti. Alcuni avevano solo una scarpa, altri non le avevano affatto o indossavano solo i calzini.Ad infittire ancora il mistero vi è un’analisi forense da cui risulta che i vestiti di alcune delle vittime presentavano altissimi livelli di contaminazione radioattiva..di almeno dieci volte superiore alla norma.
Non si riuscì ad arrivare ad una conclusione ed il verdetto finale fu che i membri del gruppo erano “tutti morti a causa di una irresistibile forza sconosciuta”.
Naturalmente negli anni sono state avanzate alcune possibili spiegazioni.
Alcuni testimoni, un gruppo di escursionisti accampati a circa 50 km a sud dal luogo del isterioso incidente, riferì che quella notte avevano visto delle strane “sfere” arancioni verso nord (cioè in direzione del Cholatčachl’. Non dimentichiamo che sono trascorsi solo due anni dai clamorosi fatti di Roswell e della famosa area 51, la suggestione degli UFO era fortissima. Anni dopo fu stabilito che le “sfere”, avvistate anche dal servizio meteorologico e membri dell’esercito in quell’area, fossero lanci di missili balistici R-7…spiegazione plausibile per la concentrazione di radiazioni. Furono trovati anche molti rottami di metallo, il che porta a sospettare che l’esercito avesse utilizzato l’area per manovre segrete e potesse essere stato interessato a un insabbiamento della questione.
Piuttosto di recente, nel 2014, un americano ha presentato una nuova teoria che spiegherebbe l’incidente. Secondo Donnie Eichar quel giorno il passo sarebbe stato flagellato da una “tempesta perfetta”. Da questa, grazie alla forma a cupola della “montagna dei morti” si sarebbero sviluppati dei violentissimi mini tornado proprio nei pressi dell’accampamento. Secondo Eichar la tempesta avrebbe generato un assordante rumore, ma soprattutto una gran quantità di infrasuoni che hanno un effetto devastante sul corpo umano. Gli ultrasuoni avrebbero, secondo lo studioso, causato mancanza di respiro e panico. L’insieme di questi effetti avrebbe causato la follia e il tornado le lesioni mortali.
…In parte plausibile, certo, ma per molti resta ancora un affascinante mistero irrisolto…non credete?…