Era l’8 febbraio 1976 quando “Taxi Driver” usciva nelle sale cinematografiche americane. Tre mesi dopo trionfava a Cannes con la Palma d’Oro e successivamente veniva candidato a 4 premi Oscar. Diretto da Martin Scorsese e scritto da Paul Schrader, è considerato un pilastro del cinema, uno dei più importanti e controversi film di sempre.
New York: Travis Brickle è un ventiseienne depresso e isolato, ex marine reduce dal servizio militare in Vietnam. A causa della sua insonnia cronica, decide di lavorare come tassista notturno, e così entra in contatto con il peggio di New York: violenza, prostituzione, vandalismo e degrado. Sempre più solo e frustrato da una società corrotta piena di ipocrisia e di buonismo a buon mercato, Travis inizia a soffrire di un’alienazione sempre più devastante. Dopo aver tentato di uccidere durante un comizio un senatore, simbolo per lui di tutto il male che anima il mondo, Travis scopre la violenza, la stessa violenza che fa parte di quella società che tanto lo tormenta. Brickle comunica il disagio, l’insofferenza verso tutto ciò che lo circonda, è animato da un’esigenza di riscattarsi dalla sua vita di disillusioni e solitudine. L’interpretazione di De Niro è da Oscar. Una sofferenza tangibile dalle sue espressioni che incutono ansia e disorientamento. La metafora del carcere è centrale in “Taxi Driver”: la solitudine è vista come una gabbia in cui Travis percepisce la propria emarginazione rispetto al mondo circostante.Dopo più di quarant’anni questo capolavoro è ancora attuale. Grazie alla perfetta coppia Scorsese – De Niro, il film riesce a mostrare cosa significhi sentirsi un individuo isolato, alienato dalla società che lo circonda; e soprattutto quanto questo disagio possa arrivare a corrodere l’animo sino a far perdere la ragione, e a sfociare in una violenza gratuita e fine a se stessa. Senza argini e senza apparente redenzione. La scena più significativa è il monologo recitato (e improvvisato) da De Niro davanti allo specchio: “Ma dici a me? Non ci sono che io qui!”. Quel “Non ci sono che io qui” è la vera essenza del film, il significato e la rappresentazione della più pura solitudine, della frustrazione che diventerà poi follia. “Taxi Driver” non è solo la manifestazione della società americana corrotta e malata, ma un ritratto sempre vivo e attuale che ci interroga ancora oggi.
Mariantonietta Losanno