– di Elvio Accardo –
Il maestro Zanni arrivò a casa di Assunta attraversando di corsa il paese sotto la pioggia fine e fredda, dopo imboccò lo stradone che portava alla masseria con il fiato corto, sull’aia già quasi al buio Nicola Ferrone, il marito di Assunta, lo fermò: “Maestro, venite sotto l’ombrello, state tutto bagnato, che ci fate qui a quest’ora?” “Buona sera Nicola, cerco Assunta vostra moglie”, disse il maestro Zanni entrando sotto l’ombrello di Nicola, “mia moglie ha perso il latte, la bambina piange e non può mangiare, e non sappiamo cosa fare, andare a Rutigliano e cercare una soluzione si fa tardi, e vorrei chiedere prima ad Assunta se può venire, è urgente”. “Calmatevi maestro,” disse Nicola,” tra poco Assunta sta qua e la mando a casa vostra. È andata a casa della sorella, che non sta tanto bene, ma dovrebbe tornare presto perché Angiolino è voluto andare pure lui, sapete come sono i ragazzi, stanno sempre in mezzo, poi là ci stanno i cugini e…, ma voi non vi preoccupate, appena arriva la mando, tanto mio cognato l’accompagna con la macchina, anzi non la faccio proprio scendere, cosi l’accompagna lui presto, presto. Voi tornate, vostra moglie può avere bisogno di qualcosa, portatevi pure quest’ ombrello lo ridate ad Assunta quando torna, andate ci penso io.”
Assunta tornò dopo un po’ di tempo, la pioggia aveva smesso di cadere, aveva lasciato pozzanghere lucide diffuse lungo tutto lo stradone, e la seicento di suo cognato procedeva lentamente cercando di evitarle zigzagando tra i fossi.
Arrivati sull’aia, Nicola si avvicinò al finestrino e disse “Assù, La moglie del maestro Zanni tiene l’ingorgo, corri, va subito a casa sua ti sta aspettando, la bambina non mangia da oggi pomeriggio, chiagne e sbatte, tu Angioli’, scinne non stare sempre in mezzo. Agostino, aggi’ pacienzia accumpagnala”. Angiolino fece per scendere, ma Assunta lo fermò “no, no, tu vieni con me. Agostino, per favore andiamo”. Agostino, suo cognato, girò la seicento e imboccò lo stradone, mentre Angiolino dimostrava tutta la sua contrarietà imprecando e colpendo furiosamente il sedile.
Il maestro Zanni fece accomodare Assunta, che teneva per mano Angiolino, in camera da letto, dove la signora Mara seduta su una poltroncina rivestita in damaschino azzurro con fiorellini rosa, aspettava, con in braccio Natalia scossa dal singhiozzo. “Buona sera signora, che è successo, s’è fermato il latte?” “Assunta, meno male che siete arrivata, non ce la faccio più, il petto è diventato duro e mi fa male, la bambina deve mangiare e sta piangendo da due ore, vi prego, fate tutto quello che potete.” Assunta stringeva la mano di Angiolino e mentre rassicurava la signora Mara chiese al Maestro di prendere la bambina e metterla sul letto, poi scopri le mammelle della signora togliendole la tovaglietta che le coprivano. Quei seni erano tesi e doloranti, i capezzoli grossi e duri le aureole scure e lucide. Assunta esclamò: “Signora Mara ora non vi preoccupate, qui il latte ne avete in abbondanza, Natalia deve aspettare altri cinque minuti solamente” poi rivolta al maestro disse: “tenete mezzo limone? E magari pure un bicchiere d’acqua” “Sì, vado in cucina a prenderlo”. Il mezzo limone arrivò in un piatto insieme al bicchiere d’acqua. Assunta teneva sempre per mano Angiolino, che turbato dagli eventi, frastornato dal pianto della bimba, dall’abbaiare di Boby, che faceva sentire il suo acutissimo latrare ininterrottamente, chiuso nella stanza accanto, guardava ipnotizzato solo le linee nere delle fughe del pavimento. “Grazie, posatelo sul comodino” disse Assunta. Il maestro Zanni poso il piatto e passando vicino ad Angiolino a bassa voce disse: “e tu che fai qua?” Assunta tirandosi a fianco il figlio raggiunse il comodino, mentre il maestro con l’aria di chi sa di essere nel posto sbagliato si fermò perplesso dietro la poltroncina. Assunta prese il mezzo limone e cominciò a strofinarlo intorno alla bocca di Angiolino poi prese le mani e strofinò pure quelle col limone, Angiolino resisteva e grugniva, poi Assunta prese il fazzoletto dalla sua borsa ancora appesa alla spalla, e dopo averne bagnata una parte nell’acqua del bicchiere, gli pulì la bocca e le mani , poi condusse Angiolino davanti alla signora Mara e disse “Angiolino adesso succhia il petto alla signora Mara, fai prima piano piano, poi succhia forte quando te lo dico io. Avanti, comincia, non ti appoggiare, avanti, avvicinati, prendi la mammella con una mano delicatamente e succhia, come facevi quando eri piccolo come Natalia, forza, succhia”. Angiolino con le orecchie diventate di fuoco in una specie di trance, si abbassò indugiando guardando sua madre smarrito. “Su forza, coraggio non ti mangio mica” disse la Signora Mara offrendogli il seno. Angiolino prese in bocca quel grosso capezzolo caldissimo, e le mammelle, cosi grandi e bianche, a quella distanza così breve, gli coprirono tutta la faccia. Assunta gli disse “Attento tieni i denti lontano, e comincia a succhiare”, Angiolino cominciò a succhiare, Assunta lo incitava, la signora Mara gli ripeteva di stringere il petto delicatamente, allora il maestro Zanni con la voce un po’ alterata , e un po’ stizzita, disse “Non stringere, hai capito?, succhia , sei capace di succhiare?, e allora succhia, porca putt..!”, Angiolino succhiò più forte, il latte non sgorgava, Assunta insistette e gli chiese di stringere i seni della signora , Mara emise un lamento doloroso ma strinse la testa di Angiolino chiedendo di andare avanti. A questo punto il maestro Zanni spazientito, con voce rotta e toni rabbiosi disse” sei il buono a nulla di sempre, tu zapperai la terra tutta la vita, muoviti a succhiare, fa almeno una volta una cosa buona, gli asini come te stanno bene solo coi topi” dicendo questo colpì Angiolino con uno schiaffo allungando il braccio da dietro alla poltroncina. La guancia di Angiolino si arrossò mentre la Signora Mara stringeva la testa sul suo gran petto, improvvisamente uno schizzo di latte caldissimo inondò la sua bocca, mentre grosse lacrime salate scendevano lungo le guance entrandogli nella bocca mischiandosi al dolcissimo latte che piano sgorgava da quel capezzolo. Ingoiò il primo schizzo e continuò a succhiare, altre sensazioni mai conosciute prima lo raggiunsero sorprendendolo. La signora Mara in quel suo mostrarsi senza pudore riempiva le sue narici di odori eccitanti, pensò solo una volta che la Signora Mara era una femmina. La voce del maestro non lo intimoriva più neanche quella di Assunta sembrava influenzarlo, solo la signora Mara e le sue mammelle cosi grandi, cosi calde, cosi rassicuranti, e la sua mano che gli carezzava la testa, avevano importanza.
La bocca gli si riempì di latte, un conato di vomito lo fece staccare da quel seno fatato, Angiolino si alzò sputacchiando e tossendo.” “Finalmente” disse Assunta, asciugando con un panno il petto della signora Mara. “Avete visto, il latte esce bene, vogliamo provare anche l’altra mammella? Dai Angiolino, beviti un poco d’acqua e libera quell’altra”. Il maestro andò a calmare Natalia e ad aprire la stanza dove Boby era prigioniero. Il secondo seno, Angiolino lo affrontò ripensando al turbamento di poco prima, ma questa volta lo schiaffo subito gli tornò nella mente più bruciante di prima, senza volerlo strinse i denti e la signora emise un piccolo “ahi!”, questa volta lo rimproverò Assunta, “stai attento, i denti devono stare lontano, hai capito? La signora si fa male, ma sei proprio stupido, te l’ho già detto prima, succhia e basta, devi fare la pompetta, e che caspita!”: Il maestro Zanni tornato dietro alla poltroncina, il suo osservatorio, rincarò la dose aggiungendo che Angiolino doveva mettersi a studiare molto, all’esame di quinta lo avrebbero bocciato.
Angiolino succhiava forte, sentiva il sapore del sangue della signora Mara, erano solo poche gocce, ma il turbamento di prima ritornò, mischiato a una violenta certezza, odiava profondamente il maestro Zanni, l’umiliazione subita insieme allo schiaffo, non l’avrebbe dimenticata mai più.
Il latte caldo sgorgò anche dal secondo seno, il primo schizzo si era mischiato al sangue, l’ingoiò provando disgusto, il sapore questa volta era amaro.
Sulla porta Il maestro Zanni ringraziò Assunta, mettendole in mano del denaro, Assunta un po’ ritraendosi disse:” grazie, ma non dovevate, buona sera.” “Buona sera a voi Assunta”, mentre Natalia attaccata finalmente al petto di Mara prendeva il latte singhiozzando.
Angiolino usci fuori, il paesaggio era tornato quello di prima, ma più brillante, il temporale aveva lavato i colori della valle, ingrigiti e spenti dalla calura dell’estate.
Io rimasi seduto a bere quel che rimaneva del mio vermouth. “Mario, vieni fuori, abbiamo un ospite”, uscii nel giardino, Mario era accovacciato nel prato sotto la cascata di fiori viola dell’enorme bouganville che giganteggiava accanto alla fontana. Mi indicò un punto nell’ombra cupa alle radici dell’albero, era un rospo, di quelli grossi, un rospo grigioverde bagnato e lucido che pigramente si allontanava nell’erba. “Solo giù al Savione ci stavano rospi cosi grossi, te li ricordi Mario?, e ti ricordi la tartaruga, il posto segreto ,l’acqua del monaco?”. Ricordavo tutto, ogni cosa che aveva nominato. Il fiume Savione era il nostro regno. Scorreva ruscellando dai monti intorno a San Biase, e attraversava la valle tra castagneti, pareti di tufo grigio e larghi spazi di felci. Bastava percorrere il sentiero all’uscita del paese, e arrivare al fiume attraversando la selva. Chiamavamo “l’acqua del monaco” un’ansa del Savione molto larga, sotto una alta parete di tufo, da cui pendevano e si aggrovigliavano radici e fasci di edera e caprifoglio. Il nome di quel luogo, lo dava una sorgente d’acqua, chiamata da sempre: l’acqua del monaco, che cadeva dall’alto della parete, attraversando l’intrico delle radici fino a cadere in quel gomito del fiume in cui d’estate facevamo il bagno o andavamo a prendere rane. “La tartaruga” invece era un grosso sasso scuro che l’acqua aveva levigato e arrotondato, intorno altri sassi trasportati casualmente dalla corrente, ma fermati nei posti giusti per creare, insieme a quello centrale, proprio la forma di una grossa tartaruga ferma nell’acqua bassa del ruscello, in attesa di qualcosa, per sempre.
Era questo “il posto segreto “
Accovacciato sulla tartaruga, Angiolino mi raccontò quanto gli era accaduto in casa del maestro Zanni, la sera prima.
Il suo racconto era pieno di dettagli, a cominciare dalla sua ritrosia a fare quello che la mamma gli chiedeva, il turbamento provato per la signora Mara, il disgusto del sapore di sangue mischiato al latte ed infine l’umiliazione subita davanti a tutti per lo schiaffo ricevuto, e i rimproveri cattivi e ingiustificati del maestro. Concluse il suo racconto con rabbia e cominciò a lanciare furiosamente sassi dentro l’acqua. Un pianto sommesso e liberatorio lo colse senza preavviso, lasciandolo inerme e solo, in piedi sul dorso della tartaruga di pietra, mentre gli ultimi sassi gli cadevano dalle mani rimbalzando nell’acqua.
Dalla ghiaia della riva, da dove avevo seguito il suo sfogo, con un salto lo raggiunsi dov’era, mi ressi a lui per non cadere in acqua, e dissi: “Gliela faremo pagare cara, e so io come”. La domenica mattina, dopo la messa io e Angiolino entrammo nel giardino delle suore attraverso la porta sul retro della sacrestia, superammo con facilità il muro di cinta, e ci trovammo senza fatica nel cortile dell’abitazione del maestro Zanni. Boby da quando Natalia era nata, non aveva più i privilegi goduti prima, come le carezze continuamente profuse, i bocconcini prelibati, le passeggiate in braccio alla signora Mara, insomma, passava la maggior parte della giornata nel piccolo giardino masticando legnetti e scavando buche. Per noi fu facile prenderlo e portarlo via, nascosto sotto il mio cappotto fino al “posto segreto”, Angiolino scavò facilmente una buca alla base della parete di tufo, io impastai terriccio bagnato e sassi.
Mettemmo nella buca Boby, e chiudemmo l’ingresso con quell’impasto che avevo preparato. Lo scopo era quello di tenere nascosto Boby e far soffrire il maestro, magari la signora Mara gli avrebbe reso la vita difficile accusandolo di aver trascurato e abbandonato Boby mentre lei doveva accudire Natalia e provvedere ai suoi bisogni. Noi due, avremmo atteso qualche giorno, poi ci saremmo presentati col cane della signora Mara dicendo che lo avevamo trovato sulla strada per Rutigliano, cosi lei ci avrebbe premiato, e poi avrebbe accusato il marito di negligenza, per quel cane tanto caro a lei.
Ma non andò cosi, il maestro Zanni denunciò ai carabinieri di Rutigliano la scomparsa e possibile furto del prezioso “spitz”, i carabinieri dietro le insistenze del maestro vennero a San Biase chiesero informazioni a tutti, e tutti furono informati del possibile furto, noi due ci spaventammo e quella che ci sembrava essere una buona idea divenne una brutta e pericolosa trovata che alla fine si sarebbe ritorta contro di noi. Lasciammo Boby al suo triste destino e le nostre anime alla giusta colpa.
Angiolino usci dall’ombra della bouganville e insieme rientrammo nella cucina, riempii ancora i bicchieri di vermouth e porgendogliene uno dissi: “il maestro Zanni sta qui a San Biase? Abita ancora dietro la chiesa, di fianco al convento?” Angiolino accese l’ultima sigaretta del pacchetto e disse: “No, no, è andato via più di dieci anni fa, abita adesso a Rutigliano. La moglie, la polacca, lo lasciò, se ne andò con il pizzaiolo della pizzeria “la capannina” dove lavorava prima. Lui rimase con la figlia piccola, poco dopo passò ad insegnare alle elementari di Rutigliano e andò via da qui. Credo che abiti ancora li, nella piazza di Rutigliano. Perché mi hai chiesto se abita qui?” “Non so, forse mi sarebbe piaciuto rivederlo” dissi. Senti Angiolino, io vorrei passare per Rutigliano, ora sono le sette, voglio prendere un dolce da portare a cena da tua madre stasera, che ne dici se ci avviamo?, Chiudo casa e partiamo, “ “ va bene , mi va di girare un po’,” “ bene, prendo le chiavi della Dyane e partiamo.
Attraversammo il paese in silenzio, o almeno cosi sembrava, nella mia mente rumoreggiava un pensiero che non lasciava spazio a parole, gesti sguardi o altri segni da cui dedurre quel mutismo. Cosi anche per Angiolino, che fino alla piazza di Rutigliano rimase in silenzio. Parcheggiai la Dyane nel primo spazio che trovai libero a fianco al marciapiede. A quell’ora, i ragazzi ancora si trattenevano a gruppi sparsi davanti al bar o seduti sul muretto di fronte. Tolsi la chiave dal cruscotto, e mi voltai verso Angiolino. I nostri sguardi si incrociarono e dopo un attimo di silenzio, in quella luce del tramonto ormai esausta, quasi contemporaneamente dicemmo:” andiamo a trovare il maestro Zanni.” Non sorridemmo neppure alla coincidenza, ma scendemmo sbattendo le portiere. Dissi: “Aspettami qui, io vado a prendere il dolce, magari un gelato, poi cerco un telefono e chiamo mia madre, vado al bar Italia, è anche gelateria a via Toma, ricordo che faceva un buon gelato, tu aspettami qua, comprati le sigarette e chiedi l’indirizzo esatto al tabaccaio, e poi non guardarmi con quegli occhi spiritati, calmati, è solo un saluto che andiamo a fargli.”
Arrivai al bar Italia pensando all’incontro con il maestro Zanni, vagliavo nella mia mente tutte le ipotesi possibili, la prima poteva essere un incontro con la restituzione dello” schiaffo” al maestro appena apriva la porta, senza dare spiegazioni, come l’atto di un folle. La seconda ipotesi, poteva essere uno schiaffo dopo aver ricordato le ragioni dell’atto, la terza ipotesi, un attacco verbale con parole dure piene di risentimento. Le ipotesi erano tante che giravano nella mia testa, ma la voce del barista interruppe il filo dei miei pensieri con: “Giovane, ma che gusti volete? la confezione da un chilo o mezzo chilo?” “Scusate, datemi una vaschetta da mezzo chilo, a nocciola, cioccolato e torroncino”. Chiesi del telefono e dei gettoni, mi disse che il telefono non funzionava, dovevo andare più avanti, fino all’incrocio con via Reginaldo Bruzzi, li c’era il bar Rosy. Arrivai a quel bar e telefonai a mia madre.
Ritornai alla macchina, erano passati venti minuti, i ragazzi seduti sul muretto erano ancora li, ma Angiolino non c’era. Posai il pacchetto del gelato in macchina guardando intorno senza vederlo, pensai che aveva incontrato qualcuno che conosceva, quando mi sentii chiamare: “Mario! sono qui” era Angiolino che spuntava dal portone di fianco al tabaccaio. “Scusa il ritardo, ma non trovavo un telefono per chiamare casa, sei pronto?, sai dove abita il maestro?”, dissi sottovoce chiudendo la portiera della Dyane. “Non chiudere, sali in macchina e andiamo via, dai sali metti in moto”. Salii senza fare domande, misi in moto e svoltai sulla strada che portava a San Biase. Ero sorpreso, e il suo sguardo perso sul finestrino di lato, aperto sul buio della strada, non mi convinceva, e allora chiesi: Ma insomma, mi vuoi dire che hai, dove sei andato, ma non volevamo andare dal maestro Zanni? Che è successo?, parla mi sembri imbambolato”. Angiolino mi guardò, e poi disse: “non volevo coinvolgerti in questa storia, era un fatto che dovevo risolvere io, ho approfittato quando sei andato a prendere il gelato, il tabaccaio mi ha indicato il portone, era proprio li a fianco, al primo piano”. Angiolino fece una pausa che a me parve lunga e piena di riserbo, lo incalzai: “Dai continua, l’hai visto? Hai fatto quello che avevi detto?” Guidavo piano, senza fretta, non volevo perdere nulla del racconto di Angiolino, che continuava a guardare lontano, come se raccontasse a sé stesso. “Ho bussato e dopo un po’ ha aperto”. “Il maestro?” “No” rispose, “E chi?, dai non tenermi sulle spine, chi ti ha aperto?” Angiolino accese una sigaretta prendendola dal nuovo pacchetto e disse: “mi ha aperto una donna, anzi una ragazza, che mi ha chiesto che volevo. Non me lo aspettavo, giuro che ero carico e pronto a trovarmi faccia a faccia con il maestro pensando solo all’odio che mi rodeva. Sono rimasto muto, e lei ha ripetuto: – A chi volete? – Io ho risposto: “Abita qui il maestro Zanni?” e lei ha detto: – Si, voi chi siete? – “Io sono Ferrone Angiolino, vorrei parlare con lui, sono un suo vecchio alunno di San Biase.” – Accomodatevi, io sono Lia sua figlia, mio padre sta di la, vedo se può venire. – “Rimango in piedi in un salottino con un divano grigio, un tavolino e alcune sedie. Ero teso, e volevo fumare, un odore di peperoni fritti riempiva la casa e …”
“Calma” gli dissi,” vai come un treno, mi racconti troppi dettagli, arriva al sodo, insomma hai visto il maestro? Che è successo, l’hai colpito? gliel’hai fatta una cantata come dio comanda?” “Si l’ho visto, ha varcato la soglia del salottino lentamente, trascinando i piedi gonfi infilati in vecchie ciabatte sostenendosi al braccio della figlia, aveva un bastone nell’altra mano, su cui si poggiava, una camicia infilata nei pantaloni troppo larghi. Era molto magro, e i capelli poi, pochi e sparsi sul cranio lucido, aveva gli occhiali, una delle lenti era completamente opaca e copriva un occhio cieco, la linea della bocca era storta, pendeva da un lato. Mario, te lo giuro, sono rimasto colpito, il maestro Zanni era irriconoscibile. Ricordi come era alto, robusto, e i suoi capelli lunghi poi. Non era più quello che mi aveva umiliato, non aveva più quell’aria arrabbiata e cattiva che me lo aveva fatto odiare per tanti anni, lasciandomi un ricordo cosi triste della mia adolescenza, era un malato, impotente e triste. Il maestro Zanni mi guardò e disse farfugliando: – chi siete? – Risposi: “Sono Ferrone Angiolino,” – siete venuto per il lavandino? -, rispose sputacchiando, – quello scorre, sono tre giorni. – No papà- interruppe la figlia, – questo signore è stato un tuo alunno a San Biase, si chiama Angiolino, te lo ricordi? – Il maestro disse: – il bagno sta di là, Lia accompagnalo-. E andò via da dove era venuto sotto il braccio della ragazza.
– Scusate tanto, – disse Lia quando ritornò, – papà non sta tanto bene da quando mamma è andata via, ha avuto un ictus, e non si muove facilmente, io faccio quello che posso, ma sedete, volete un caffè? –
“Mario quella ragazza era meravigliosa, bella, dolce, i modi delicati e bionda come la mamma, quella ragazza era Natalia, la figlia della signora Mara, quella bimba che aiutai succhiando i seni della madre. “Dissi no grazie mi aspettano giù, ma posso tornare qualche volta, anche per sapere vostro padre come sta. – Certamente -, ha risposto, -anzi vi do il numero di telefono cosi mi chiamate quando volete-. Ho scritto il numero sul pacchetto di sigarette, e sono sceso. Mario questo è tutto.”
Angiolino con questo racconto del suo incontro, mi aveva zittito, non avevo parole da aggiungere, lo guardai mentre accendeva una sigaretta, i suoi occhi erano attraversati da sentimenti indecifrabili. Fermai la Dyane davanti casa sua, il suo pastore maremmano, scodinzolando saltò con le sue grosse zampe sul finestrino aperto dal lato suo, poi guardandomi disse:” la vita Mario, quella che non fa domande e non chiede permesso a nessuno, è arrivata prima di me, trasformandolo in un povero cristo. In pochi minuti il mio odio si è trasformato in pietà verso il maestro Zanni, e in un felice e fortunato interesse verso Natalia, che ce vuo’ fa”.
Sorridendo maliziosamente dissi:” dai scendi tua madre ci aspetta, e il gelato si squaglia”.