Partita da origini di certo non facoltose, per anni Jasmine pensa di aver conquistato quello che meritava: un marito – conosciuto sulle note di “Blue Moon”– che la riempie di complimenti, costosi regali, cocktail in piscina da sorseggiare tra ricchi consimili. La fine del loro matrimonio porta Jasmine alla bancarotta e all’esaurimento nervoso.
Durante la sua carriera, Woody Allen ha creato molti personaggi femminili, prigionieri di grandi sofferenze e psicosi, interpretati da grandi attrici. “Blue Jasmine”, distaccandosi dal tono sarcastico delle altre pellicole iconiche di Allen, è la feroce descrizione di un disagio personale tremendamente attuale che il regista descrive con grande maestria. Alla radice dell’inquietudine sembra esserci l’ansia da status sociale che minaccia tutti gli individui delle società a capitalismo avanzato. Jasmine è afflitta da uno stato di malessere profondo in cui non giovano l’effetto dei cocktail di psicofarmaci e l’uso di superalcolici, anzi, provocano sofferenze e fragilità ancora più forti. Arriva allo scacco matto di fronte alla contrapposizione senza via di uscita tra rassegnazione e successo, in una dimensione in cui l’accettazione è impossibile.
“Blue Jasmine” è, dunque, uno dei ritratti più dolorosi realizzati da Woody Allen. Nella realizzazione di quest’opera, infatti, il regista ha abbandonato il suo tocco leggero e autoironico, tipico del suo genere di satira sociale, per raccontare un dramma. Jasmine è una donna che ha vissuto nell’illusione e nell’inganno, a partire dal nome fittizio che si è attribuita. La fine del suo finto matrimonio felice ha effetti devastanti sulla sua vita e sui rapporti personali; è l’interpretazione di Cate Blanchett (che si è aggiudicata il premio Oscar per la migliore attrice protagonista) a rendere la pellicola più cupa e credibile: le sue movenze nevrotiche sono lucide e rassegnate. Allen porta sullo schermo una follia alienante che scuote il pubblico e per certi versi lo impietosisce: la sua regia, infatti, non risparmia giudizi compassionevoli nei confronti di Jasmine. L’opera di Allen non prevede alcun tipo di lieto fine: l’antieroina di “Blue Jasmine” è talmente squilibrata da vanificare ogni tentativo di redenzione. Allen ha voluto raccontare un personaggio artefice del proprio destino drammatico: Jasmine non ha grandi doti, non sa badare a se stessa, né sa voler bene a qualcuno, tantomeno a se stessa. Non riesce a rassegnarsi all’idea di una vita normale, ordinaria; è sempre mossa dalla voglia di vivere nell’agio, all’ombra di un uomo potente. La causa della sua distruzione è solo e soltanto se stessa. Allen, con “Blue Jasmine” ha dato prova di sapersi misurare con una dimensione psicologica complessa ed è riuscito a sortire nel pubblico una senso di ansia e sbigottimento che rimane dentro a lungo.
Mariantonietta Losanno