rubrica a cura di Enzo FalcoQuand’ero ragazzo andavo spesso in campagna con mio padre. Mi affascinava la produzione della canapa, le viti maritate ai pioppi, le splendide produzioni di pomodoro San Marzano. Mi affascinavano le fasi di lavorazione della canapa che continuavano nei palazzi contadini a corte.
Quei luoghi, dove si svolgevano la maggior parte dei lavori agricoli di prima trasformazione, erano anche i luoghi del gioco, delle feste collettive, dei racconti degli anziani davanti ai falò dedicati a Sant’Antonio o a Carnevale. La vendemmia, la lavorazione della fibra recuperata dalla canapa, la cottura dei fagioli del “cannavale”, quelli che crescevano sul terreno fertile arricchito dalle sostanze nutritive contenute nelle foglie della canapa dopo la fase della “spenta”, le giornate dedicate alle bottiglie di conserva del sugo di pomodoro San Marzano, erano altrettanti momenti di gioia per tutti i ragazzi che si alzavano prestissimo per parteciparvi e non perdere neppure un attimo di quelle straordinarie atmosfere. Ma quello che più mi colpiva era la competizione che nasceva tra i contadini su chi produceva i migliori pomodori. Erano vere e proprie contese a suon di dimostrazioni tecniche legate al colore, alla forma, alle dimensioni e alla bontà. Si facevano comparazioni organolettiche assaggiandoli a crudo o sul pane “cafone”, quello lievitato naturalmente e cotto in forno a legna che ogni famiglia produceva in proprio, o cotti con l’inevitabile matrimonio con la pasta. Ed era difficilissimo dare un giudizio, perché rischiavi comunque di inimicarti qualcuno.
La contesa, a quel tempo incomprensibile per me, non era legata alla necessità di promozione per la vendita, ma era riconducibile solamente alla passione, all’amore che ognuno di loro metteva nel produrre quei frutti straordinari della terra. E la terra rispondeva a quell’amore con prodotti meravigliosi dal sapore unico.
Ma ad un certo punto si è rotto qualcosa e quello che è stato da sempre considerato l’”oro rosso” è scomparso come se fosse stato colpito da una strana maledizione.
Sono stati soppiantati da altri prodotti, quasi sempre per una ragione di maggiore produttività, secondo la logica industrialista di produrre sempre di più al minor costo possibile. Di pomodori ibridi se ne producevano di più, peraltro più funzionali alle trasformazioni industriali che ne imponevano l’uso, e i contadini che dovevano pur vivere, hanno abbandonato le produzioni di migliore qualità. Si sono dispersi nel tempo non solo i semi, ma anche un grande patrimonio di conoscenza. Finalmente il tempo ha fatto comprendere il valore di questo prodotto, ha fatto finalmente imboccare la strada della qualità, del recupero delle biodiversità che sono un patrimonio di tutti. Insomma, dopo la grande sbornia di quella che mi piace definire l’”agricoltura senza sapore”, si sta affermando positivamente un nuovo approccio alle produzioni di qualità.. E’ un clima di attenzione rispetto all’agricoltura; è l’attenzione rispetto al suo valore ambientale, di tutela del territorio, di ripristino di antichi saperi e sapori della nostra terra. Abbiamo smesso finalmente di vergognarci di essere un grande paese agricolo che ha dato e può dare molto se si coniuga all’altro grande patrimonio italiano, la cucina.
Questa nuova agricoltura va sostenuta e incentivata, soprattutto dai consumatori che devono imparare a scegliere.
Cercare quei saperi e sapori di un tempo non è un fatto romantico, né una voglia di tornare indietro nel tempo; è, invece, un vero e proprio atto d’amore nei confronti della nostra terra, l’unica che abbiamo, e in definitiva verso noi stessi e verso le future generazioni.